Entro il 2050 il cambiamento climatico potrebbe diventare il principale motore del declino della biodiversità

Il cambiamento climatico metterà a dura prova la biodiversità e i servizi ecosistemici

[26 Aprile 2024]

Secondo lo studio multi-modello “Global trends and scenarios for terrestrial biodiversity and ecosystem services from 1900 to 2050”, pubblicato su Science da un foltissimo team internazionale di ricercatori che comprendeva anche Daniele Baisero e Carlo Rondinini dell’università La Sapienza di Roma. «La biodiversità globale è diminuita tra il 2% e l’11% nel corso del XX secolo a causa del solo cambiamento nell’uso del territorio. Le proiezioni mostrano che il cambiamento climatico potrebbe diventare il principale motore del declino della biodiversità entro la metà del 21° secolo».

L’analisi è stata condotta dal Deutschen Zentrum für integrative Biodiversitätsforschung (iDiv) e dalla Martin-Luther-Universität Halle-Wittenberg (MLU) ed è il più grande studio di modellizzazione di questo genere realizzato finora. I ricercatori hanno confrontato 13 modelli per valutare l’impatto del cambiamento dell’uso del territorio e del cambiamento climatico su 4 distinti parametri di biodiversità, nonché su nove servizi ecosistemici.

Secondo l’Intergovernmental Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (IPBES), il cambiamento dell’uso del territorio è considerato il principale motore del cambiamento della biodiversità, ma gli scienziati sono divisi su quanto sia cambiata la biodiversità negli ultimi decenni. Per rispondere meglio a questa domanda, i ricercatori hanno modellato gli impatti dei cambiamenti nell’uso del territorio sulla biodiversità nel corso del XX secolo e hanno scoperto che «La biodiversità globale potrebbe essere diminuita dal 2% all’11% a causa del solo cambiamento nell’uso del territorio». Questo calcolo copre una gamma di 4 parametri di biodiversità – ricchezza globale di specie, ricchezza di specie locali, estensione media degli habitat delle specie, integrità della biodiversità – calcolati da 7 modelli diversi.

Il principale autore dello studio, Henrique Pereira, a capo del gruppo di ricerca iDiv e MLU, spiega che  «Includendo tutte le regioni del mondo nel nostro modello, siamo stati in grado di colmare molti punti ciechi e affrontare le critiche di altri approcci che lavorano con dati frammentati e potenzialmente distorti. Ogni approccio ha i suoi vantaggi e svantaggi. Riteniamo che il nostro approccio di modellazione fornisca la stima più completa dei trend della biodiversità in tutto il mondo».

Utilizzando un’altra serie di 5 modelli, i ricercatori hanno calcolato anche l’impatto simultaneo del cambiamento dell’uso del territorio sui i servizi ecosistemici, i benefici che la natura offre agli esseri umani, e hanno riscontrato nel secolo scorso «Un massiccio aumento nella fornitura di servizi ecosistemici, come la produzione di cibo e legname. Al contrario, la regolamentazione dei servizi ecosistemici, come l’impollinazione, la ritenzione di azoto o il sequestro del carbonio, è moderatamente diminuita».

I ricercatori hanno anche esaminato come la biodiversità e i servizi ecosistemici potrebbero evolversi in futuro e per farlo hanno aggiunto ai loro calcoli il cambiamento climatico come fattore crescente del cambiamento della biodiversità. Secondo i risultati, «Il cambiamento climatico metterà a dura prova la biodiversità e i servizi ecosistemici. Sebbene il cambiamento nell’uso del territorio rimanga rilevante, il cambiamento climatico potrebbe diventare il principale motore della perdita di biodiversità entro la metà del secolo».

I ricercatori hanno valutato 3 scenari ampiamente utilizzati che vanno da uno sviluppo sostenibile al mantenimento di elevate emissioni di gas serra e dicono che «Per tutti gli scenari, gli impatti combinati del cambiamento dell’uso del territorio e del cambiamento climatico si traducono in una perdita di biodiversità in tutte le regioni del mondo. Sebbene la tendenza generale al ribasso sia coerente, esistono notevoli variazioni tra regioni, modelli e scenari del mondo».

Una delle autrici dello studio, Inês Martins dell’università di York, sottolinea che «Lo scopo degli scenari a lungo termine non è quello di prevedere cosa accadrà. Si tratta piuttosto di comprendere le alternative, e quindi evitare queste traiettorie, che potrebbero essere meno desiderabili, e selezionare quelle che hanno risultati positivi. Le traiettorie dipendono dalle politiche che scegliamo e queste decisioni vengono prese giorno dopo giorno».

Inoltre, i ricercatori fanno notare che «Anche lo scenario più sostenibile valutato non mette in atto tutte le politiche che potrebbero essere messe in atto per proteggere la biodiversità nei prossimi decenni. Ad esempio, la diffusione della bioenergia, una componente chiave dello scenario di sostenibilità, può contribuire a mitigare il cambiamento climatico ma può allo stesso tempo ridurre gli habitat delle specie. Al contrario, in nessuno degli scenari sono state esplorate misure per aumentare l’efficacia e la copertura delle aree protette o il rewilding su larga scala».

Secondo gli scienziati, valutare gli impatti delle politiche concrete sulla biodiversità aiuta a identificare quelle politiche più efficaci per salvaguardare e promuovere la biodiversità e i servizi ecosistemici. Pereira conclude: «Ci sono sicuramente incertezze a livello di modellizzazione. Tuttavia, i nostri risultati mostrano chiaramente che le politiche attuali sono insufficienti per raggiungere gli obiettivi internazionali sulla biodiversità. Abbiamo bisogno di rinnovati sforzi per compiere progressi contro uno dei maggiori problemi del mondo, ovvero il cambiamento della biodiversità causato dall’uomo».