I costi globali sono quadruplicati ogni decennio dal 1970

Ipbes: le specie aliene invasive ci costano 423 miliardi di dollari l’anno

Hanno un ruolo chiave nel 60% delle estinzioni di piante e animali: sono una grave minaccia globale per natura, economie, sicurezza alimentare e salute umana

[5 Settembre 2023]

Secondo l’Assessment report on invasive alien species and their control, approvato il 2 settembre a Bonn dai rappresentanti dei 143 Stati membri dell’Intergovernmental science-policy platform on biodiversity and ecosystem services (Ipbes), «la grave minaccia globale rappresentata dalle specie esotiche invasive è sottovalutata e spesso non riconosciuta».

Nelle regioni e nei biomi di tutto il mondo le attività antropiche a hanno causato l’introduzione di  più di 37.000 specie esotiche e l’Ipbes avverte che si tratta di una stima prudenziale e che sta aumentando a ritmi senza precedenti». Il rapporto evidenzia che «più di 3.500 sono specie esotiche invasive dannose che minacciano seriamente la natura, il contributo della natura alle persone e la buona qualità della vita. Troppo spesso ignorate fino a quando non è troppo tardi, le specie esotiche invasive rappresentano una sfida significativa per le popolazioni di tutte le regioni e di ogni Paese» e rileva che «oltre ai drammatici cambiamenti alla biodiversità e agli ecosistemi, il costo economico globale delle specie esotiche invasive ha superato i 423 miliardi di dollari all’anno, nel 2019, con costi almeno quadruplicati ogni decennio dal 1970».

Nel 2019, il Global Assessment Report dell’Ipbes aveva rilevato che le specie esotiche invasive sono uno dei 5 più importanti fattori diretti della perdita di biodiversità, insieme ai cambiamenti nell’uso del territorio e del mare, allo sfruttamento diretto delle specie, ai cambiamenti climatici e all’inquinamento. Sulla base di questa constatazione, i governi hanno incaricato l’Ipbes di fornire le migliori prove disponibili e le migliori opzioni politiche per affrontare le sfide delle invasioni biologiche. Il risultato è l’Assessment report on invasive alien species and their control” che è stato realizzato da 86 esperti provenienti da 49 Paesi, che hanno lavorato per più di 4 anni e mezzo e che si basa su oltre 13.000 riferimenti, inclusi contributi molto significativi delle popolazioni indigene e delle comunità locali, rendendolo la valutazione più completa mai effettuata sulle specie esotiche invasive in tutto il mondo.

La britannica Helen Roy, co-presidente dell’Assessment insieme al cileno Anibal Pauchard (Cile) e  al canadese Peter Stoett, conferma che «le specie esotiche invasive rappresentano una grave minaccia per la biodiversità e possono causare danni irreversibili alla natura, compresa l’estinzione di specie locali e globali, e minacciare anche il benessere umano».

Secondo la banca dati Ispra, in Italia sono state identificate oltre 3.500 specie aliene, di cui 3.363 attualmente presenti. L’Ispra spiega che «Molte sono arrivate con merci o mezzi di trasporto. Tra i casi più noti va ricordata quello della zanzara tigre (Aedes albopictus), una specie importata dall’Asia in Europa, che ha trovato anche in Italia una nicchia adatta per la sua diffusione. Una specie aliena particolarmente dannosa è la testuggine palustre americana (Trachemys scripta), che in natura crea problemi a una specie nativa, la testuggine palustre europea (Emys orbicularis)».

Gli autori del rapporto sottolineano che «Non tutte le specie esotiche diventano invasive: le specie esotiche invasive sono quel sottoinsieme di specie esotiche note per essersi insediate e diffuse, che causano effetti negativi sulla natura e spesso anche sull’uomo. Ed è noto che circa il 6% delle piante aliene; 22% degli invertebrati alieni; 14% dei vertebrati alieni;  l’11% dei microbi alieni sono invasivi e comportano gravi rischi per la natura e per le persone». Si è scoperto che le persone con la maggiore dipendenza diretta dalla natura, come le popolazioni indigene e le comunità locali, corrono un rischio ancora maggiore: «Più di 2.300 specie esotiche invasive si trovano nelle terre sotto la tutela delle popolazioni indigene, minacciando la loro qualità di vita e persino le identità culturali».

