I cambiamenti climatici sono troppo rapidi e gli animali non riescono ad adattarsi

Problemi anche per specie comuni. Per le specie rare e in via di estinzione potrebbe essere ancora peggio

[24 Luglio 2019]

Sebbene gli animali solitamente rispondano con l’adattamento ai cambiamenti climatici, generalmente queste  risposte sono insufficienti e troppo lente per far fronte al rapido ritmo dell’aumento delle temperature in aumento e, a volte, le risposte adattative della fauna vanno nella direzione sbagliata.

Potrebbe essere riassunto così lo studio “Adaptive responses of animals to climate change are most likely insufficient”, pubblicato su Nature Communications da un team di internazionale di 64 ricercatori guidato da Viktoriia Radchuk, Alexandre Courtiol e Stephanie Kramer-Schadt del Leibniz-Institut für Zoo-und Wildtierforschung (IZW), che conferma drammaticamente che «I cambiamenti climatici possono minacciare le specie e portare ad estinzioni che  possono influire sulla salute dell’ecosistema. È quindi di vitale importanza valutare in che misura gli animali possono rispondere alle mutevoli condizioni ambientali – ad esempio spostando i periodi di riproduzione – e se questi spostamenti consentano la persistenza delle popolazioni sul  lungo periodo».

Per rispondere a queste domande, i 64 ricercatori hanno valutato oltre 10.000 studi scientifici pubblicati,  con risultai preoccupanti: «Sebbene gli animali comunemente rispondano ai cambiamenti climatici, tali risposte sono generalmente insufficienti per far fronte al rapido ritmo dell’aumento delle temperature e talvolta vanno in direzioni sbagliate».

Gli scienziati tedeschi spiegano che «Nella fauna selvatica, la risposta ai cambiamenti climatici osservata più comunemente è un’alterazione dei tempi di eventi biologici come il letargo, la riproduzione o la migrazione (tratti fenologici). Anche cambiamenti nella dimensione corporea, nella massa corporea o in altri tratti morfologici sono stati associati ai cambiamenti climatici, ma – come confermato da questo studio – non mostrano alcun modello sistematico».

Dopo aver consultato la la letteratura scientifica per mettere in relazione i cambiamenti climatici nel corso degli anni con possibili cambiamenti nei tratti fenologici e morfologici, i ricercatori hanno valutato se i cambiamenti osservati fossero associati a una maggiore sopravvivenza o ad un aumento del numero della prole. La Radchuk  spiega: «La nostra ricerca si è concentrata sugli uccelli perché i dati completi su altri gruppi erano scarsi». E uno degli autori dello studio,  Steven Beissinger dell’università della California – Berkeley) aggiunge che «Questo suggerisce che le specie potrebbero rimanere nel loro habitat in riscaldamento, purché cambino abbastanza velocemente da far fronte ai cambiamenti climatici», ma Courtiol fa notare che «E’ improbabile che ciò avvenga perché anche le popolazioni che subiscono un cambiamento adattativo lo fanno a un ritmo che non garantisce la loro persistenza».

Un altro degli autori dello studio, l’irlandese Thomas Reed dell’University College Cork, spiega a sua volta che «Questi risultati sono stati ottenuti confrontando la risposta osservata ai cambiamenti climatici con quella attesa se una popolazione fosse in grado di adattare i propri tratti in modo da seguire perfettamente i cambiamenti climatici».

La cosa ancora più preoccupante è che i dati analizzati includono specie molto comuni e abbondanti come la cinciallegra (Parus major), la balia nera (Ficedula hypoleuca) o la gazza comune (Pica pica), specie note per il loro buon adattamento  ai cambiamenti climatici.

Gli scienziati sperano che la loro analisi e i dataset che hanno messo insieme «stimolino la ricerca sulla resilienza delle popolazioni animali di fronte al cambiamento globale e contribuiscano a un migliore quadro predittivo per aiutare le future azioni di gestione della conservazione».

La Kramer-Schadt, a capo del Dipartimento di dinamica ecologica del Leibniz-IZW, conclude: «Rimangono da analizzare le risposte adattive tra le specie rare o in via di estinzione. Temiamo che le previsioni sulla persistenza della popolazione per tali specie di interesse conservazionistico saranno ancora più pessimistiche».