La protesta dei contadini francesi e le associazioni ambientaliste. È il modello che non funziona

Greenpeace e FNE: collera giusta, obiettivi sbagliati. Come uscirne in 4 mosse

[30 Gennaio 2024]

Gli agricoltori francesi hanno bloccato con i loro trattori l’accesso a Parigi e ad altre città. Quelli c he sono guà stati battezzati Gilet Verdi accusano l’Unione europea di aggiungere burocrazia a quella francese e di voler tagliare gli sgravi fiscali per il carburante agricolo, ma nel mirino cìè anche la grande distribuzione organizzata che importa merci a basso prezzo e impone bassi prezzi per le produzioni locali.

Nel mirino di una parte degli agricoltori ci sono anche i Verdi e le associazioni ambientaliste, accusati di voler impedire agli agricoltori di utilizzare il gasolio e i fertilizzanti chimici, e i pesticidi, eppure,  la mattina del 29 gennaio, più di 30 attivisti di Greenpeace France hanno esposto uno striscione davanti all’Assemblea nazionale a sostegno degli agricoltori, in particolare nella loro lotta per un reddito dignitoso e per chiedere al premier francese Gabriel Attal una riforma profonda del modello agricolo: « Sostegno agli agricoltori! Ben lungi da quanto annunciato dal governo, occorre intraprendere una strada ambiziosa per rispondere alla legittima rabbia degli agricoltori. Stop all’ultraliberalismo e alle lobby industriali che si abbuffano».

Anche France Nature Environnement (FNE), una coalizione ambientalista di 24 associazioni territoriali (che spesso federazioni di associazioni), 12 associazioni nazionali che si mobilitano per una causa ambientale specifica, e 11 associazioni corrispondenti , che condividono le preoccupazioni di FNE, assicura di ascoltare e condividere «Il profondo disagio degli agricoltori, che chiedono di poter vivere con dignità del proprio lavoro. Questa affermazione è legittima. Decenni di politiche agricole liberali e il sostegno al modello agroindustriale maggioritario hanno portato a redditi strutturalmente bassi, dove il valore aggiunto viene preso dagli intermediari a scapito degli agricoltori. Questo modello si basa sullo sfruttamento delle risorse e delle donne e degli uomini che lavorano per produrre sempre di più in condizioni di vita degradate, dove sono sovraindebitati e sottopagati. Oggi questo modello sta perdendo slancio e sta distruggendo gli ecosistemi necessari all’agricoltura di domani. Incoraggiando la produzione destinata all’esportazione, basata sulla competitività dei prezzi e sugli accordi di libero scambio, si promuove la dipendenza degli agricoltori dalle industrie agroalimentari e dalla distribuzione di massa, nonché l’industrializzazione dei settori e la concorrenza tra gli agricoltori di tutto il mondo».

Per Greenpeace France, «Prime vittime di un sistema agroindustriale distruttivo, molti agricoltori hanno espresso nelle ultime settimane una rabbia profondamente radicata. Di fronte all’impoverimento di parte del mondo agricolo, agli impatti dei cambiamenti climatici e alla dipendenza dalle industrie agroalimentari e dalla grande distribuzione, è urgente riformare radicalmente il sistema agroalimentare. La sfida è triplice: consentire agli agricoltori di trarre un tenore di vita dignitoso dal proprio lavoro, proteggere gli ecosistemi e garantire cibo sano per tutti».

Ecco i 4 punti da affrontare secondo l’organizzazione ambientalista:

1 Quali sono le cause della crisi agricola? La crisi del settore agricolo non è nuova. Questa situazione è la conseguenza diretta delle politiche agricole e commerciali ultraliberiste perseguite per decenni. Hanno continuato a rafforzare il controllo delle multinazionali dell’agroindustria e della grande distribuzione sul mondo agricolo e hanno portato all’impoverimento di alcuni agricoltori. Perseguendo queste politiche ultraliberali e l’industrializzazione forzata, i successivi governi di Emmanuel Macron si inseriscono in questa logica di distruzione del mondo contadino. Oggi la constatazione è chiara: molti agricoltori non riescono a guadagnarsi da vivere dignitosamente con il proprio lavoro. Quasi il 20% delle famiglie agricole vive al di sotto della soglia di povertà, mentre gruppi industriali come Lactalis o i principali attori della vendita al dettaglio vedono i loro margini di guadagno esplodere a scapito della remunerazione degli agricoltori.

Greenpeace France fornisce alcune cifre: «Su un cartone di latte, la quota ricevuta da un allevatore è diminuita del 4% tra il 2001 e il 2022 mentre quella delle aziende agroalimentari è aumentata del 64% e del 188% per la grande distribuzione! Più recentemente, gli aumenti dei costi di produzione, essi stessi conseguenza dei forti aumenti dei prezzi dell’energia e dei fattori produttivi (fertilizzanti e prodotti fitosanitari in particolare), hanno cominciato a pesare ancora di più su molte attività agricole. Allo stesso tempo, la grande distribuzione continua a esercitare una pressione inaccettabile sui produttori, determinando i prezzi e sfruttando la concorrenza sleale dei prodotti importati, agevolata dagli accordi di libero scambio. A ciò si aggiungono gli impatti già reali del cambiamento climatico e del declino della biodiversità di cui gli agricoltori sono le prime vittime.