Mentre, storicamente, molte specie aliene sono state introdotte di proposito per i loro benefici per le persone, il rapporto Ipbes evidenzia che «gli impatti negativi di quelle che diventano invasive sono enormi per la natura e le persone» e Pauchard aggiunge che «le specie aliene invasive sono state un fattore importante nel 60% e l’unico fattore determinante nel 16% delle estinzioni globali di animali e piante che abbiamo registrato, e almeno 218 specie aliene invasive sono state responsabili di oltre 1.200 estinzioni locali. In effetti, l’85% degli impatti delle invasioni biologiche sulle specie autoctone sono negativi» Esempi di questi impatti includono il modo in cui i castori nordamericani ( Castor canadensis ) e le ostriche del Pacifico ( Magallana gigas)) modificano gli ecosistemi trasformando gli habitat, spesso con gravi conseguenze per le specie autoctone. Quasi l’80% degli impatti documentati delle specie esotiche invasive sul contributo della natura alle persone sono anch’essi negativi, soprattutto a causa dei danni alle riserve alimentari, come l’impatto del granchio costiero europeo (Carcinus maenas) sui fondali commerciali di molluschi nel New England e il danno causato dalla falsa cozza caraibica (Mytilopsis sallei) a risorse ittiche di importanza locale in India».

L’85% degli impatti documentati influiscono negativamente anche sulla qualità della vita delle persone, ad esempio attraverso impatti sulla salute, comprese malattie come la malaria, Zika e la febbre del Nilo occidentale, diffuse da specie di zanzare esotiche invasive come Aedes albopictus e  Aedes  a  Egyptii . Le specie esotiche invasive danneggiano anche i mezzi di sussistenza, ad esempio nel Lago Vittoria, dove la pesca è diminuita a causa dell’esaurimento della tilapia, a seguito della diffusione del giacinto d’acqua (Pontederia crassipes), che è la specie esotica invasiva terrestre più diffusa al mondo. La Lantana (Lantana camara), un arbusto da fiore, e il ratto nero (Rattus rattus) sono il secondo e il terzo più diffusi a livello globale, con impatti di vasta portata sulle persone e sulla natura.

Per Pauchard, «sarebbe un errore estremamente costoso considerare le invasioni biologiche solo come un problema di qualcun altro. Sebbene le specie specifiche che infliggono danni varino da luogo a luogo, si tratta di rischi e sfide con radici globali ma impatti molto locali, che affrontano persone in ogni Paese, di ogni provenienza e in ogni comunità: anche l’Antartide è colpita».

Il rapporto dimostra che «il 34% degli impatti delle invasioni biologiche sono stati segnalati dalle Americhe, il 31% dall’Europa e dall’Asia centrale, il 25% dall’Asia e dal Pacifico e circa il 7% dall’Africa. La maggior parte degli impatti negativi sono segnalati sul territorio (circa il 75%) – soprattutto nelle foreste, nei boschi e nelle aree coltivate – con un numero notevolmente inferiore segnalato negli habitat di acqua dolce (14%) e marini (10%). Le specie esotiche invasive sono più dannose sulle isole, con un numero di piante esotiche che ora supera il numero di piante autoctone in oltre il 25% di tutte le isole».

La Roy aggiunge: «La futura minaccia rappresentata dalle specie aliene invasive è una delle maggiori preoccupazioni. Il 37% delle 37.000 specie aliene conosciute oggi sono state segnalate dal 1970, in gran parte a causa dell’aumento dei livelli del commercio globale e dei viaggi umani. In condizioni di “business as usual”, prevediamo che il numero totale di specie aliene continuerà ad aumentare in questo modo. Ma il business as usual è in realtà improbabile. Con così tanti importanti fattori di cambiamento destinati a peggiorare, si prevede che l’aumento delle specie esotiche invasive e il loro impatto negativo saranno probabilmente significativamente maggiori. L’accelerazione dell’economia globale, l’intensificazione e l’espansione dei cambiamenti nell’uso del territorio e del mare, nonché i cambiamenti demografici porteranno probabilmente ad un aumento delle specie esotiche invasive in tutto il mondo. Anche senza l’introduzione di nuove specie esotiche, le specie esotiche già consolidate continueranno ad espandere i loro areali e a diffondersi in nuovi paesi e regioni. Il cambiamento climatico peggiorerà ulteriormente la situazione».

Il rapporto sottolinea che le interazioni tra le specie esotiche invasive e altri fattori di cambiamento amplificheranno probabilmente il loro impatto: ad esempio le piante esotiche invasive possono interagire con il cambiamento climatico.

Gli esperti dell’Ipbes sottolineano le misure in atto sono generalmente insufficienti per affrontare queste sfide: «Mentre l’80% dei Paesi ha obiettivi relativi alla gestione delle specie esotiche invasive nei propri piani nazionali sulla biodiversità, solo il 17% dispone di leggi o regolamenti nazionali che affrontano specificamente questi problemi. Questo aumenta anche il rischio di specie esotiche invasive per gli Stati confinanti. Il rapporto rileva che il 45% di tutti i Paesi non investe nella gestione delle invasioni biologiche».

