Aree protette: Survival, Amnesty international, Mrg e Rfuk contro il 30×30 della Cop15 Cbd

«Il piano per proteggere il 30% della Terra entro il 2030 potrebbe rivelarsi un disastro per i popoli indigeni e un danno per il pianeta»

[1 Dicembre 2022]

In vista della 15esima Conferenza delle parti della Convention on biological diversity  (COP15 CBD) che si terrà dal 7 al 2 19 dicembre a Montreal, in Canada, Survival International, Amnesty International, Minority Rights Group International (MRG) e Rainforest Foundation UK (RFUK) «Sollecitano gli Stati di riconsiderare con urgenza il loro impegno a trasformare il 30% del pianeta in “Aree Protette”».

Secondo le 4 organizzazioni,  «Senza una seria revisione, il cosiddetto target del 30×30 distruggerà la vita di molti popoli indigeni e sarà profondamente devastante per i mezzi di sostentamento di altre comunità che usano la terra per la sussistenza, e allo stesso tempo distoglierà l’attenzione dalle vere cause del collasso della biodiversità e del clima».

Survival,  Amnesty International, MRG e RFUK ricordano che «Nell’aprile 2021, 250 tra organizzazioni indigene, ONG e accademici avevano espresso la loro preoccupazione per la proposta di raddoppiare le Aree Protette nell’ambito del post-2020 Global Biodiversity Framework dell’Onu (GBF)».  E denunciano che «Le Aree Protette, cardine del modello di conservazione dominante condotto dall’Occidente, hanno comportato sfratti diffusi, fame, malattie e violazioni dei diritti umani, tra cui omicidi, stupri e torture in Africa e Asia. Molti hanno quindi espresso le loro preoccupazioni per i costi umani del 30×30 e per il fatto che espandere la rete delle Aree Protette potrebbe causare ulteriori violazioni dei diritti umani  e avere altri impatti negativi su milioni di persone che sono le meno responsabili della crisi climatica e di biodiversità».

Una visione contestata da molte associazioni ambientaliste e governi che, pur riconoscendo le storture del modello neocolonialista applicato in alcune aree protette d gestite da grandi ONG internazionali, fanno presente che quello proposto dalla CBD si ispira a una gestione delle Aree protette di tipo “europeo” e che mette al centro le comunità indigene e locali.

Ma Survival,  Amnesty International, MRG e RFUK  ribattono: «Sono state spese tante parole sull’inserimento dei diritti umani e dei diritti territoriali all’interno del GBF e molto si è discusso sul ruolo delle “altre efficaci misure di conservazione su base territoriale” (OECM) per raggiungere il target. Tuttavia, anche se le OECM consentono l’inclusione di territori gestiti dai popoli indigeni, in assenza di protezioni molto più forti per le comunità, è probabile che siano invece le Aree Protette restrittive a costituire la maggior parte del target. Come se non bastasse, le recenti revisioni della bozza del GBF sembrano ridurre queste protezioni, declassando il linguaggio sui diritti da parte integrante del target monitorato a mera “indicazione” relegata in una sezione separata».

A questo le 4 ONG aggiungono una critica condivisa anche da diverse associazioni ambientaliste: «Il 30×30 è anche un numero arbitrario che manca di un solito supporto scientifico. 5 Sul fatto che le Aree Protette esistenti abbiano protetto con successo degli ecosistemi e che quindi debbano essere espanse, esistono poche prove. Inoltre, il target è stato stabilito senza una valutazione dei suoi impatti sociali. Le evidenze scientifiche, inoltre, dicono chiaramente che per fermare il collasso ecologico sarà necessario ben più di una rete globale allargata di Aree Protette, e che occorre focalizzarsi con molta più decisione sulla necessità di affrontare le cause reali della perdita di biodiversità, come il sovra-consumo. Notiamo che altre parti cruciali del GBF, come il Target 15, che aveva l’obiettivo di contrastare queste cause, sono state progressivamente indebolite nel corso delle bozze successive».

Il documento congiunto di Survival,  Amnesty International, MRG e RFUK   conclude: «Dato che l’80% della biodiversità del mondo si trova nelle terre dei popoli indigeni, è chiaro che il modo migliore per conservare gli ecosistemi è proteggere i diritti di coloro che vivono e dipendono da essi. Pertanto, crediamo che, per qualsiasi target di conservazione, sia necessario un approccio radicalmente differente che: 1. Dia priorità al riconoscimento e alla protezione dei sistemi di proprietà territoriale collettiva e consuetudinaria dei popoli indigeni, garantendo i loro diritti alla terra, alle risorse, all’auto-determinazione e al Consenso libero, previo e informato, come previsto dagli accordi internazionali sui diritti umani. 2. Riconosca il diritto delle altre comunità che usano la terra per la sussistenza a essere protette dagli sfratti forzati, a godere di uno standard di vita adeguato e a essere consultate su ogni decisione che abbia un impatto sui loro diritti. 3. Si concentri a garantire che tutte le specie e gli ecosistemi minacciati siano adeguatamente protetti, invece che ad aumentare semplicemente le Aree Protette. 4. Affronti adeguatamente le cause che stanno alla base della perdita di biodiversità».