Negli ultimi 40 anni gli eventi meteo estremi sono costati all’Italia oltre 111 miliardi di euro

Censis-Confcooperative: «La cura del territorio non è un costo, ma un investimento sul sistema Paese»

[20 Febbraio 2024]

Tra il 1980 e il 2022, in Italia le perdite economiche causate da eventi meteo estremi e da disastri naturali come i terremoti si attestano a 210,2 miliardi di euro.

È quanto emerge – facendo leva sui dati dell’Agenzia europea dell’ambiente – dal nuovo focus Censis-Confcooperative “Disastri e climate change, conto salato per l’Italia”.

Per quanto riguarda in particolare i soli eventi meteo estremi, che sono resi sempre più probabili e intensi con l’avanzare della crisi climatica in corso, il conto dei danni arriva a 57,1 miliardi di euro per le alluvioni, 30,6 mld di euro per le ondate di calore, 15,2 mld di euro per le precipitazioni, 8,2 mld di euro per incendi boschivi, siccità e ondate di freddo.

Il totale arriva a 111,1 miliardi di euro, ovvero circa un terzo di tutti i danni provocati negli Stati membri dell’Ue nel corso degli ultimi quattro decenni, a ulteriore testimonianza della particolare fragilità del nostro Paese di fronte alla crisi climatica.

«È di 210 miliardi di euro il conto che disastri naturali e cambiamenti climatici hanno presentato al nostro Paese. Si tratta di un costo pesantissimo pari all’intero importo del Pnrr e a 10 manovre finanziarie – commenta nel merito Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative – Di questi 210 miliardi ben 111 sono determinati dagli effetti dei cambiamenti climatici. Ecco perché la cura del territorio non è un costo, ma un investimento sul sistema Paese».

Un investimento che diventa sempre più conveniente mentre il riscaldamento globale, purtroppo, accelera:  «Venendo agli ultimi anni parliamo di 42,8 miliardi solo dal 2017 al 2022. Nel 2022 è costato quasi 1% di Pil, lo 0,9% per l’esattezza, pari a 17 miliardi circa: un importo di poco inferiore a una manovra finanziaria», prosegue Gardini.

In questo contesto, le piccole e medie imprese sono particolarmente esposte ai rischi naturali. L’analisi Censis sui dati Cerved mostra che il 21,3% delle Pmi presenta un rischio da medio a molto alto, e «presentano una probabilità di fallire del 4,8% più alta di quella delle altre imprese una volta che si sia verificato l’evento avverso»

Incrociando queste rilevazioni coi dati Bankitalia, risulta che queste imprese realizzerebbero anche un risultato economico inferiore del 4,2% e una dimensione d’impresa, in termini di addetti, anch’essa inferiore alle imprese localizzate in territori non esposti a rischi di frane e alluvioni.

L’agricoltura è il settore più colpito, dato che secondo Istat solo nel 2022 ha perso circa 900 milioni di euro.

«L’agricoltura – conclude Gardini – è il settore economico che risente di più le conseguenze dei cambiamenti climatici. L’andamento dell’economia agricola nel 2022 ha registrato un calo della produzione dell’1,5%, poco meno di 900 milioni di euro».

Buona parte del risultato negativo è da imputare alla diffusa siccità e alla carenza di precipitazioni, tanto che il 2022 è considerato l’anno più caldo di sempre. Quasi tutte le tipologie di coltivazioni hanno subito un duro contraccolpo: la produzione di legumi (-17,5%), l’olio di oliva (-14,6%), i cereali (-13,2%). In flessione anche ortaggi (-3,2%), piante industriali (-1,4%) e vino (-0,8%). Il comparto zootecnico ha subito una riduzione della produzione pari allo 0,6%.

Dal punto di vista territoriale, la flessione del volume di produzione ha avuto una maggiore incidenza nel Nord Ovest (-3,5%) e nel Sud (-3,0%), mentre al Centro non si è registrata alcuna variazione.

Se si guarda al valore aggiunto, la tendenza negativa appare particolarmente evidente nel nord Ovest con un -7,6%. Al Sud il valore aggiunto si riduce del 2,9%.