Il governo del cambiamento c’è, in Messico

Le sfide ambientali e sociali (e le contraddizioni) che ha di fronte il governo di sinistra di López Obrador

[9 Gennaio 2019]

Mentre dall’altra parte del confine Donald Trump cerca di blindare e militarizzare la frontiera, il nuovo governo di sinistra del Messico ha presetato il Programa de la Zona Libre de la Frontera Norte, con il quale punta ad attrarre investimenti e a dare implso allo sviluppo dei 43 municipios de 6 Stati messicani che condividono la frontiera con gli Usa.

Mentre Trump chiude il nuovo presidente del Messico Andrés Manuel López Obrador (Amlo per tutti) apre attraverso incentivi fiscali e l’aumento del salario minimo nela zona norte. Il governo messicano ha sottolineato che la collocazione geografica degli Stati frontalieri rappresenta un vantaggio per las produzione industriale, per il commercio e per creare posti di lavoro.

Mentre Trump vuole creare un muro di acciaio, Amlo  ha chiesto di erigere alla frontiera nord «una cortina economica che elevi la qualità della vita dei suoi abitanti e di quelli che migrano in cerca di opportunità per migliorare il benessere delle loro famiglie».

Il 17 dicembre López Obrador aveva annunciato un aumento al salario mínimo che è entrato puntualmente in vigore il primo gennaio e che comporta un aumento differenziato; negli Stati della frontera norte si è passati da 88,66 pesos messicani al giorno (5,29 dollari)  a 176,72 pesos (circa 9,10 dollari) nel resto del Paese il salario minimo giornaliero è salito a 102,68 pesos al giorno, era di 88.36 pesos.

La ministro del lavoro e della previdenza sociale, Luisa María Alcalde, ha spiegato che «Il raddoppio del salario minimo ha il potenziale per innescare molti benefici: rafforzare il potere di acquisto e, quindi, il mercato interno, beneficiando acosì sia al commercio che ai lavoratori, rafforzare i consumi, il mercato interno e incrementare la produttività delle imprese».

Il  Plan de la frontera norte  prevede anche la riduzione dell’Imposta sul valore aggiunto (Iva) dal 16% all’8%; dell’Impuesto sobre la Renta (ISR), che cala dal 30 al 20% e l’omologazione dei prezzi dei prodotti energetici venduti negli Stati messicani della frontiera nord a quelli degli Sati meridionali degli Usa. Misura che dovrebbe porre fine alla migrazione quotidiana – che videntemente non preoccupa Trump – di centinaia di migliaia di statunitensi che vanno a fare il pieno di benzina in Messico e all’acquisto a prezzi stracciati di energia»

Presentando queste riforme, López Obrador ha sottolineato che «Uno dei problemi che affrontiamo, quello dell’insicurezza e della violenza, è nato in gran parte a causa della mancanza di crescita economica nel Paese. Il Messico è uno dei Paesi al mondo con meno crescita economica negli ultimi 30 anni, e se non c’è crescita economica non c’è occupazione; se non c’è benessere e non c’è pace e non c’è pace mentale, è una formula semplice, ma a volte non è abbastanza compresa. Quindi, dobbiamo crescere come Paese e dobbiamo crescere il più orizzontalmente possibile. Non solo crescere in alcune regioni del paese e diminuire nella maggior parte del Paese, come è successo negli ultimi tempi» (…) E così stiamo promuovendo un piano di sviluppo, che mira a creare le basi per lo sviluppo di tutte le regioni del Paese, da sud a nord; tuno sviluppo per far restare i messicani nelle loro città, il messicano non deve essere costretto a migrare, la migrazione è facoltativa, non obbligatoria. Perché il messicano possa lavorare dove è nato, dove ci sono la sua famiglia, i suoi costumi, le sue culture. Questo è il sogno che vogliamo trasformare in realtà».

La ricetta proposta dal governo di sinistra messicano è un mix pragmatico di economia fossile e green e Amlo ha annunciato «Dobbiamo produrre petrolio, ed è quello che stiamo facendo. Noi aumentare la produzione e vi darà valore aggiunto alla materia prima, perché 40 anni non si costruisce una nuova raffineria del Paese, e noi abbiamo 6 raffinerie che sono state abbandonate. Stiamo consumando 800 mila barili al giorno di benzina e ne produciamo 200 mila, compriamo 600 mila barili al giorno di benzina. Dobbiamo riabilitare le sei raffinerie perché funzionano al 30% della loro capacità. Dobbiamo riabilitarle per produrre più benzina, carburante e abbiamo anche bisogno di una nuova raffineria che verrà costruita a Dos Bocas-Paraíso, nel Tabasco».

Una decisione che preoccupa gli ambientalisti ma temperata da altre accolte con entusiasmo, come l’annuncio di  Amlo che il suo governo non permetterà il fracking, come invece prevedeva il programma per il 2019 dell’impresa petrolifera statale Pemex approvato dal precedente governo. Secondo l’Alianza Mexicana contra el Fracking, fino al 2015 in Messico c’erano fino a 100 pozzi per estrarre petrolio e gas in formazioni rocciose poco permeabili per i quali veniva richiesto l’utilizzo del fracking mentre  questa pratica estrattiva minaccia riserve tra i 9 e i 29 milioni di litri di acqua  e chi si opponeva a questi progetti veniva spesso minacciato di morte. Secondo Miguel Ángel Mijangos Leal, della Red Mexicana de Afectados por la Minería, «La promessa di proibire il fracking è un buon segnale da parte del nuovo governo, visto che questa tecnica occupa grandi territori e contamina l’acqua, il che ha provocato lo sfollamento forzato e l’impoverimento di intere comunità». Una misura appoggiata anche dai NO-Fracking, da Greenpeace e dall’Asociación Interamericana de Defensa del Ambiente che chiedono a López Obrador di trasformarla subito in una Ley General de Prohibición de la fractura hidráulica.

