Falliti nuovamente i negoziati Onu per proteggere gli Oceani

Clamoroso flop della High Ambition Coalition (e dell’Italia) mentre la crisi oceanica si aggrava

[29 Agosto 2022]

Nonostante i progressi significativi compiuti nelle ultime 48 ore di due settimane di discussioni, i colloqui per arrivare all’adozione di un United Nations UN Ocean Treaty, non sono riusciti a raggiungere un accordo per realizzare una rete di aree marine protette e Santuari nel 30% degli oceani entro il 2030.

L’ultimo accordo internazionale sulla protezione degli oceani, la UN Convention on the Law of the Sea, è stato firmato 40 anni fa nel 1982 e definiva l’area di alto mare: le acque internazionali nelle quali tutti i Paesi hanno il diritto di pescare, fare spedizioni commerciali  e fare ricerca. Ma a 40 anni da quel Trattato è sempre più evidente che la vita marina che vive al di fuori dell’1,2% dell’Oceano coperto da Aree marine protette è a rischio di sfruttamento a causa delle crescenti minacce del cambiamento climatico, della pesca eccessiva e del traffico marittimo.

A margini della Conferenza di New York, Kristina Gjerde, consulente dell’International union for the conservation of nature (Iucn), ha spiegato a BBC News perché approvare questo trattato sarebbe stato così importante:  «L’alto mare è il cuore blu vitale del pianeta. Quello che accade in alto mare colpisce le nostre comunità costiere, la nostra pesca, la nostra biodiversità, cose a cui tutti teniamo molto».

I negoziati falliti si sono concentrati su quattro aree chiave: Istituzione di aree marine protette; Migliorare le valutazioni di impatto ambientale; Fornire finanziamenti e rafforzamento delle capacità ai Paesi in via di sviluppo; Condivisione delle risorse genetiche marine – materiale biologico proveniente da piante e animali nell’oceano che può avere benefici per la società, come prodotti farmaceutici, processi industriali e cibo.

Prima del meeeting di New York, più di 70 Paesi – compresa l’Italia – avevano già deciso di mettere il 30% del mare e degli oceani del mondo sotto tutela in aree protette, limitando la pesca di altua e lo strascico di profondità, definendo meglio le rotte marittime e mettendo chiare regole e divieti per attività di forte impatto come l’estrazione mineraria in acque profonde, a 200 m o più sotto la superficie.

Ma i Pesi non sono riusciti a raggiungere un accordo su questioni chiave dei diritti di pesca e anche sui finanziamenti e il sostegno ai Paesi in via di sviluppo.

Secondo Greenpeace International,  i Paesi della High Ambition Coalition, della quale fa parte l’Italia, non hanno fatto quel che avevano solennemente promesso alla 26esima Conferenza delle parti dell’United Nations framework convention on climate change (COP26 Unfccc) e «Si sono mossi troppo tardi per arrivare a compromessi su questioni chiave come la finanza, mettendo a repentaglio tutti gli altri progressi compiuti in questo round di colloqui. Di conseguenza, a meno che i ministri non convochino una riunione di emergenza nel 2022 per concludere i negoziati, la High Ambition Coalition e altri come gli Stati Uniti non hanno mantenuto l’impegno di arrivare a  un Trattato quest’anno».

I negoziati sono stati ora sospesi e richiederebbero un ulteriore round di incontri, ma gli ambientalisti fanno notare che «Il tempo sta per scadere per finalizzare un trattato in grado di istituire santuari oceanici in grado di proteggere il 30% degli oceani del mondo entro il 2030. Messo in una scala temporale, gli scienziati dicono è necessario proteggere il 30% degli oceani del mondo e deve essere adottato senza ritardi un Trattato Globale sull’Oceano».

Laura Meller, della campagna Protect the Oceans di Greenpeace international, ce l’ha soprattutto con i Paesi sviluppati che non hanno mantenuto le promesse: «Gli oceani sostengono tutta la vita sulla Terra, ma nelle ultime due settimane l’autoproclamata High Ambition Coalition non ha mostrato abbastanza ambizione o urgenza fino alle ultime ore. Di conseguenza, non sono riusciti a fornire un trattato globale sull’oceano forte in grado di proteggere l’alto mare.  Hanno promesso un Trattato entro il 2022 e il tempo è quasi scaduto. Ma non tutte le responsabilità sono loro: altri Paesi hanno fatto deliberatamente ostruzione, ma la mancata adozione di un Trattato in questi colloqui mette a repentaglio i mezzi di sussistenza e la sicurezza alimentare di miliardi di persone in tutto il mondo. Mentre sono stati compiuti progressi, in particolare sui Santuari oceanici, i membri della High Ambition Coalition e Paesi come gli Stati Uniti si sono mossi troppo lentamente per trovare compromessi, nonostante i loro impegni. Il tempo è scaduto. Un ulteriore ritardo significa distruzione degli oceani. Siamo tristi e delusi. Mentre i Paesi continuano a parlare, gli oceani e tutti coloro che fanno affidamento su di loro ne soffriranno».

Mentre alcuni gruppi di Paesi, come le isole del Pacifico e il Caribbean group, hanno spinto fortemente per portare il Trattato al traguardo, i paesi del Nord del mondo hanno iniziato davvero a lavorare per arrivare a dei compromessi sui punti più controversi solo negli ultimi giorni di negoziati e si sono mossi davvero solo dopo che il 25 agosto è emerso che i negos ziati erano sull’orlo del fallimento. La Russia è il Paese che più si è opposta a concludere positivamente i negoziati, rifiutandosi di impegnarsi nel processo stesso del Trattato o tentando di accordarsi su compromessi al ribasso su una vasta gamma di problemi con l’Unione Europea e molti altri Stati.

