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Il dramma del dissesto idrogeologico in Italia: motivi e possibili soluzioni

Piano dell’acqua, stop al consumo di suolo, dare respiro ai fiumi e lotta alla crisi climatica sono i punti irrinunciabili per un’azione efficace
 |  Prevenzione rischi naturali

Il dissesto geologico in Italia è ormai cronico e tutte le volte che in questa stagione una perturbazione sta per arrivare in Italia gli addetti del settore incrociano le dita. In questi giorni, passate le alluvioni che hanno fatto danni e morti geologi ed ingegneri idraulici rilasciano di continuo interviste in svariate testate giornalistiche (televisioni, radio, carta stampata e online) del “bel Paese” (termine peraltro coniato proprio da un geologo). Questa fase in genere dura una quindicina di giorni del post-catastrofe, dopodiché silenzio fino all’evento successivo. Deve essere chiaro che eventi simili a quelli degli ultimi anni sono avvenuti normalmente pure in passato, ma ciò che è cambiato è la frequenza con la quale accadono, a causa dei cambiamenti climatici. Paghiamo così decenni di mala gestione di un territorio fragile e difficile come quello italiano, malagestione che purtroppo perdura anche adesso, e tornare indietro è praticamente impossibile. E come ripete spesso il buon Nicola Casagli, se cadono 200, 300, 400 millimetri di pioggia in poche ore non c’è terreno che tenga, a parte Liguria e alta Toscana (bacini di Magra e Serchio), dove per contenere fino a 300 mm i fiumi sono abbastanza bene attrezzati.

TRONCHI, ALVEI E VERSANTI. Il mantra del momento al bar sport è che con la pulizia degli alvei e con il loro abbassamento non sarebbe successo niente. Del perché scavare gli alvei sia una fesseria rimando a questo post. Di recente, a proposito della Romagna, i soliti soggetti hanno messo in evidenza i tronchi bloccati a monte dei ponti, additandoli come il problema, dicendo che la colpa è di quello e non del riscaldamento globale (che alle volte negano, altre volte dicono che è naturale e in ogni caso il CO2 non c’entra niente). Di sicuro il problema non sono i tronchi, ma i ponti quando rappresentano ostacoli alla corrente (con ponti “fatti bene” sarebbero tranquillamente passati). Quanto alla loro origine, questi danno per assodato che i tronchi provengano dagli alvei; io invece penso che, a causa delle frane innescate dalle piogge, vengano dai versanti, i quali fra deforestazione post unitaria e recente abbandono delle campagne sono messi male. Si, è vero che le aree boscate stanno aumentando, ma sono boschi “giovani” su terreni spesso problematici in versanti decisamente delicati. 

I FIUMI. Come ho fatto notare spesso, ci sono state una serie di operazioni, tutte logiche all’epoca della loro realizzazione, ma che purtroppo nei secoli hanno tutte concorso a peggiorare lo stato dei fiumi e soprattutto la loro reazione alle piogge. Ne ho parlato qualche anno fa evidenziando la necessità di costruire un nuovo mondo intorno ai fiumi e l’ho ribadito anche in una recente intervista al TG1. Riassumendo quello che potete leggere in quel post, tali operazioni sono state:

  • le bonifiche, con l’eliminazione di paludi e lagune; queste però erano zone in cui venivano stoccate le piene dei fiumi (e che ne alimentavano le magre)
  • le rettifiche ed i restringimenti degli alvei ne hanno diminuito la portata utile e velocizzato la corrente; di conseguenza le bocche degli affluenti sono più vicine fra loro, con un maggiore rischio che le piene dei tributari si sommino, anzichè passare ad intervalli
  • durante le bonifiche è stato sempre realizzato un insieme di canali per scolmare le acque evitandone il ristagno. Ma nelle aree urbanizzate i canali sono stati distrutti e quindi l’acqua arriva nel fiume in un tempo molto minore di prima
  • da ultimo i tombamenti, realizzati in genere con portate insufficienti. Seveso e Bisagno sono i casi più clamorosi, ma ci sono centinaia di aste fluviali assoggettate a questi interventi e per esempio nell’alluvione del 2 novembre 2023 sono stati nel pratese teatro di episodi gravissimi.

