Allarme globale lanciato dagli scienziati dell’Università di Siena insieme a colleghi americani e australiani

Le microplastiche sono un grande pericolo per i giganti del mare

Microplastiche nelle balene, mante e squali anche negli oceani più incontaminati

[5 Febbraio 2018]

Lo studio Microplastics: No small problem for filter feeding megafauna” appena pubblicato su Trends in Ecology & Evolution da un team di ricercatori dell’università di Siena e della Marine Megafauna Foundation dell’università australiana di Murdoch rivela che «Le microplastiche, particelle di meno di 5 millimetri derivate dalla degradazione di rifiuti plastici, inquinano anche gli oceani considerati più incontaminati e hanno un sicuro impatto sulla salute dei grandi animali marini come la balenottera, lo squalo e la manta».

Maria Cristina Fossi, dell’università di Siena, che è stata una delle prime scienziate a studiare l’impatto degli inquinanti e delle sostanze tossiche contenute nella plastica sulla salute di balene e squali, spiega che «Grazie a questo studio portiamo all’attenzione internazionale il problema dell’impatto delle microplastiche sulla salute dei grandi animali marini, e lanciamo un allarme per un problema di portata mondiale. La plastica e microplastica nei mari e negli oceani costituisce un problema globale, che impatta tutta la catena alimentare. Studiando i grandi animali, che si nutrono di plancton o di prede, e che accumulano grandi quantità di inquinanti attraverso la loro alimentazione, possiamo valutare la portata del problema sulla fauna marina. Sappiamo da anni che la microplastica nel mar Mediterraneo, che è un mare chiuso e densamente popolato, è ad un livello allarmante. Secondo le nostre stime una balenottera del Mediterraneo, filtrando tonnellate d’acqua, assume migliaia di particelle di micropolastica ogni giorno. Ora sappiamo anche, grazie allo studio appena pubblicato, che anche negli oceani considerati più puliti la fauna marina subisce i danni dell’inquinamento da plastica. Abbiamo analizzato il mare di Cortez, nella bassa California, un tratto di oceano popolato da molti grandi animali marini, e abbiamo calcolato una presenza di 0,7 frammenti di plastica per metro cubo. Dunque uno squalo balena, in quell’ambiente che noi pensiamo quasi incontaminato, ingerisce circa 170 particelle di plastica al giorno».

La principale autrice dello studio Elitza Germanov  della Marine Megafauna Foundation , ha detto che «Gli scienziati stanno ancora cercando di capire l’entità del problema delle microplastiche. Nonostante la crescente ricerca sulle microplastiche nell’ambiente marino, ci sono solo alcuni studi che esaminano gli effetti sui grandi filtratori. Questo perché è difficile valutare le concentrazioni di plastica attraverso metodi convenzionali come l’analisi dello stomaco, perché questi non sono adatti alle specie minacciate come gli squali balena e le mante.

Quindi stiamo utilizzando campionamento non letale di piccole quantità di tessuto, che stiamo testando per traccianti chimici utilizzando strumenti analitici sofisticati e sensibili. Sto lavorando con il Separation Science and Metabolomics Laboratory della Murdoch per capire come i livelli di plastica  legati a tossine come pesticidi e sostanze chimiche industriali si accumulino nelle mante e negli squali balena».

Precedenti studi dell’Università di Siena effettuati nel Mediterraneo avevano già evidenziato nel plancton e negli organismi plantofagi (come balene e squali filtratori) «un alto livello di ftalati, composti additivi della plastica nocivi per la salute dei mammiferi e classificati come “distruttori endocrini”. Si tratta di sostanze che vengono metabolizzate e possono avere effetti tossici sui cetacei, interferendo anche con la riproduzione». La Fossi aggiunge: «L’esposizione alle tossine associate alla plastica può essere una importante minaccia alla salute di questi animali perché interferisce sugli ormoni che regolano la crescita, lo sviluppo, il metabolismo e le funzioni riproduttive. Adesso che l’attenzione internazionale è stata portata su questo tema, vogliamo approfondire gli effetti tossicologici, definendo anche quale è la soglia di inquinamento che crea un impatto importante sulla catena alimentare, e in ultima analisi sul pesce che anche noi uomini mangiamo».

La Germanov conclude: «Comprendere gli effetti della contaminazione da microplastica attraverso studi di metabolomica a lungo termine aiuterà a far luce sulla salute delle specie che filtrano il cibo in risposta alle tossine associate alla plastica. Dato che la produzione di plastica è destinata ad aumentare a livello globale, è necessario istituire programmi di monitoraggio a lungo termine nei siti di alimentazione di questi giganti dell’oceano, così potremmo controllare i livelli di tossicità in queste creature per un certo periodo di tempo. Il problema delle microplastiche pone potenzialmente in pericolo la sopravvivenza del turismo basato sulla natura che coinvolge anche queste creature. Questo tipo di turismo rappresenta un’importante fonte di reddito nelle regioni in cui  si riuniscono le specie filtratrici.  Aumentare la consapevolezza di questo problema nelle comunità, tra gli enti governativi e le industrie potrebbe aiutare a cambiare i comportamenti riguardanti la produzione, la gestione e l’utilizzo della plastica».