2 Dovremmo rivedere gli standard ambientali imposti agli agricoltori? Alcuni attori, come il governo e l’estrema destra, cercano di inscenare un’opposizione frontale tra il mondo agricolo (che è tutt’altro che uniforme) e le politiche e gli standard ambientali. Questa opposizione è assurda. Gli agricoltori sono tra i primi colpiti dalle conseguenze del riscaldamento globale, come periodi di siccità, inondazioni, mancanza d’acqua, tempeste. Il cambiamento climatico sta indebolendo ulteriormente gli agricoltori, portando a massicce perdite di raccolto in alcune regioni. Di fronte a questa constatazione non bisogna mancare l’obiettivo: la transizione agroecologica è parte della soluzione e non del problema. Sarebbe drammatico respingere le politiche pubbliche ambientali e climatiche in un momento in cui stanno diventando più necessarie che mai. Hanno lo scopo di tutelare la sopravvivenza dei nostri ecosistemi, la salute dei residenti ma anche degli stessi produttori. Le misure ambientali devono garantire la sostenibilità e la resilienza dell’agricoltura a lungo termine. Il collasso della biodiversità e il notevole impoverimento dei suoli lo rendono molto vulnerabile agli effetti dei cambiamenti climatici. I modelli agricoli più sostenibili, preservando la biodiversità e i suoli, sono proprio i più resilienti di fronte agli shock climatici ed economici. Questa transizione agroecologica, così come un quadro economico più equo, devono essere sostenuti dalle autorità pubbliche. Il governo deve assumersi le proprie responsabilità e non lasciare che gli agricoltori si facciano carico da soli degli sforzi molto significativi legati a queste trasformazioni. Stabilire standard ambientali più ambiziosi non è sufficiente: è imperativo sostenere e accompagnare gli agricoltori in questa transizione , facilitarne l’attuazione e lottare contro la concorrenza sleale di prodotti importati che non sono soggetti agli stessi requisiti ambientali e sociali. Dire che l’eliminazione degli standard ambientali risolverebbe tutti i problemi è un miraggio. Aiutare gli agricoltori nella loro attuazione è, tuttavia, una necessità assoluta per uscire da questa crisi agricola.

3 La FNSEA e i Jeunes Agriculteurs sostengono le rivendicazioni dell’intero movimento agricolo? Il mondo agricolo è tutt’altro che uniforme e presenta disparità evidenti, tra piccole aziende contadine e multinazionali agroalimentari. La crisi agricola e l’attuale movimento di protesta sono quindi molto ampi, con richieste che possono andare in direzioni radicalmente opposte. È necessario pagare meglio gli agricoltori, in particolare applicando realmente le misure derivanti dalle leggi Egalim, e indebolire così l’inaccettabile potere della grande distribuzione sulla determinazione dei prezzi. Greenpeace sostiene così le richieste degli agricoltori sulla necessità di introdurre prezzi minimi, vale a dire il divieto di vendita di prodotti agricoli sottocosto, la fissazione di prezzi minimi di entrata dei prodotti importati, in particolare per i settori più in difficoltà, e il controllo rigoroso dei margini degli intermediari, in particolare della grande distribuzione. E’ inoltre necessario aiutare immediatamente il settore dell’agricoltura biologica, uno dei più colpiti dall’attuale crisi, ma anche le aziende agricole che promuovono pratiche agroecologiche, o addirittura fermare diversi trattati di libero scambio. Ma Greenpeace  critica alcune misure richieste dalla Fédération nationale des syndicats d’exploitants agricoles (FNSEA): «Sono dannose sia per l’ambiente che per la sopravvivenza della nostra agricoltura. È il caso in particolare della richiesta di accelerazione dei progetti di stoccaggio dell’acqua, come i megabacini: questo va completamente contro le raccomandazioni degli scienziati che ritengono che questi progetti, molti dei quali sono già stati respinti dalla giustizia, siano un “disadattamento” ” al cambiamento climatico. Queste infrastrutture sono un’aberrazione in un contesto in cui il cambiamento climatico richiederà profonde misure di adattamento e non una monopolizzazione dell’acqua da parte di poche grandi aziende agricole. L’attuale richiesta della FNSEA di autorizzare nuovamente alcuni pesticidi particolarmente tossici è un passo sconcertante che mette in pericolo la salute degli agricoltori, le loro condizioni di produzione e il nostro ambiente. E’ essenziale denunciare questo approccio che privilegia gli interessi a breve termine a scapito di una visione più sostenibile e rispettosa dell’ambiente. La volontà di ipersemplificare le procedure in materia agricola costituisce una tendenza pericolosa che consente di facilitare l’industrializzazione dei sistemi di produzione , di limitare i controlli e gli studi di rischio sugli impianti inquinanti e di indebolire il potenziale ricorso legale contro l’agroindustria. Questa industrializzazione totale è in realtà accompagnata dalla distruzione di posti di lavoro nel settore agricolo, il cui numero ha continuato a diminuire negli ultimi decenni. I dirigenti della FNSEA, chiedendo di poter distruggere le siepi, sfruttando il tema dei maggesi, evitando la questione dell’equa ripartizione delle terre e delle acque, cercano soprattutto di preservare un sistema agroindustriale e non di risolvere in profondità le problematiche della professione di agricoltore, produttore di cibo per tutti i concittadini. Infine, è illusorio pensare che l’eliminazione degli standard risolverebbe tutti i problemi dell’attuale crisi agricola. Allo stesso modo, è fuorviante suggerire che le entrate aggiuntive derivanti dalla produzione di energia (agrivoltaismo, metanizzazione, agrocarburanti, tutte false soluzioni per le quali TotalEnergies e la FNSEA hanno formato una partnership) consentiranno di risolvere il problema dell’impoverimento degli agricoltori. Gli agricoltori non dovrebbero diventare produttori di energia per vivere. E’ preoccupante constatare che i vertici della FNSEA, sindacato di maggioranza coinvolto da decenni nella gestione delle politiche agricole (e in parte responsabile dell’attuale crisi), o anche Jeunes Agriculteurs, stiano cercando di manipolare la legittima rabbia degli agricoltori per promuovere un’agenda anti-ambientalista, a vantaggio degli interessi dell’agrobusiness e a scapito di coloro che dovrebbero rappresentare».