Ma il rapporto evidenzia anche che «le future invasioni biologiche, le specie esotiche invasive e i loro impatti possono essere prevenuti attraverso una gestione efficace e approcci più integrati». Per Pauchard «la buona notizia è che, per quasi ogni contesto e situazione, esistono strumenti di gestione, opzioni di governance e azioni mirate che funzionano davvero. La prevenzione è in assoluto l’opzione migliore e più economicamente vantaggiosa, ma l’eradicazione, il contenimento e il controllo sono efficaci anche in contesti specifici. Il ripristino degli ecosistemi può anche migliorare i risultati delle azioni di gestione e aumentare la resistenza degli ecosistemi alle future specie esotiche invasive. In effetti, la gestione delle specie esotiche invasive può aiutare a mitigare gli effetti negativi di altri fattori di cambiamento».

Il rapporto identifica le misure di prevenzione – come la biosicurezza delle frontiere e i controlli rigorosi sulle importazioni – che hanno funzionato in molti casi, come i successi ottenuti in Australasia nel ridurre la diffusione della cimice marmorata marrone (Halyomorpha halys). La preparazione, il rilevamento precoce e la risposta rapida hanno dimostrato di essere efficaci nel ridurre i tassi di insediamento di specie esotiche e di essere particolarmente critici per i sistemi idrici marini e collegati. Il programma PlantwisePlus, che assiste i piccoli agricoltori in Africa, Asia e America Latina, è messo in luce dal rapporto come un buon esempio dell’importanza delle strategie di sorveglianza generale per individuare nuove specie esotiche.

E il rapporto conferma che «l’eradicazione si è rivelata efficace ed economicamente vantaggiosa per alcune specie esotiche invasive, soprattutto quando le loro popolazioni sono piccole e a lenta diffusione, in ecosistemi isolati come le isole. Alcuni esempi di ciò si trovano nella Polinesia francese, dove il ratto nero (Ratus rattus) e il coniglio (Oryctolagus cuniculus) sono stati eradicati con successo». Il rapporto indica che «l’eradicazione delle piante esotiche è più impegnativa a causa del periodo di tempo in cui i semi possono rimanere dormienti nel terreno». Gli autori aggiungono che «il successo dei programmi di eradicazione dipende, tra gli altri elementi, dal sostegno e dall’impegno delle parti interessate, delle popolazioni indigene e delle comunità locali».

L’Ipbes aggiunge che «quando l’eradicazione non è possibile per diversi motivi, le specie esotiche invasive possono spesso essere contenute e controllate – soprattutto nei sistemi terrestri e acquatici chiusi, nonché nell’acquacoltura – un esempio è il contenimento del tunicato asiatico alieno invasivo (Styela clava) nelle cozze blu d’acquacoltura in Canada. Il contenimento efficace può essere fisico, chimico o biologico, sebbene l’adeguatezza e l’efficacia di ciascuna opzione dipenda dal contesto locale. L’uso del controllo biologico per le piante esotiche e gli invertebrati invasivi, come l’introduzione del fungo della ruggine (Puccinia spegazzinii) per controllare la vite amara (Mikania micrantha) nella regione dell’Asia-Pacifico, si è rivelato efficace, con un successo in oltre il 60% dei casi conosciuti.  Stoett fa notare che «uno dei messaggi più importanti del rapporto è che è possibile realizzare progressi ambiziosi nella lotta alle specie esotiche invasive. Ciò che serve è un approccio integrato specifico al contesto, attraverso e all’interno dei Paesi e dei vari settori coinvolti nella fornitura di biosicurezza, compresi il commercio e i trasporti; salute umana e vegetale; sviluppo economico e altro ancora. Ciò avrà benefici di vasta portata per la natura e le persone».

Le opzioni esplorate nel rapporto includono la considerazione di politiche e codici di condotta coerenti tra settori e livelli; impegno e risorse; la sensibilizzazione e l’impegno del pubblico, come le campagne di citizen science; sistemi informativi aperti e interoperabili; colmare le lacune della conoscenza (gli autori identificano più di 40 aree in cui è necessaria la ricerca); nonché una governance inclusiva ed equa.

La segretaria esecutiva dell’Ipbes, Anne Larigauderie, conclude: «L’urgenza immediata delle specie esotiche invasive, con danni estesi e crescenti alla natura e alle persone, rende questo rapporto così prezioso e tempestivo. I governi di tutto il mondo hanno concordato, nel dicembre dello scorso anno, come parte del nuovo Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework, di ridurre l’introduzione e l’insediamento di specie esotiche invasive prioritarie di almeno il 50% entro il 2030. Si tratta di una questione vitale, ma anche un impegno molto ambizioso. Il rapporto Ipbes sulle specie aliene invasive fornisce le prove, gli strumenti e le opzioni per contribuire a rendere questo impegno più realizzabile».