In Messico è proibita la coltivazione di mais OGM per fini commerciali, ma le tortillas, che sono l’alimento di base, sono fatte soprattutto con gli 8 milioni di tonnellate di mais che il Messico importa ogni anno dagli Usa e 9 su 10 contengono tracce di OGM. López Obrador ha ssicurato che difenderà la diversità biologica e culturale del Messico e che appoggerà pratiche agro-ecologiche che aumentino le produttività d senza danneggiare la natura. Gustavo Ampugnani, direttore esecutivo di Greenpeace México,  ha detto a Mongabay Latam  di essere contento per le dichiarazioni di Amlo, ma che «Questa promessa deve essere trasformata in legge attravverso la riforma della Ley de Bioseguridad, perché si proibisca espressamente il mais transgenico in Messico».

Ma c’è anche un altro problema: una tortillas su tre presenta tracce di glifosato, e quest’anno il Parlamento messicano discuterà come la regolamentazione dell’utilizzo dei pesticidi. Attualmente in Messico è permesso l’utilizzo d 80 pesticidi ed erbicidi  proibiti nell’Unione europea, un disastro al quale dovrebbe mettere fine anche la Ley General de Biodiversidad che punta a sostituire  la Ley General de Vida Silvestre e la Ley General del Equilibrio Ecológico y la Protección al Ambiente. Hesiquio Benítez Díaz, direttore generale Cooperación internacional e implementación della Comisión Nacional para el Conocimiento y Uso de la Biodiversidad  ha avvertito in un’intrevista a Mongabay Latam che se non verrà approvata questa legge si rischia grosso, «Perché senza si mantiene un vuoto legale per l’applicazione del Protocollo di  Nagoya, un meccanismo internaczionale per l’accesso alle risorse genetiche che contempla una distribuzione giusta ed equa dei benefici derivanti dalla biodiversità». Ma anche questa legge è ritenuta incompleta da alcune associazioni ambientaliste.

E la gestione dell’acqua messa a rischio dal Frackin, dalle estrazioni minerarie e dai esticidi è uno dei grossi problemi pendenti in Messico, secondo uno studio, viene estratta dal sottosuolo più acqua di quella che si infiltra: 5.631 milioni di m3 in più, ma  il 71%  dell’acqua data in concessione ai privati non viene pagata e la Comisión Nacional del Agua è stata in grado di ispezionare solo l’1,7% delle 300 concessioni.

Per questo ambientalisti e associazioni hanno accolto con favore la notizia che il nuovo governo  esaminerà la proposta di legge di iniziativa popolare sull’acqua, che propone che alle comunità e ai cittadini sia garantito l’accesso equo all’acqua di qualità, anche con il ritorno dell’acqua in mani pubbliche.

Ma, oltre al petrolio e alle raffinerie,  ci sono anche progetti che non piacciono per niente agli ambientalisti e alle comunità indigene, come l’ormai famoso Tren Maya che prevede la costruzione di 1.500 km di ferrovie e infrastrutture che attraverseranno gli Stati meridionali di  Chiapas, Campeche, Yucatán, Quintana Roo e Tabasco. Amlo, rispondendo alle critiche di associazioni ambientaliste come Alianza Jaguar, ha detto che con la costruzione del Tren Maya «Non si abbatterà un solo albero, non verrà permesso nessun progetto economico, produttivo, commerciale e turistico  che danneggi l’ambiente».

Secondo Ampugnani di Greenpeace México, «La più grande sfida per questa nuova amministrazione sarà quella di conciliare il desiderio di sviluppo economico e migliorare la qualità della vita dei settori più trascurati del Paese con la protezione dell’ambiente e i progetti infrastrutturali». Ambientalisti e scienziati chiedono al governo di sinistra di «non sottrarsi alle proprie responsabilità e di effettuare studi sui possibili impatti ambientali, nonché una consultazione preventiva, libera e informata alle comunità che potrebbero essere interessate, come stabilito nell’accordo di Escazú. firmato a settembre».

E una cosa che il governo messicano  deve fare subito è difendere i difensori dell’ambiente che vengono massacrati in tutta l’America Latina. Tra i 100 impegni presi da Amlo c’è anche quello di cancellare le false accuse contro gli attivisti ambientali e sociali, uno dei modi con i quali il governo precedente ha criminalizzato le proteste della società civile.

In Messico nei primi 10 mesi del 2018 sono stati assassinati 12 ambientalisti e 9 erano indigeni che difendevano le loro terre da progetti minerari e da operazioni commerciali che prevedevano un’estesa deforestazione. Ben Leather, di Global Witness, sottolinea che «Le minacce che affrontano i difensori dell’ambiente e della terra sono problemi che il presidente López Obrador deve risolvere immediatamente. La paura e l’assassinio sono il prezzo che si paga in Messico per difendere la terra e i diritti. E deve essere il nuovo governo a cambiare questa realtà».

Fabiola Vite Torres, coordinatrice area giuridica del Centro de Derechos Humanos Zeferino Ladrillero, una ONG  che difende la terra e i diritti degli indigeni, conclude: «Il Mecanismo de Protección para los defensores de los derechos humanos si è dimostrato inadatto a proteggerli. Inoltre, è sempre avuto carenze nel rispondere alle violazioni dei diritti umani degli attivisti, ma sono convinta che la nuova amministrazione federale abbia ascoltato e che attuerà i suggerimenti delle organizzazioni della società civile».