La pensa così anche FNE  che accusa: «La legittima rabbia sul campo viene utilizzata dalla FNSEA per mettere in discussione gli standard ambientali e la transizione che difendiamo e per alimentare una divisione artificiale tra il mondo agricolo e i movimenti ambientalisti. Mentre il mondo agricolo subisce le conseguenze del cambiamento climatico e dell’erosione della biodiversità, fare degli standard ambientali il capro espiatorio della crisi del settore è un’assurdità pericolosa. In effetti, la transizione agroecologica è la soluzione per garantire la sostenibilità dell’agricoltura e la sua resilienza di fronte alle sfide ecologiche (siccità, collasso della biodiversità, esaurimento del suolo, ecc.) e alle crisi geopolitiche».

4 Quali sono le soluzioni per superare la crisi agricola e garantire un reddito agli agricoltori? Il sistema agroindustriale, sostenuto da politiche ultraliberali, porta ad un’impasse sociale e ambientale e porta all’impoverimento del mondo agricolo. Ogni agricoltore deve poter vivere con dignità del proprio lavoro, in un ambiente sano. Di fronte alla crisi agricola, Greenpeace France propone alcune misure ritiene essenziali per riformare il mondo agricolo e garantire redditi dignitosi agli agricoltori: «La cessazione definitiva dei negoziati sull’accordo di libero scambio Unione Europea-Mercosur, una moratoria su tutti gli altri accordi commerciali in fase di negoziazione e una revisione di tutti gli accordi in vigore, riguardanti la concorrenza sleale generata da questa politica di libero scambio, anche all’interno dell’Ue tra i Paesi membri. Il divieto di vendita dei prodotti agricoli sottocosto e l’istituzione di prezzi garantiti per i prodotti agricoli. Regolamentazione rigorosa dei margini degli intermediari, in particolare della grande distribuzione. Sostegno rafforzato per l’insediamento e il mantenimento di agricoltori biologici o di transizione, sostegno rafforzato per l’allevamento ecologico e i settori vegetali per l’alimentazione umana. Una riforma profonda della Politica Agricola Comune (PAC), per indirizzare il denaro pubblico verso le strutture ecologiche e la transizione, e non verso l’agroindustria e le strutture più inquinanti come avviene attualmente. Oggi su questi punti servono risposte concrete e ambiziose da parte del governo, per una trasformazione del sistema agricolo, e non misure palliative. Lo Stato deve assumersi le proprie responsabilità di fronte alla crisi  agricola e ambientale : senza migliorare il reddito degli agricoltori, questi non saranno in grado di guidare la transizione agroecologica».

La FNE, che ha ribadito le sue 15 proposte per un’agricoltura più sostyenibile e giusta, conclude: «Il governo deve proporre una linea chiara, per andare verso un’agricoltura contadina e agroecologica, sostenuta da numerosi agricoltori in aziende agricole a misura d’uomo, che producono cibo sicuro, diversificato, sostenibile e di qualità che nutra veramente la popolazione e garantisca un reddito dignitoso alle persone che producono».