Impatto umano sulla fauna selvatica anche nelle aree protette

La più grande indagine realizzata con foto-trappole potrebbeinformare la politica sulla biodiversità per raggiungere il 30X30

[27 Giugno 2023]

Se  gli obiettivi dell’iniziativa 30X30, sostenuta da oltre 100 Paesi (Italia compresa) avrà successo, entro il 2030 il 30% dei nostri ecosistemi terrestri e marino sarà designato come area protetta destinata a salvaguardare la biodiversità e a contribuire a limitare gli impatti dei cambiamenti climatici. Ma il nuovo studio “Occurrence dynamics of mammals in protected tropical forests respond to human presence and activities”, pubblicato su Nature Ecology & Evolution da un team internazionale di ricercatori guidato da Asunción Semper-Pascual della Norges miljø- og biovitenskapelige universitet (NMBU), rivela per la prima volta che «I mammiferi tropicali che vivono all’interno di aree protette non sono risparmiati dagli effetti dell’attività umana anche quando si verifica al di fuori dei confini protetti».

Basandosi sulla più grande indagine sulla fauna selvatica a lungo termine realizzata con foto-trappole, lo studio fa luce su come i fattori di stress antropici come la densità della popolazione umana e la frammentazione dell’habitat abbiano un impatto su 159 specie di mammiferi in 16 aree protette in tre regioni biogeografiche.  I ricercatori n sono convinti che «Lo studiopotrebbe informare le decisioni politiche sulla biodiversità dei partecipanti al 30X30».

Composto da milioni di immagini provenienti da foto-trappole e raccolte per anni in oltre 1.000 siti, il dataset è stato assemblato da una vastissima rete di stazioni di ricerca che hanno accettato di implementare un protocollo di raccolta dati coerente come parte di una partnership tra Conservation International , la Wildlife Conservation Society e la Smithsonian Institution.

La leader del team di ricerca, Lydia Beaudrot della Rice UNiversity, ha sottolineato che «Questo dataset è semplicemente fenomenale: è stato uno sforzo erculeo diverso da qualsiasi cosa tentata prima».

Lo studio ha rilevato che «Le specie specializzate, che occupano solo habitat specifici, prosperano quando la frammentazione degli habitat è bassa e sono generalmente più suscettibili agli impatti negativi delle attività umane come la caccia e l’uso del suolo rispetto alle specie generaliste, che sono in grado di vivere in habitat più diversi».

Quindi, un pangolino tricuspide (Manis tricuspis) che vive nel  Bwindi Impenetrable National Park  in Uganda dovrebbe cavarsela meglio nel cuore del Parco, perché è più probabile che gli specialisti se la cavino meglio quanto più si allontanano dal confine di un’area protetta.

La Semper-Pascual spiega che «Gli habitat sono più vari ai margini dell’area protetta. Di solito c’è una differenza tra la copertura forestale e il territorio aperto, come un’area utilizzata per l’agricoltura, ecc. Alcune specie generaliste prosperano in questo tipo di ambiente diversificato perché fornisce l’accesso a risorse diverse».

Le specie generaliste, come la tayra (Eira barbara), un onnivoro della famiglia delle donnole grande quanto un cane che si trova sia nella foresta che nelle praterie o nei terreni coltivati, prospera solo vicino ai margini delle aree protette, se la densità della popolazione umana è bassa.

I ricercatori evidenziano che «Comprendere le risposte specifiche delle specie a diversi fattori di stress antropogenico può aiutare a stabilire le priorità di conservazione e guidare la gestione delle aree protette, a livello locale concentrandosi sulle specie più vulnerabili in una regione e a livello globale evidenziando come i fattori su scala territoriale influiscono sulla biodiversità oltre il perimetro protetto».

Per la Beaudrot, «Dobbiamo pensare alla situazione in modo olistico. La conservazione funzionerà al meglio quando sarà affrontata in contesti specifici e di concerto con le persone che vi abitano, in modo da creare situazioni vantaggiose sia per le persone che per la fauna selvaticaz.

La Semper-Pascual conclude: «Man mano che vengono create più aree protette, dobbiamo riflettere attentamente sui fattori che influenzano la biodiversità sia all’interno che all’esterno delle aree protette».