Dopo il fallimento di questo quinto meeting <, Greenpeace fa notare che, «Senza una sessione di emergenza speciale per concludere i negoziati sul Trattato sugli oceani globali entro la fine del 2022, sarà difficile proteggere il 30% degli oceani del mondo entro il 2030: l’obiettivo 30×30 che gli scienziati affermano sia il minimo necessario per dare spazio agli oceani per recuperare».

I colloqui sul Trattato ONU sull’Oceano sono sull’orlo del fallimento a causa dell’avidità dei paesi della High Ambition Coalition e di altri come il Canada e gli Stati Uniti. Hanno dato la priorità agli ipotetici profitti futuri delle risorse genetiche marine rispetto alla protezione degli oceani[1]. Ciò sta minando i progressi compiuti sulle aree marine protette nella bozza di testo del trattato e le trattative sono ora destinate a fallire.

I Paesi dell’High Ambition Coalition hanno dimostrato tutta la sua fragilità e l’inconsistenza delle sue promesse. Come spiega efficacemente  Greenpeace International, «Non solo non sono riusciti a finalizzare un Trattato durante questo ciclo di negoziati, ma il testo sta abbassando le sue ambizioni di minuto in minuto. Siamo di fronte a una bozza di  Trattato che farà fatica a fornire il  30×30 e che adotta un approccio ingiusto e neocoloniale rifiutandosi di impegnare qualsiasi finanziamento a beneficio di tutti i Paesi».

I leader che dal 27 giugno al primo luglio si erano impegnati alla United Nations Ocean Conference a proteggere oceani e mari, nemmeno due mesi dopo  a New York si sono rimangiati le loro promesse ed è emerso che dietro le parole altisonanti c’era una mancanza di un impegno che jha ostacolato i negoziati  fin dall’inizio e che negli ultimi giorni è diventato un chiaro rifiuto da parte della High Ambition Coalition e di altri Paesi ad accettare qualsiasi tipo di impegno finanziario, non importa quanto piccolo, E non c’era solo la Russia: il Canada e gli Stati Uniti d’America hanno grosse responsabilità nel fallimento dei negoziati. Non a caso, come ha detto a BBC News Jessica Battle, esperta senior di governance oceanica del Wwf, una delle questioni divisive è stato l’Artico: «Dato che si sta aprendo a causa del cambiamento climatico e che abbiamo inverni molto più brevi, si può aprire una nuova area di estrazione».

Quel che è certo è che ancora una volta sono stati ignorati gli avvertimenti del segretario generale dell’Onu, António Gutierrez, che alla Conferenza di Lisbona aveva ricordato che «L’egoismo di alcuni paesi sta  ostacolando i progressi in questi colloqui». Gli stessi Paesi indicati da Guterres non hanno rispettato i loro impegni e gli ambientalisti parlano di «Occasione persa».  Si teme che senza questo trattato non solo le specie marine non saranno protette, ma anche alcune specie non saranno mai scoperte prima che si estinguano.

Secondo lo studio “Avoiding ocean mass extinction from climate warming”, pubblicato su Science ad aprile da Justin Penn e Curtis Deutsch dell’università di Washington – Seattle e della Princeton University, Princeton e finanziato dalla National Oceanic and Atmospheric Administration Usa (NOAA), sono già a rischio estinzione tra il 10 e il 15% delle specie marine e squali  e razze stanno affrontando una crisi di estinzione globale e avrebbero assolutamente bisogno che il Trattato Onu venisse approvato, Come ricorda Esme Stallard su BBC News, «Squali e altre specie migratorie come tartarughe e balene si muovono attraverso gli oceani del mondo interagendo con attività umane come il trasporto marittimo che può causare loro gravi lesioni e morte.Tutte le specie di squali e razze sono anche sovrasfruttate, portando a un rapido declino della popolazione. Una tale riduzione del numero di animali è stata osservata nella maggior parte dei principali gruppi marini».

Non è ancora chiaro quando i Paesi si ritroveranno per continuare i negoziati, ma è stata fissata una scadenza per la fine dell’anno che dovrà essere ritagliata in un fitto calendario di incontri internazionali, tra i quali la COP27 Unfccc e l’Assemblea generale dell’Onu. Se, come sembra sempre più improbabile, il trattato verrà firmato, ci sarà ancora altro lavoro da fare, Come ha spiegato Liz Karan direttrice campagna Protecting Ocean Life on the High Seas della Pew:  «Non delineerà quali aree dell’oceano saranno poste sotto protezione marina, ma solo il processo attraverso il quale organizzazioni e Paesi possono richiederlo.

Allo stesso modo, il trattato non dovrebbe includere cifre esatte sul sostegno finanziario che le nazioni in via di sviluppo riceveranno dai Paesi sviluppati. Nel precedente trattato del 1982 che c’erano promesse di sostegno che non sono state mantenute, e questo ha frustrato alcuni Paesi in via di sviluppo».

Il destino degli oceani dipende anche dall’azione globale sui cambiamenti climatici, che viene decisa dalle COP Unfccc. Secondo la Nasa, i mari del mondo hanno assorbito il 90% del riscaldamento che si è verificato a causa dell’aumento dei gas serra di origine antropica e Alex Rogers dell’università di Oxford, che ha fornito i dati per informare il processo di redazione del trattato Onu, ammonisce: «La metà del nostro pianeta che è rappresentata dell’alto mare che sta proteggendo la vita terrestre dai peggiori impatti dei cambiamenti climatici». Ma a essere in alto mare sembrano la volontà politica e le promesse dei governi di un pianeta che sta soffocando di troppe promesse non mantenute.