Insomma, qualsiasi intervento fatto sul reticolo fluviale ha avuto conseguenze nefaste per la situazione odierna: restringere, rettificare o e finanche tombare i fiumi, costruirci ponti bassi e a più campate che rendono la sezione insufficiente e non curarne il territorio intorno è come entrare indifesi nella gabbia di una tigre: non c’è scampo, specialmente quando la tigre ha fame.

IL MASSICCIO CONSUMO DEL SUOLO. Abbiamo costruito dappertutto con una disinvoltura degna di ben altra causa, fregandosene di trovarsi su pendii instabili o in aree alluvionabili (golene dei fiumi comprese). Personalmente mi sono trovato davanti ad alcuni casi in cui il significato recondito delle conclusioni di chi ha fatto le indagini a seguito di un movimento franoso suona più o meno così: “se nessuno avesse rotto le scatole al versante, questo non sarebbe franato”. Stendiamo poi un velo pietoso su costruzioni realizzate in aree che si erano alluvionate pochi decenni (o anni) prima, senza che venissero fatte preventivamente opere di mitigazione del rischio (o, meglio, della pericolosità).

E l’andazzo prosegue, perché tutti gli anni gli appositi rapporti ISPRA evidenziano come il consumo di suolo non accenna a diminuire. Il che in un periodo di stagnazione economica e demografica può apparire una contraddizione. Un aspetto fondamentale della questione è che l’edilizia non dovrebbe essere nell’economia di un Paese avanzato un settore trainante, invece purtroppo siamo quasi ancora a livello di “quando il muratore lavora, tutti lavorano e tutti hanno una abitazione”. Ma se questo lo disse Amintore Fanfani a proposito del piano casa 1949 purtroppo questa equazione viene considerata valida ancora oggi, quando l’edilizia continua a rappresentare un settore trainante dell’economia e una “occasione di sviluppo”.

Inoltre la cosa peggiore è che si preferisce costruire su un terreno vergine anziché su un’area dismessa, perché coprire il nuovo costa molto meno che recuperare il vecchio (a partire dalle problematiche burocratiche dello smaltimento di quello che c’è da sgombrare…).

IL CLIMA CHE CAMBIA. Il riscaldamento globale, che soltanto qualche personaggio con un forte bias mentale può ritenere una bufala, sta cambiando il modo con cui piove nel nostro Paese. Quello che pare strano, ma è vero, è che in Italia piove più che in Gran Bretagna. Ma da loro di acqua ne viene giù poca tutti i giorni, da noi ne viene tanta in pochi. E quel tanta sta aumentando e i pochi stanno diminuendo: avremo la stessa quantità di pioggia ma in ancora meno giorni e soprattutto pioverà in maniera più violenta e concentrata su aree ristrette. 

MA ALLORA COSA SI POTREBBE FARE?
È chiaro quindi che gli eventi pluviali violenti non solo continueranno, ma aumenteranno ulteriormente di frequenza e personalmente, proprio per il nuovo regime pluviale, più sono ridotte le dimensioni dei loro bacini idrografici, più i torrenti mi fanno paura. Ad esempio a Firenze ho più preoccupazioni per l’Ema o il Terzolle che per l’Arno. Intanto pensiamo che per difendere la pianura e i ponti si deve cominciare dai versanti, che non devono franare e dove l’acqua delle precipitazioni deve scorrere più lentamente possibile o, meglio, andare a rifornire le falde acquifere. Vediamo alcune soluzioni teoricamente possibili.

