Virus e fagi possono aiutare a “regolare” la cattura del carbonio in mare

Le lezioni apprese dall’oceano applicabili anche al permafrost artico

[27 Febbraio 2024]

La ricerca “Microbiome-Targeted Ecosystem Management: Small Players, Big Roles”, presentata  il 17 febbraio al meeting annuale dell’American Association for the Advancement of Science (AAAS) a Denver, si è avvalsa di un catalogo di centinaia di migliaia di specie di virus a DNA e RNA presenti negli oceani di tutto il mondo e gli scienziati si sono concentrati sui virus che hanno maggiori probabilità di combattere il cambiamento climatico aiutando a intrappolare l’anidride carbonica nell’acqua di mare o, utilizzando tecniche simili, su diversi virus che potrebbero impedire la fuoriuscita del metano dallo scongelamento del suolo artico.

Combinando i dati del sequenziamento genomico con l’analisi dell’intelligenza artificiale, i ricercatori scoperto che «“Rubano” i geni ad altri microbi o cellule che elaborano il carbonio nel mare. La mappatura dei geni del metabolismo microbico, compresi quelli per il metabolismo del carbonio sottomarino, ha rivelato 340 percorsi metabolici conosciuti in tutti gli oceani globali. Di questi, 128 sono stati ritrovati anche nei genomi dei virus oceanici». Presentando la ricerca al meeting AAAS. il microbiologo Matthew Sullivan, direttore del Center of Microbiome Science dell’Ohio State University (OSU), ha detto: «Sono rimasto scioccato dal fatto che il numero fosse così alto»

Dopo aver estratto questa enorme quantità di dati, il team ha rivelato quali virus hanno un ruolo nel metabolismo del carbonio. Sullivan ha spiegato che «La modellizzazione riguarda il modo in cui i virus possono aumentare o diminuire l’attività microbica nel sistema. La modellazione metabolica comunitaria ci sta dicendo dati da sogno: quali virus stanno prendendo di mira le vie metaboliche più importanti, e questo è importante perché significa che sono buone leve su cui agire».

Sullivan è stato il coordinatore per i  virus del Tara Oceans Consortium, uno studio globale triennale sull’impatto del cambiamento climatico sugli oceani del mondo che ha prelevato 35.000 campioni di acqua per analizzarne la varietà microbica. Il suo laboratorio si concentra sui fagi, sui virus che infettano i batteri e sul loro potenziale di ampliamento ingegneristico per manipolare i microbi marini, convertendo il carbonio nella forma organica più pesante che affonda sul fondale oceanico.

Lo scienziato dell’OSU ha anche parlato dei i primi tentativi di utilizzare i fagi come strumenti di geoingegneria in un ecosistema completamente diverso: il permafrost nel nord della Svezia, dove i microbi cambiano il clima e rispondono ai cambiamenti climatici mentre il terreno ghiacciato si scioglie.

Il discorso di Sullivan era intitolato “From ecosystems biology to managing microbiomes with viruses” ed è stato presentato nella sessione “Microbiome-Targeted Ecosystem Management: Small Players, Big Roles”. Virginia Rich, co-direttrice dell’EMERGE Biology Integration Institute dell’OSU, che ha co-organizzato la sessione al meeting AAAS con Ruth Varner dell’università del New Hampshire, ha fatto parte del team di ricercatori australiani, statuinitensi e svedesi che nel febbraio 2014  ha pubblicato su Nature Communications lo studio “Discovery of a novel methanogen prevalent in thawing permafrost” che ha identificato una stirpe di organismi unicellulari nel terreno del permafrost in disgelo come un significativo produttore di metano, un potente gas serra.  Ora la Rich sta cercando di capire meglio come i microbiomi rispondono al disgelo del permafrost e alle conseguenti interazioni climatiche. I microbiologi Funing Tian e James Wainaina hanno dato un contributo significativo al lavoro di modellazione metabolica della comunità.

Sullivan ha ricordato che «Gli oceani assorbono carbonio e questo ci protegge dal cambiamento climatico. La CO2 viene assorbita come gas e la sua conversione in carbonio organico è dettata dai microbi. Quel che stiamo vedendo ora è che i virus prendono di mira le reazioni più importanti nel metabolismo di queste comunità microbiche. Questo significa che possiamo iniziare a studiare quali virus potrebbero essere utilizzati per convertire il carbonio nel tipo che desideriamo. In altre parole, possiamo rafforzare questo enorme buffer oceanico affinché diventi un deposito di carbonio per guadagnare tempo contro il cambiamento climatico, invece di rilasciare il carbonio nell’atmosfera per accelerarlo?»

Nel 2016, il team di Tara ha stabilito che l’affondamento del carbonio nell’oceano era correlato alla presenza di virus. Gli scienziati dell’OSU ritengono che «I virus aiutano ad assorbire il carbonio quando le cellule di trasformazione del carbonio infettate dal virus si raggruppano in aggregati più grandi e appiccicosi che cadono sul fondo dell’oceano». I ricercatori hanno sviluppato analisi basate sull’intelligenza artificiale per identificare tra migliaia di virus i pochi “VIP” da coltivare in laboratorio e utilizzare come sistemi modello per la geoingegneria oceanica.

Questo nuovo modello metabolico comunitario, sviluppato da  Damien Eveillard del Tara Oceans Consortium, aiuta a capire quali conseguenze indesiderate potrebbero derivare da un simile approccio. Il laboratorio di Sullivan sta utilizzando queste scoperte e questi dati per applicarli all’utilizzo dei virus per «Progettare i microbiomi in ambienti umani per favorire il recupero dalle lesioni del midollo spinale, migliorare i risultati per i bambini nati da madri con HIV, combattere le infezioni nelle ferite da ustione e altro ancora».

Sullivan ha concluso: «La discussione che stiamo avendo è: ‘Quanto di questo è trasferibile?’ L’obiettivo generale è progettare i microbiomi per arrivare a quel che riteniamo sia qualcosa di utile».