Microrganismi sulle foglie degli alberi favoriscono il processo di nitrificazione

UniBo: dimostrata la funzione cruciale di questi microrganismi che fino ad ora si pensava fossero presenti solo nel suolo

[12 Febbraio 2024]

Secondo lo studio “Substantial contribution of tree canopy nitrifiers to nitrogen fluxes in European forests” pubblicato su Nature GeoScience da un team internazionale di ricercatori guidato da Rossella Guerrieri del Dipartimento di Scienze e tecnologie agro-alimentari dell’università di Bologna e del Centro de Investigación Ecológica y Aplicaciones Forestales (CREAF), «Non è solo attività “passiva” quella che avviene quando le chiome degli alberi interagiscono con composti inquinanti dell’azoto in atmosfera, ma anche attiva, ed avviene ad opera di microrganismi che fino ad ora si pensava fossero presenti solo nel suolo».

All’università di Bologna, che ha partecipato allo studio anche con Marco Candela e Silvia Turroni del Dipartimento di farmacia e biotecnologie, spiegano che «Il processo della nitrificazione è molto importante perché aumenta la disponibilità di nitrati, una delle forme di azoto comunemente assorbita dagli alberi. Tuttavia, un eccesso di nitrati nel suolo può, ad esempio raggiungendo la falda, compromettere la qualità dell’acqua, così come anche la crescita degli alberi stessi». Il team di ricerca internazionale ha scoperto che a compiere questa trasformazione “attiva” negli alberi sono dei microrganismi presenti sulle foglie.

La Guerrieri racconta: «Ero affascinata dall’importante ruolo ecologico che hanno le foglie di assorbire l’anidride carbonica, utilizzandola per produrre poi i mattoncini che costituiscono la biomassa legnosa, dove si stocca il carbonio. Ma un’altra funzione delle foglie è quella di trattenere parte degli inquinanti presenti in atmosfera».

Studi precedenti avevano già dimostrato che gli alberi, grazie alla cuticola delle foglie e alla loro struttura morfologica (ad esempio presenza di peli), svolgono una funzione di filtro passivo. La Guerrieri agginge: «Ciò che arriva dall’atmosfera si deposita sulle foglie ma, in alcuni casi, la quantità rilasciata sotto le chiome è minore di quella che arriva dall’atmosfera, in termini di composti dell’azoto: questo significa che le chiome trattengono queste sostanze. Diversamente, in caso di piogge, a fronte di un elevato inquinamento atmosferico, una maggiore quantità di composti dell’azoto arriva al suolo: in sostanza, le foglie non riescono, con la pioggia, a trattenere più di tanto».

Un  meccanismo che è sempre stato spiegato col fatto che parte di questi composti sono in forma secca: si depositano, si accumulano e, quando piove la chioma viene “lavata”. Invece, se le concentrazioni sono molto basse, parte di questo azoto, di fatto, viene assorbito dalle foglie e non scivola giù.

La Guerrieri sottolinea che «Tuttavia a me non convinceva che si trattasse di un semplice meccanismo passivo. Consapevole di quanta biodiversità si trovi nelle foreste, e in particolare nelle chiome, ho iniziato a chiedermi se, invece, questo processo non dipendesse dall’intervento di microrganismi che vivono sulle foglie».

Per cercare conferme di questa ipotesi, il team  di ricerca ha utilizzato la Next Generation Sequence Analysis (NGS),una tecnica che fino a pochi anni fa veniva impiegata solo in campo medico e che consiste nel sequenziamento massivo del DNA dei microrganismi prelevati direttamente da campioni ambientali, così da avere un’istantanea degli organismi che vivono in un dato ambiente. La Guerrieri ha applicato la NGS al campo dell’ecologia forestale e non al suolo ma alle chiome degli alberi. Ha selezionato una decina di foreste di latifoglie (faggio) e di conifere (pino silvestre) incluse nella rete di monitoraggio europea dell’ICP Forests, partendo da zone poco inquinate dei Paesi scandinavi e arrivando a quelle molto inquinate di Belgio, Svizzera e parte della Gran Bretagna, passando per quelle mediamente inquinate del Mediterraneo. Quindi, il team di ricerca ha analizzato «Le acque di precipitazione raccolte in contenitori posizionati sia sotto le chiome degli alberi che fuori dal bosco, mentre aghi e foglie sono stati campionati da diverse porzioni delle chiome degli alberi da treeclimber professionali. È stato un campionamento intensivo, reso possibile grazie ai diversi ricercatori che studiano queste foreste da quasi trent’anni».

La Guerrieri conclude: «Combinando analisi molecolari e analisi chimiche molto sofisticate siamo riusciti a dimostrare la trasformazione biologica che avviene nelle chiome. Abbiamo, inoltre, rilevato che il processo di nitrificazione aumenta all’aumentare dell’azoto in arrivo dall’atmosfera alle piante. Di conseguenza, i valori più alti li abbiamo riscontrati nei siti più inquinati a prescindere dalla specie. I risultati mostrano insomma che il processo di nitrificazione avviene non solo nel suolo ma anche nelle chiome, a seconda di quanto inquinamento è presente in atmosfera. La funzione che svolgono questi microrganismi è cruciale perché senza questa trasformazione biologica ad opera dei nitrificanti presenti sulle foglie, le chiome tratterrebbero, anziché rilasciare, i nitrati, con conseguente riduzione del loro input al suolo. Questo potrebbe avere implicazioni importanti, soprattutto in foreste dove c’è più azoto nel suolo di quello di cui le piante e i microrganismi necessitano, perché, tra le altre cose, favorirebbe il ritorno dell’azoto in atmosfera sotto forma di gas serra».