Senza impollinatori i fiori di campo evolvono verso l’autofecondazione

Un circolo vizioso da interrompere per evitare conseguenze trofiche a cascata

[5 Gennaio 2024]

Secondo lo studio “Ongoing convergent evolution of a selfing syndrome threatens plant-pollinator interactions”, pubblicato recentemente su New Phytologist da un team di ricercatori del Centre d’Ecologie Fonctionnelle et Evolutive (CEFE) dell’Université de Montpellier e del CNRS,  «In un ambiente privo di insetti impollinatori, le piante da fiore che si sviluppano nelle colture agricole tendono ad affrancarsi dagli impollinatori. Man mano che la loro riproduzione diventa più difficile, evolvono verso l’autofecondazione».

Al CNRS spiegano che «Confrontando i fiori della viola del pensiero, che crescono oggi nella regione parigina, con i fiori della viola dei campi (Viola arvensis)  delle stesse località “resuscitati” in laboratorio da semi raccolti tra il 1990 e il 2000, il gruppo di ricerca ha scoperto che i fiori attuali sono più piccoli del 10% e producono il 20%. di nettare in meno  e sono meno visitati dagli impollinatori rispetto ai loro antenati».

I ricercatori francesi ritengono che questi rapidi sviluppi siano dovuti al declino delle popolazioni di impollinatori e ricordano che uno studio condotto in Germania dimostra che oltre il 75% della biomassa degli insetti volanti è scomparsa dalle aree protette negli ultimi 30 anni.

Il nuovo studio francese evidenzia «Un circolo vizioso in cui il declino degli impollinatori porta a una ridotta produzione di nettare da parte dei fiori, che potrebbe, a sua volta, peggiorare il declino di questi insetti»

I ricercatori concludono: «In sintesi, il nostro studio evidenzia il potenziale delle popolazioni naturali di rispondere rapidamente ai cambiamenti ambientali. Tuttavia, tali risposte evolutive possono avere impatti sulle interazioni ecologiche, in questo caso sulle interazioni pianta-impollinatore, e conseguenze trofiche potenzialmente a cascata negli ecosistemi. C’è quindi un urgente bisogno di indagare se questi risultati siano sintomatici di un modello più ampio tra le angiosperme e i loro impollinatori, e in tal caso capire se esiste la possibilità di invertire questo processo e interrompere questo eco-evolutionary-positive feedback loop».