E’ il cambiamento climatico il serial killer di migliaia di urie dell’Alaska?

Morie di uccelli marini anche lungo la costa del Pacifico tra California e Canada

[19 Gennaio 2016]

Le morie di uccelli in Alaska sono eventi naturali, ma da qualche settimana il loro numero è diventato enorme, un fenomeno sconcertante e senza precedenti conosciuti. Un paio di settimane fa, David Irons, un ornitologo in pensione dell’US Fish and Wildlife Service, esperto di uccelli marini, ha scoperto almeno 8.000 urie (Uria algee) morte e ha detto a ThinkProgress: «Non avrei mai pensato di vedere così tanti uccelli morti su una spiaggia». Ma è solo la scorsa settimana, dopo che alcuni ricercatori  hanno rivelato che il numero di uccelli morti trovati in una spiaggia a 60 miglia a sud est di Anchorage è al di là di qualsiasi cosa sperimentato negli ultimi decenni, che la moria degli uccelli dell’Alaska ha ottenuto titoli sui media nazionali statunitensi. Secondo Rob Kaler, un biologo esperto di uccelli marini dell’US Fish and Wildlife Service, «E’ giusto dire che una cosa come questa non era mai stata registrata prima», ha affermato Rob Kaler, un US Fish and Wildlife Service uccelli marini biologo, in un’intervista con ThinkProgress.

Le urie comuni, che gli anglosassoni chiamano murres, sono lunghe tra i 38 e i 46 centimetri e somigliano vagamente ai pinguini, hanno ali piccole che usano come pinne durante le loro immersioni profonde a caccia di prede, vivono per gran parte della loro vita in mare aperto e tornano a terra solo per riprodursi. Si tratta di una delle specie di uccelli marini più abbondanti in Alaska e sono considerate un indicatore biologico, sia per conoscere lo stato s di salute dell’avifauna marina che degli stock di pesce di cui si nutrono anche gli esseri umani e che sono alla bas della florida industria della pesca dell’Alaska.

I ricercatori dell’Alaska dicono che l’aumento degli avvistamenti di uccelli morti è cominciato a fine marzo 2015, un periodo in cui è raro trovare avifauna morta. Dalla scorsa primavera  sono morti molti uccelli, ma nessuno riesce a spiegarsi perché la mortalità sia così elevata tra le urie comuni. I ricercatori dicono che dei fattori climatici potrebbero aver provocato una carenza di cibo, ma non ne sono ancora sicuri. «Ci sono altre specie di uccelli marini che vengono trovate spiaggiate, ma nessuna è numerosa come le urie», ha spiegato ancora Kaler. Intanto, morie senza precedenti di uccelli marini sono stati registrate anche a sud, lungo le coste del Pacifico che vanno dalla California al Canada e la fame sembra la principale causa della morte dell’avifauna marina del Pacifico nordamericano.

Da quando sono stati trovati i primi uccelli morti, il Fish and Wildlife Service ha controllato miglia e miglia di costa dell’Alaska per capire se la moria fosse un evento isolato, purtroppo non lo ere: stavano morendo altri uccelli, anche se in numeri minori. Ma gli scienziati hanno scoperto qualcosa di ancora più preoccupante: le urie si comportano in modo strano: in diversi siti hanno abbandonato i loro nidi, cosa che non era mai successa prima, e murres morte sono state trovate all’interno e nei pressi di corpi idrici superficiali con acque torbide dove per loro è impossibile pescare, probabilmente le urie sono state portate nell’entroterra dal vento, ma resta da capire perché si erano allontanate dalla linea di costa e dal mare dove si cibano.  I ricercatori hanno pochi indizi reali su quello che sta succedendo, finora l’unica cosa della quale sono certi è che le morie di massa degli uccelli marini hanno a che fare con il cibo: «Sappiamo che stanno morendo di fame, ma ciò che non sappiamo è quale sia il meccanismo per il quale stanno morendo di fame – dice Kaler – forse qualcosa non va con la distribuzione del cibo e la sua abbondanza. In questo caso, il problema non sembrano essere  batteri o virus,  dal momento che nelle circa 100 carcasse che sono ste inviate per fare i al National Wildlife Health Center in Wisconsin, non sono state trovate tracce di tossine o malattie».

Se l’avvelenamento e una malattia non sono il killer delle urie, il maggiore indiziato è diventato il clima, anche perché morie simili, note anche come  “murre wrecks”, sono eventi naturali, che però avvengono  soprattutto durante tempeste prolungate, che impediscono agli uccelli marini di pescare. Anche il riscaldamento dell’oceano provocato da  El Niño potrebbe essere associato alle  “murre wrecks”, dato che ha un forte impatto sulle prede delle urie. Se così fosse, il 2015 e il 2016 sarebbero anni terribili per le urie, visto che è in corso un El Niño così potente da essere stato chiamato Godzilla e che nel 2016 dovrebbe trasformarsi in uno dei peggiori mai registrati. Inoltre, un El Niño di questo livello si abbatte su un’Alaska sempre più calda: «Nel 2014 nel nord Pacifico e nel Golfo dell’Alaska abbiamo avuto temperature della superficie del mare al di sopra della media e non si sono mai veramente raffreddate per tutto l’inverno – aggiunge Kaler – E poi anche il 2015  portato ancora temperature record».

Secondo la National Oceanic and Atmospheric Administration (Noaa), il 2015 è stato il secondo più caldo mai registrato negli Stati Uniti e il più caldo a livello mondiale,  da quando è iniziata la raccolta dei dati nel 1895 e la Noaa dice che il 2015 è stato anche il 19esimo anno consecutivo che le temperature medie negli Usa hanno superato la media del XX secolo.

Gli scienziati hanno ancora dati troppo scarsi per poter dire quanto e come questa tendenza al riscaldamento interessi i pesci dell’Alaska, ma Irons ha detto all’Alaska Public Media che «E’ più che noto che i pesci vivono in fasce di temperature ristrette. Sono andati più in profondità? Non abbiamo alcuna prova di questo, ma gli uccelli li mangiano e sappiamo che i pesci non sono in giro quando fa caldo».

Infatti, è noto che il riscaldamento del mare influenza il comportamento dei pesci e la moria di massa delle urie e degli altri uccelli marini dell’Alaska arriva proprio mentre tutta la comunità scientifica lancia ripetuti allarmi sulla salute globale del nostro pianeta, sempre più caldo a causa delle emissioni di gas serra, della deforestazione e di altre attività antropiche. Inoltre, un pianeta che si surriscalda significa eventi meteorologici sempre più estremi ed ai quali alcune specie non sembrano essere preparate e/o resilienti

Per Kaler l’indiziato numero uno come serial killer delle urie dell’Alaska è il cambiamento climatico ed è molto preoccupato per quel che potrebbe succedere all’ecosistema se gli estremi climatici sempre più frequenti in Alaska continueranno a manifestarsi nel lungo periodo: «Se questi sistemi tempestosi e gli  eventi di El Niño e ce il riscaldamento delle acque continueranno nei prossimi 10 anni, questo avrà effetti su tutto il sistema oceanico».