I risultati dell'ultimo studio Ref Ricerche

Clima, negli ultimi 6 anni il meteo estremo ha provocato danni per 9,4 miliardi di euro in Italia

Anche la cronaca di questi giorni dimostra cosa rischia il Paese: investire in prevenzione sarebbe costato 7 volte meno della gestione delle emergenze

[30 Luglio 2019]

A causa dei cambiamenti climatici gli eventi meteo estremi sono sempre meno eccezionali, e un Paese in prima linea come l’Italia – come ricorda anche la cronaca di questi giorni – è destinato a subirne pesantemente le conseguenze senza adeguati investimenti a contrasto: solo negli ultimi sei anni, dal maggio 2013 a quello 2019 sono stati dichiarati nel nostro Paese 87 stati d’emergenza in seguito a siccità, alluvioni e frane, con danni per 9,4 miliardi di euro accertati dai relativi Commissari. Senza contare il prezzo pagato in termini di vite umane perse: 32 solo nel 2018. Vittime e costi che avrebbero potuto essere ridotti, dato che investire in prevenzione sarebbe costato 7 volte meno della gestione delle emergenze secondo le stime elaborate da Ref Ricerche nel suo ultimo contributo Dall’emergenza alla prevenzione: urge un cambio di paradigma.

«La politica – spiegano dalla società – ha spesso preferito non affrontare esplicitamente le questioni sul tavolo, tamponando le emergenze, senza intraprendere un percorso efficace di diagnosi e prevenzione. Da un lato, si sono evitate scelte impopolari, pericolose per il mantenimento del consenso; dall’altro, si è pagato un prezzo elevato in termini di vite umane e costi». Costi che tra l’altro sono bel lontani dall’essere ripagati: a fronte dei 9,4 miliardi di euro già citati le somme assegnate ammontano a poco più di un decimo, 950 milioni di euro. La riduzione del rischio idrogeologico è un fattore decisivo se si vuole accrescere la resilienza al cambiamento climatico dell’Italia, ma tra il 1999 e il 2017, il ministero dell’Ambiente risulta aver erogato allo scopo 5,6 miliardi di euro, neanche la metà dei costi legati agli eventi meteo estremi negli ultimi sei anni. Una cifra che all’atto pratico si dimezza ancora: a livello nazionale solo il 44% delle risorse stanziate è stato effettivamente speso, mentre il 15% dei lavori non è stato avviato o è stato de finanziato. Come risultato, a fine 2017 «il fabbisogno economico generale corrispondente alle richieste delle Regioni per la prevenzione del rischio idrogeologico, non ancora finanziato, ammontava a quasi 22,9 miliardi di euro per 8.245 interventi».

Per ridurre il rischio idrogeologico, nell’ultimo anno e mezzo sono stati messi in campo due nuovi strumenti: il Piano nazionale di interventi nel settore idrico previsto con la legge di Bilancio 2018 – suddiviso nel Piano invasi e quello acquedotti –, e il Piano nazionale per la sicurezza del territorio, ribattezzato “ProteggItalia” e varato dal Governo in carica. Quest’ultimo in particolare prevede investimenti pari a 10,8 miliardi di euro nel triennio 2019-2021: al suo interno Ref ricerche individua 3,1 miliardi di euro per interventi  nei territori colpiti dal maltempo nei mesi di ottobre e novembre 2018 e per i quali è stato decretato lo stato di emergenza; 2,4 miliardi di euro dedicati a interventi di manutenzione finalizzati, tra le altre cose, alla difesa idrogeologica delle aree montane, agricole e forestali; per la prevenzione propriamente detta il Piano prevede invece circa 4 miliardi di euro per gli anni 2019-2021, a cui si aggiungono all’incirca 2,6 miliardi fino al 2030 (900 milioni di euro per ciascun triennio).

Secondo Ref entrambi i Piani «vanno sicuramente nella giusta direzione e possono rappresentare l’avvio di un nuovo corso, cui va assicurata la necessaria continuità d’azione». Un problema non da poco: già il Governo Renzi varò nel 2015 un programma nazionale contro il dissesto idrogeologico (ItaliaSicura), che finì per individuare la necessità di 11.108 cantieri, per un costo di circa 29 miliardi di euro di cui 12,9 già programmati (tra fondi europei, nazionali e regionali). Sulla carta, un piano più ambizioso anche del ProteggItalia, sebbene lontano dal fabbisogno di 40 miliardi di euro stimati da tempo al ministero dell’Ambiente come necessari contro il rischio idrogeologico. Due anni dopo dalla presentazione, nel maggio 2017, erano stati però spesi solo 1,5 miliardi di euro, il 4,86% del totale.

Per invertire davvero la rotta è necessario un sostanzioso impegno politico oltre che finanziario, e i cittadini sembrano ben disposti a supportarlo. In una recente indagine del laboratorio Ref Ricerche, 4 italiani su 5 sono a conoscenza dei cambiamenti climatici e si dicono anche preoccupati delle sue conseguenze (l’85% dei rispondenti è abbastanza preoccupato, il 32% è estremamente preoccupato), e sono testimoni di esperienze quotidiane di questo cambiamento (86%). A preoccupare sono tutte le diverse manifestazioni degli impatti, dai fenomeni meteorologici estremi (90% abbastanza o molto preoccupato), alla siccità e all’arretramento dei ghiacciai (88%), all’aumento del livello dei mari e alla minore portata dei fiumi (85%). «Le aspirazioni e gli auspici di moltissimi concittadini per un impegno e una strategia di azione in materia ambientale non sembrano al momento trovare accoglimento nel dibattito pubblico e nell’offerta politica, al contrario di quanto accade nei principali Paesi europei che ancora di recente hanno visto il successo in Francia e Germania di partiti ambientalisti che hanno saputo cogliere queste istanze», osservano da Ref Ricerche, sottolineando che «spetta ai policymaker interpretare questo sentire della popolazione delineando compiutamente una vera e propria strategia di azione, frutto di una riflessione collettiva indifferibile».