EDILIZIA A SUPERFICIE ZERO: se in un territorio comunale ci sono delle superfici coperte non utilizzate, non deve essere reso possibile sigillarne altre. Insomma, come per 3 delle 4 “erre” dei rifiuti, diamoci al Riuso, al Riciclo e al Recupero delle aree sigillate non utilizzate (la prima “R”, la “Riduzione” è più difficile, ma va pensata anche questa nelle aree a rischio)

DARE RESPIRO AI FIUMI: occorre creare un sistema che sostituisca le paludi e che serva sia per mitigare le piene che le magre, ridando respiro ai fiumi. La Commissione De Marchi aveva provato a proporlo, anche dettagliatamente e per tutta Italia. Ed era il 1970, sull’onda del disastro della Toscana e del Triveneto del 1966. Dall’epoca in Toscana è stato realizzato l’invaso di Bilancino, ma mancano altri 20 piccoli invasi. Nel resto del Paese non saprei. Oggi come oggi ci vuole un sistema misto, composto da casse di espansione, invasi, briglie, sistemazioni dei versanti anche tramite cura del bosco e sostituzione dei ponti che ostacolano la corrente (e pure il cammino dei tronchi). Un sistema capace di stoccare le acque di piena per limitare i danni, e contemporaneamente sfruttarle come riserva d’acqua per i lunghi periodi siccitosi.

ARGINI: ecco un tasto dolente: usura del tempo, attività degli animali che ci scavano le tane, pressione dell’acqua durante le piene e scarsa manutenzione sono un mix terribile per strutture che si estendono per migliaia di km. Occorre un sistema per il loro controllo speditivo. Speditivo perché sono decine di migliaia i kilometri da controllare. Qualcosa c’è in studio, vedremo l’evoluzione della situazione.

POLITICA E SOCIETÀ. Purtroppo fino a quando un sindaco riceve più consensi quando sponsorizza la fiera paesana o quando strilla per ottenere gli aiuti con gli stivali in mezzo al fango rispetto a un sindaco che spende per sistemare un versante, si va poco avanti (avrei diversi esempi al proposito). Occorre quindi cambiare radicalmente la posizione dell’assetto del territorio nel cervello degli italiani (e nella loro classe dirigente), come scrissi anni fa. Qualcuno in passato ha pensato (ed io ero tutt’altro che contrario) ad una assicurazione tipo RCA per gli immobili. Visto che ovviamente più alta è la pericolosità dell’area (pericolosità, non rischio…), più alto sarebbe il premio assicurativo, forse a quel modo verrebbe più premiato dagli elettori il sindaco che sistema un versante di quello con gli stivali perché consente ai cittadini di diminuire i premi pagati dai cittadini: insomma, al solito occorre toccare il portafoglio per far capire un problema 

Aggiungo che se da un lato per fronteggiare i periodi siccitosi e migliorare le forniture idriche abbiamo bisogno di un piano dell'acqua, i bisogni di questo piano potrebbero coincidere in parte con quelli della mitigazione del dissesto idrogeologico. Per cui occorre un accordo politico bipartisan e soprattutto - se si vogliono davvero fare le cose - occorre una velocizzazione dei processi burocratici. 

Aldo Piombino

Laureato in Scienze Geologiche, si interessa di vari ambiti delle Scienze della Terra. Collabora con il gruppo di Geologia applicata dell’Università di Firenze diretto dal prof. Nicola Casagli e con la Scuola di Scienze dell’università di Camerino occupandosi di monitoraggi satellitari e di divulgazione sulle problematiche dell’assetto del territorio. Ha collaborato con l’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino centrale e con l’International Institute of Humankind Studies diretto dal prof. Chiarelli. Studia anche i rapporti fra fenomeni geologici, cambiamenti climatici ed evoluzione della vita lungo la storia della Terra. Ha scritto alcuni articoli scientifici su questi argomenti e “Il meteorite e il vulcano – come si estinsero i dinosauri”, un saggio scientifico nel quale indicale cause geologiche delle numerose estinzioni di massa che hanno punteggiato la storia della vita sulla Terra. Nel 2007 crea il blog “Scienzeedintorni” È nel consiglio della associazione “Caffèscienza Firenze – Prato APS”