Parco nazionale Arcipelago toscano: nuovo intervento di ripristino degli ambienti dunali a Lacona

Tra la sabbia e le piante delle dune dell’Isola d’Elba, i pini attaccati dal blastofago

[12 Marzo 2024]

Si avvia alla conclusione il secondo intervento di ripristino degli ambienti dunali di Lacona E IL Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano (PNAT) evidenzia che «Come è noto, le dune sabbiose, oltre che per le specie animali e vegetali, più o meno rare, che vi vivono assumono una grande importanza per la protezione delle zone litoranee. Esse costituiscono una riserva di sabbia che possono rifornire all’arenile in occasione di grandi mareggiate e contribuiscono alla tutela delle falde dulcacquicole costiere. Purtroppo, tale ambiente risulta particolarmente vulnerabile alla pressione antropica, in quanto fondato su un fragile equilibrio dinamico tra fattori morfologici e climatici e negli ultimi decenni il crescente utilizzo degli arenili a scopo turistico-ricreativo insieme ai fenomeni di erosione costiera, ne hanno messo a rischio l’integrità e la funzionalità».

Nel biennio 2016-17, grazie a finanziamenti della Commissione Europea con il progetto Resto Con LIFE, il PNAT ha realizzato una serie di interventi di ripristino per restituire “spazio” al sistema dunale perché possa  espletare le sue  dinamiche evolutive. Purtroppo, nell’ottobre 2018 l’area compresa tra il Mar di Sardegna, il Mar di Corsica e il Mar Ligure è stata interessata da un evento meteorologico di eccezionale portata e l’arenile e il sistema dunale di Lacona hanno subito dei fenomeni erosivi che sono stati limitati e in parte anche evitati grazie alle opere già presenti, che però sono state  gravemente danneggiate.

Sono quindi stati avviati, con un finanziamento del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, nuovi interventi che hanno l’obiettivo di «Proteggere e ripristinare la morfologia dunale –  spiega il Parco –   grazie all’utilizzo di tecniche di ingegneria naturalistica, che diminuiscono l’energia cinetica delle onde e favoriscono l’accumulo di sabbia a retro delle stesse, con l’accrescimento della zona antedunale. Così come le effimere piante che si trovano molto vicino al mare anche gli alberi che crescono a ridosso delle dune hanno il proprio ruolo funzionale; la pineta di pino domestico necessitava di un’attenzione particolare».

La pineta della spiaggia di Lacona era già diradata con i primi interventi, Rimuovendo le piante con chioma deperiente o aduggiata o quelle che esercitano una concorrenza eccessiva nei confronti di quelle meglio conformate, ma è stata attaccata pesantemente da un parassita, il blastofago dei pini (Tomicus destruens).

l’Ente Parco evidenzia che «La rapida diffusione del blastofago ha costretto quindi ad intervenire su un numero maggiore di individui rispetto a quello oggetto di un normale diradamento (complessivamente 46 di cui 24 risultati attaccati). Purtroppo, non restava che l’abbattimento, come unica soluzione per tentare di contenere la diffusione del coleottero. Tra questi esemplari abbattuti, ve ne erano 12 già completamente secchi; alcuni da diversi mesi, altri da 1-2 anni. Uno di questi era un pino domestico avente carattere monumentale, ben conosciuto per le notevoli dimensioni e la maestosità della chioma. Assieme ad un altro paio di esemplari posti nelle vicinanze, e per adesso ancora apparentemente sani, risultano le piante attualmente più longeve del Golfo. Tuttavia non sempre è utile procedere con la rimozione dell’intero fusto anche quando la pianta è completamente secca; infatti per motivi ecologici è ormai consolidata la pratica, negli ambienti naturali e talvolta anche nei giardini storici, di rilasciare in piedi i fusti secchi poiché la presenza di legno morto in grandi quantità, necromassa, favorisce molte specie di insetti (non dannosi), ma anche vertebrati come uccelli e piccoli mammiferi, che utilizzano questa risorsa per svolgere alcune fasi del proprio ciclo biologico».

Sembrerebbe un controsenso e la domanda che sorge spontanea è: ma il blastofago non sopravvive? Gli esperti del Parco dicono che «Sembra di no, infatti la necessità di rimuovere o cippare completamente il materiale legnoso attaccato dal blastofago vale per tutte le piante la cui colonizzazione è in corso. Una volta che la pianta ha subito l’attacco e risulta da oltre un anno completamente secca, il suo smaltimento ai fini della limitazione del parassita non ha più senso. Così al Pinone è stata rimossa la chioma e le principali ramificazioni che potevano essere pericolose ed adesso il fusto testimonia non solo la sua storia, che si intreccia con quella di chi ha vissuto e vive in questo luogo, ma anche l’utilità ecologica del rilascio di grandi esemplari morti in piedi all’interno degli ambienti naturali».