Il linguaggio segreto bioluminescente dei calamari di Humboldt (VIDEO)

Come i calamari cannibali comunicano tra loro “scrivendo” con la luce nelle buie profondità dell’oceano

[7 Aprile 2020]

I calamari di Humboldt o totani giganti del Pacifico (Dosidicus gigas) sono formidabili predatori che cacciano freneticamente in gruppo nelle acque profonde e buie, tra i 200 e gli oltre 800 metri sotto la superficie del mare, dove a loro volta vengono cacciati dai capodogli. Questi cefalopodi che raggiungono le dimensioni di un uomo, arrivano a velocità di oltre 20 km all’ora ma si muovono in branco all’attacco dei pesci con una precisione eccezionale, senza mai scontrarsi o competere per una preda. Gli scienziati da tempo si chiedevano come riuscissero a stabilire quest’ordine nella quasi oscurità della zona crepuscolare dell’oceano.

La risposta arriva dallo studio  “Bioluminescent backlighting illuminates the complex visual signals of a social squid in the deep sea”, pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) da Benjamin Burford dell’Hopkins Marine Station della Stanford University e da Bruce Robison del Monterey Bay Aquarium Research Institute (MBARI): mentre cacciano i diablos rojos, come li chiamano in Sudamerica, comunicano tra loro utilizzando variazioni di colore di alcune aree della loro pelle e questi cambiamenti da chiaro a scuro sono visibili anche nelle buie profondità dell’oceano perché i calamari di Humboldt sono in grado di accendere tutte le aree del loro corpo con una bioluminescenza che le retro-illumina come le parole sullo schermo di un e-book.

Questo incredibile studio in profondità è stata condotta grazie ai video girati da due remotely operated vehicles (Rov), dal MBARI e Burford, che prima di arrivare alla Stanford, all’epoca della ricerca, era al MBARI, spiega: «Ero affascinato dall’idea che dei calamari di acque profonde abbiano tutti questi comportamenti complessi, anche quando sono in acque profonde dove non c’è quasi luce. In questo studio, il mio obiettivo era quello di capire perché stavano facendo queste cose e di collegare questi comportamenti a un contesto ambientale».

Burford e Robison hanno analizzato i video di 25 immersioni di Rov a una profondità compresa tra 266 e 838 metri, identificando i singoli calamari di Humboldt e prendendo appunti dettagliati sul loro comportamento. Per ogni calamaro, hanno registrato il movimento dell’animale e le posizioni del corpo, nonché i mutevoli schemi di colore che esibiva. Al MBARI spiegano che «Per dare un contesto al comportamento dei calamari, Burford ha identificato se ogni calamaro stava nuotando da solo, in un piccolo gruppo di calamari o in un grande gruppo e se un calamaro stava o meno alimentandosi». Anche se i calamari usano spesso posizioni e movimenti del corpo standardizzati durante l’alimentazione, la variazioni di bioluminescenza apparivano indipendentemente dal fatto che i calamari fossero o meno in gruppi e questo, secondo i ricercatori, suggeriva che «sono specificamente correlate al processo di caccia della preda, piuttosto che essere un metodo di comunicazione con altri della stessa specie». Ma i calamari di Humboldt esibivano modelli di colore specifici sui loro corpi soprattutto quando interagivano tra loro in gruppi e, sulla base delle osservazioni del Rov, Burford e Robison, dicono che «I cambiamenti di colore per i calamari possono essere un modo di comunicare tra loro». Ad esempio, una colorazione bioluminescente chiaroscura che spesso esibiscono i calamari di Humboldt durante l’alimentazione potrebbe voler dire: «Guarda qui, sto per catturare quel pesce lanterna!»

Gli scienziati avevano già osservato modelli simili nelle seppie quando due maschi cercano di intimidirsi l’un l’altro e queste manifestazioni antagoniste possono essere particolarmente importanti per i calamari di Humboldt perché sono cannibali. Come ha spiegato ancora Burford: «Se un calamaro è debole o vulnerabile, gli altri spesso lo attaccano. Quando agganciamo un calamaro Humboldt con una lenza e proviamo a tirarlo su, a volte gli altri calamari iniziano a mangiarlo, seguendolo fino in superficie».

Tuttavia, nonostante l’apparente caos della frenesia alimentare, i ricercatori hanno notato che durante il foraggiamento i calamari di Humboldt «evitano il contatto diretto o la competizione fisica per la preda» e questo «suggerisce che i loro cambiamenti di pigmentazione possono essere un mezzo di comunicazione efficace, analogo quello che gli esseri umani usano per gli indicatori di direzione nel traffico».

