La bioluminescenza si è evoluta negli animali almeno 540 milioni di anni fa

Gli ottocoralli portano indietro di quasi 300 milioni di anni la comparsa della bioluminescenza

[26 Aprile 2024]

Secondo lo studio “Evolution of bioluminescence in Anthozoa with emphasis on Octocorallia”, pubblicato su Proceedings of the Royal Society B da un team di ricercatori statunitensi e giapponesi, «La bioluminescenza si è evoluta per la prima volta negli animali almeno 540 milioni di anni fa in un gruppo di invertebrati marini chiamati ottocoralli». I risultati degli scienziati guidati dalla biologa e zoologa Danielle DeLeo del Museum of Natural History della Smithsonian Institution e dell’Institute of Environment della Florida International University, portano così indietro di quasi 300 milioni di anni la comparsa della bioluminescenza negli animali e in futuro potrebbero aiutarci a decodificare il motivo per cui la capacità di produrre la luce si è evoluta in tempi così remoti.

Al Museum of Natural History ricordano che «La bioluminescenza – la capacità degli esseri viventi di produrre luce attraverso reazioni chimiche – si è evoluta in modo indipendente almeno 94 volte in natura ed è coinvolta in una vasta gamma di comportamenti tra cui il camuffamento, il corteggiamento, la comunicazione e la caccia. Fino ad ora, si pensava che la prima origine datata della bioluminescenza negli animali risalisse a circa 267 milioni di anni fa in piccoli crostacei marini chiamati ostracodi». Ma le origini della bioluminescenza sono rimaste oscure.

L’autore senior dello studio, Andrea Quattrini , curatore dei coralli del Museum of Natural History, spiega che «Nessuno sa bene perché si sia evoluto per la prima volta negli animali». Per capirlo, Quattrini, la DeLeo e gli altri ricercatori di Monterey Bay Aquarium Research Institute, Nagoya University, Harvey Mudd College e università della California – Santa Cruz, hanno deciso di scrutare la storia evolutiva degli ottocoralli, un gruppo di animali evolutivamente antico e spesso bioluminescente che comprende coralli molli, gorgonie e piume di mare. I ricercatori spiegano ancora che «Come i coralli duri, gli ottocoralli sono minuscoli polipi coloniali che secernono una struttura che diventa il loro rifugio, ma a differenza dei loro parenti pietrosi, quella struttura è solitamente morbida. Gli ottocoralli che brillano in genere lo fanno solo quando vengono urtati o disturbati in altro modo, lasciando un po’ un mistero sulla funzione precisa della loro capacità di produrre luce».

La DeLeo aggiunge: «Volevamo capire i tempi dell’origine della bioluminescenza e gli ottocoralli sono uno dei gruppi di animali più antichi del pianeta conosciuti per la bioluminescenza. Quindi la domanda era: quando hanno sviluppato questa capacità?».

Nel 2022, Quattrini, Catherine McFadden dell’ Harvey Mudd College e Leen van Ofwegen del Naturalis Biodiversity Center  hanno pubblicato sul Bulletin of the Society of Systematic Biologists lo studio “Revisionary systematics of Octocorallia (Cnidaria: Anthozoa) guided by phylogenomics” che un albero evolutivo degli ottocoralli estremamente dettagliato e ben supportato, creando una mappa delle relazioni evolutive, o filogenesi, utilizzando dati genetici di 185 specie di ottocoralli. Grazie a questo albero evolutivo basato su prove genetiche, DeLeo e Quattrini hanno poi individuato due fossili di ottocoralli di età conosciute all’interno dell’albero in base alle loro caratteristiche fisiche e il team di scienziati è stato in grado di utilizzare l’età dei fossili e le loro rispettive posizioni nell’albero evolutivo degli ottocoralli fino ad oggi per capire approssimativamente quando i lignaggi degli ottocoralli si sono divisi per diventare due o più rami. Successivamente, il team ha mappato i rami della filogenesi che presentavano specie bioluminescenti viventi. Una volta datato l’albero evolutivo ed etichettati i rami che contenevano specie luminose, il team ha poi utilizzato una serie di tecniche statistiche per eseguire un’analisi chiamata ricostruzione dello stato ancestrale.

Quattrini evidenzia: «Se sappiamo che queste specie di ottocoralli che vivono oggi sono bioluminescenti, possiamo usare le statistiche per dedurre se i loro antenati avevano un’alta probabilità di essere bioluminescenti o meno. Più sono le specie viventi con la caratteristica condivisa, maggiore è la probabilità che, tornando indietro nel tempo, anche quegli antenati avessero quella caratteristica».

Per ricostruire lo stato ancestrale degli ottocoralli, i ricercatori hanno utilizzato numerosi metodi statistici diversi, ma tutti sono arrivati ​​allo stesso risultato: «Circa 540 milioni di anni fa, l’antenato comune di tutti gli ottocoralli era molto probabilmente bioluminescente. Qiesto avvenne 273 milioni di anni prima rispetto ai crostacei ostracodi luminosi che in precedenza detenevano il titolo di prima evoluzione della bioluminescenza negli animali».

Secondo la DeLeo e Quattrini, «Le migliaia di rappresentanti viventi degli ottocoralli e l’incidenza relativamente elevata di bioluminescenza suggeriscono che il tratto ha avuto un ruolo nel successo evolutivo del gruppo. Anche se questo solleva ulteriormente la questione di quale sia esattamente lo scopo per cui gli ottocoralli utilizzano la bioluminescenza, il fatto che sia stata conservata per così tanto tempo evidenzia quanto sia diventata importante questa forma di comunicazione per la loro forma fisica e sopravvivenza».

Ora che i ricercatori sanno che l’antenato comune di tutti gli ottocoralli probabilmente aveva già la capacità di produrre luce propria, sono interessati a realizzare un resoconto più approfondito di quali delle oltre 3.000 specie viventi del gruppo possono ancora illuminarsi e quali hanno perso questa caratteristica . Questo potrebbe aiutare a concentrarsi su una serie di circostanze ecologiche correlate alla capacità di bioluminescenza e potenzialmente illuminarne la funzione.

La DeLeo ha detto che «Io e alcuni dei miei coautori stiamo lavorando alla creazione di un test genetico per determinare se una specie di ottocoralli abbia copie funzionali dei geni alla base della luciferasi, un enzima coinvolto nella bioluminescenza. Per le specie di luminosità sconosciuta, un test del genere consentirebbe ai ricercatori di ottenere una risposta in un modo o nell’altro più rapidamente e più facilmente».

Oltre a far luce sulle origini della bioluminescenza, il nuovo studio fornisce anche un contesto evolutivo e informazioni che possono facilitare il monitoraggio e la gestione degli ottocoralli odiwrni che sono minacciati dai cambiamenti climatici e dall’estrazione delle risorse, in particolare dalla pesca, dall’industria del petrolio e del gas e, più recentemente. dall’estrazione di minerali marini.

La DeLeo e Quattrini concludono: «C’è ancora molto da imparare prima che gli scienziati possano capire perché la capacità di produrre luce si è evoluta per la prima volta, e sebbene i nostri risultati collochino le sue origini in tempi molto profondi dell’evoluzione, rimane la possibilità che studi futuri scopriranno che la bioluminescenza è ancora più antica».