Una minaccia galleggiante, Fao: «I container marittimi diffondono malattie e parassiti»

L’International plant protection convention e le sfide del commercio globalizzato

[22 Agosto 2016]

In un comunicato, la Fao sottolinea che «Mentre le fuoriuscite di petrolio destano grande preoccupazione e forte interesse pubblico, le “fuoriuscite biologiche”, che rappresentano una minaccia di lungo termine anche maggiore, non godono della stessa attenzione.  Fu un fungo esotico a devastare miliardi di alberi di castagno americani agli inizi del XX secolo, alterando drammaticamente il paesaggio e l’ecosistema, mentre oggi il minatore smeraldino del frassino – un altro parassita che ha raggiunto nuovi habitat viaggiano lungo è le rotte commerciali internazionali – minaccia di fare lo stesso con un albero di gran pregio da tempo usato dagli uomini per costruire maniglie, chitarre e mobili da ufficio. Forse la più grande “fuoriuscita biologica” mai registrata si verificò quando un microorganismo fungino eucariote chiamato Phytophthora infestans – dal greco “distruttore di piante” – fu trasportato dalle Americhe in Belgio. In pochi mesi arrivò in Irlanda, dove innescò una malattia delle patate che portò fame, morte e migrazioni di massa».

E la lista continua: «Un parente del rospo tossico delle canne molto diffuso in Australia è recentemente sbarcato in Madagascar, trasportato da una nave cargo. Il Madagascar ha una biodiversità unica, e la capacità delle femmine di rospo di deporre fino a 40.000 uova all’anno le rende una minaccia micidiale per i lemuri e gli uccelli locali, mettendo a rischio anche l’habitat naturale di un gran numero di piante ed animali. A Roma, le autorità municipali stanno intensificando la campagna annuale contro la zanzara tigre, una specie invasiva che raggiunse via nave l’Albania negli anni ’70. L’Aedes albopictus, famosa per le sue punture aggressive, è oggi molto prolifica in tutta Italia ed il riscaldamento globale renderà le coste dell’Europa settentrionale particolarmente adatte alla colonizzazione».

Le specie invasive sono la ragione per la quale circa 60 anni fa venne fondata l’International plant protection convention (Ippc) proprio per frenare la diffusione di parassiti e malattie oltre i confini nazionali causata dal commercio internazionale, e per proteggere agricoltori, silvicoltori, la biodiversità, l’ambiente e i consumatori.

Craig Fedchock, coordinatore del segretariato dell’Ippc, cha ha la sua sede presso la Fao a Roma, sottolinea che «Le perdite dei raccolti e i costi per il controllo provocati dai parassiti esotici impongono una tassa considerevole sulla produzione di cibo, fibre e foraggio. Nel complesso, mosche della frutta, coleotteri, funghi e loro simili riducono i raccolti globali dal 20 al 40%».

All’Ippc spiegano che «Le specie invasive raggiungono nuovi habitat in vari modi, ma il trasporto marittimo è il principale. Oggi ciò significa soprattutto container marittimi: a livello globale, vengono effettuati circa 527 milioni di trasporti via mare su container ogni anno – solo la Cina gestisce oltre 133 milioni di container marittimi all’ anno.  Non solamente il carico, ma l’ involucro stesso dei container può fungere da vettore per la diffusione di specie esotiche capaci di provocare veri e propri disastri ecologici ed agricoli».

L’Ippc fa l’esempio di un’ analisi effettuata su 116.701 container marittimi sbarcati in Nuova Zelanda negli ultimi 5 che ha rivelato che «uno su 10 era due volte più contaminato al suo esterno rispetto all’interno. Tra gli investanti nocivi figuravano la falena, la lumaca gigante africana, le formiche argentine e la cimice marmorata asiatica.  Tutte minacce alle coltivazioni, alle foreste e agli habitat urbani. I residui del suolo possono a loro volta contenere semi di piante invasive, nematodi e piante patogene».

Interb venendo a un recente meeting della Commission on phytosanitary measures (Cpm), l’organo decisionale dell’Ippc, Eckehard Brockerhoff, un esperto del New Zealand forest research che ha curato lo studio, ha detto che «I dati ottenuti dalle ispezioni realizzate negli Stati Uniti, in Australia, in Cina e in Nuova Zelanda rivelano che migliaia di organismi appartenenti ad una vasta gamma di taxon vengono trasportati involontariamente via mare attraverso i container». La Fao ricorda che, secondo il recente studio “Should Biological Invasions Be Managed as Natural Disasters?” pubblicato su BioScience, «I danni vanno ben oltre i temi dell’agricoltura e la salute dell’uomo. Le specie invasive possono provocare ostruzioni delle vie idriche e arresti delle attività delle centrali elettriche. Le invasioni biologiche infliggono danni di un ammontare pari a circa il 5% dell’attività economica annuale globale, corrispondente a circa un decennio di disastri naturali» e Brockerhoff aggiunge che «L’inclusione degli effetti più difficili da misurare potrebbe raddoppiare questo dato».

Attualmente, circa il 90% del commercio mondiale avviene via mare, attraverso molte soluzioni logistiche, rendendo facile eludere qualsiasi accordo su un metodo di ispezione comune. Nel 2015, solo negli Usa sono entrati 12 milioni di container, attraverso non meno di 77 porti e la Fao spiega ancora che «Molti carichi, inoltre, si muovono velocemente verso l’interno per accedere direttamente alle filiere di commercio. E’ stato in questo modo che la temibile cimice asiatica – che divora rapidamente colture e frutta pregiate – ha iniziato la sua diffusione in Europa qualche anno fa partendo da Zurigo. Questo animale predilige gli angoli e le fessure dei macchinari in acciaio per ripararsi durante i lunghi viaggi, ed una volta stabilitosi tende a costruire delle nicchie per il letargo invernale nelle abitazioni umane».

La Nuova Zelanda, che dipende fortemente dalle esportazioni agricole, ha attivato un sistema di controllo della sicurezza biologica e dell’igiene dei container per tentare di tenere lontano  le specie. Un sistema che si  basa sulla collaborazione dell’industria marittima e sui controlli nei porti d’approdo del Pacifico ed offre l’incentivo economico di minori controlli all’arrivo per le navi che ne rispettano gli standard. Prima che questo sistema entrasse in vigore un decennio fa, i tassi di contaminazione dei container erano superiori al 50% e da allora sono diminuiti del 90%.

L’anno scorso, la Cpm ha adottato una raccomandazione che incoraggia le organizzazioni nazionali per la protezione delle piante ad individuare e comunicare i rischi provocati dai container e a sostenere l’attuazione del Codice di Condotta Onu per l’Imballaggio delle unità di trasporto merci (Codice CTU), un codice-guida dell’industria di carattere non normativo.  «Questo – conclude la Fao . permetterà agli stakeholder di mettere approntare un sistema per affrontare tali problemi senza rallentare il commercio – un sistema basato su gru automatiche capaci di caricare o scaricare i container in circa 20 secondi in un porto di medie dimensioni come Amburgo, che gestisce un quarto del volume di Shanghai.  Sebbene sia necessario più tempo, sta emergendo un ampio consenso sul fatto che i rischi sono abbastanza grandi da richiedere delle misure più decise. Per ora, si è adottato un approccio cauto, in quanto agli stakeholder è concesso un certo tempo per l’adozione di queste semplici misure volontarie, per un più diffuso uso delle buone pratiche e per una più diligente attuazione delle procedure – a seconda del successo di questi sforzi, la Commissione rivaluterà il possibile sviluppo di un futuro standard internazionale».