I comportamenti dei calamari possono essere suddivisi in unità distinte che i calamari si ricombinano per formare messaggi diversi, come fossero lettere dell’alfabeto, gli scienziati hanno notato che a volte i diablos rojos usano schemi di bioluminescenza in sequenze specifiche, simili a quello che fanno gli esseri umani quando dispongono le parole in una frase. Tuttavia, i ricercatori sottolineano che è troppo presto per concludere se le comunicazioni dei calamari costituiscano un linguaggio simile a quello umano, perché, a causa delle piccole dimensioni del campione rilevato, non sono stati in grado di capire i significati di queste sequenze, anche se ipotizzano che i calamari possano usare determinati schemi per modificare il significato di altri schemi, creando ciò che chiamiamo “sintassi”. Quindi, ad esempio, una sequenza di schemi bioluminescenti potrebbe significare «Guarda qui! Vado a prendere quel pesce lanterna», ma una sequenza diversa potrebbe significare «Guarda qui! Se non ti allontani, ti mangerò!»

Al MBARI sono convinti che «Sebbene il significato dei segnali rimanga sconosciuto, questo lavoro suggerisce che i calamari di Humboldt usano i cambiamenti nella colorazione corporea come mezzo di comunicazione coerente ed efficace. Questa scoperta contraddice un paradigma persistente nella biologia marina che i segnali comportamentali sono rari nel mare profondo a causa della mancanza di luce». Burford aggiunge: «E’ del tutto possibile che questi calamari abbiano occhi molto sensibili. Ma penso che sia anche probabile che i loro modelli mutevoli siano retroilluminati dai loro corpi luminescenti».

Burford spiega a sua volta che «Molti calamari vivono in acque abbastanza basse e non hanno questi organi che producono luce, quindi è possibile che questa sia un’innovazione evolutiva chiave per poter vivere nell’oceano aperto. Forse hanno bisogno di questa capacità di illuminarsi e mostrare questi schemi di pigmentazione per facilitare i comportamenti di gruppo per poter sopravvivere là fuori».

Infatti, sulla base delle osservazioni notturne e delle dissezioni dei calamari in superficie, gli autori dello studio ritengono che «i calamari di Humboldt possano far brillare i loro interi corpi con una bioluminescenza giallo verde. A differenza della maggior parte degli altri animali bioluminescenti, tuttavia, gli organi luminosi (fotofori) nei calamari di Humboldt si trovano sotto la loro pelle. I motivi scuri dei calamari, d’altra parte, vengono creati da organi dei pigmenti (cromatogrammi) incorporati nella pelle stessa. Questo significa che i modelli di colore scuro dei calamari potrebbero mascherare parti del corpo luminose del calamaro».

Se questa ipotesi è vera, i motivi chiaro/scuro del calamaro di Humboldt sarebbero visibili sia nell’oscurità delle profondità oceaniche (dove sono retroilluminati), sia vicino alla superficie, dove sarebbero illuminati dalla luce ambientale.

Sfortunatamente, gli scienziati non sono stati in grado di vedere i calamari utilizzare le variazioni della bioluminescenza in profondità perché le videocamere standard montate sui Rov del MBARI non sono abbastanza sensibili – sono troppo luminose – per poter rilevare i bagliori bioluminescenti localizzati dei corpi dei calamari. Videocamere più recenti e più sensibili potrebbero essere in grado di mostrare i corpi luminosi dei calamari e fornire un supporto aggiuntivo per la loro ipotesi.

Burford sottolinea: «Quello che mi piace di questo paper è che stiamo studiando domande davvero basilari sulla vita in acque profonde. Anche se il mare profondo è l’habitat più grande della Terra, è anche il meno conosciuto. Quindi stiamo ancora facendo molte scoperte entusiasmanti sulla storia naturale e sul comportamento animale».

Burford conclude: «A volte pensiamo ai calamari come a forme di vita folli che vivono in questo mondo alieno, ma abbiamo molto in comune: vivono in gruppi, sono sociali, si parlano. La ricerca sul loro comportamento e su quello di altri abitanti delle profondità marine è importante per imparare come può esistere la vita in ambienti alieni, ma in generale ci dice anche di più sulle strategie utilizzate negli ambienti estremi nel nostro pianeta».

Videogallery

  • Decoding the secret language of Humboldt squid