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Il petrolio, nonostante gli alti costi, è ancora la prima fonte di energia in Italia

Il prezzo dei fossili pesa sulla fattura energetica nazionale, che nel 2023 ha superato 66 miliardi di euro
 |  Nuove energie
Rapporto Unem mobilità
Grafico tratto dal rapporto Unem sulla mobilità italiana

Il petrolio come fonte di energia primaria, per la mobilità e non solo? Si tratta di un primato ancora difficile da lasciare alle spalle. Sia a livello internazionale che in casa nostra. Primato dannoso, si sa. E costoso. Le alternative? Ci sono, si sa anche questo. Ma nei loro confronti il freno resta tirato.

Il quadro, decisamente poco esaltante, emerge dalle indagini effettuate dall’Unem, l’Unione energie per la mobilità. In occasione dell’assemblea annuale focalizzata su “Sicurezza energetica e competitività” e alle soluzioni “per decarbonizzare davvero”, sono stati infatti presentati i risultati delle analisi condotte dal centro studi dell’associazione nell’arco del 2023 e nei primi mesi di quest’anno, dai quali emerge la «resilienza» del petrolio nonostante la situazione internazionale sia ancora critica dal punto di vista geopolitico. «Seppure con costi più alti del passato, ma comunque lontani dai picchi del 2022, gli approvvigionamenti di petrolio e prodotti finiti hanno trovato rapidamente nuove rotte, fronteggiando sia le sanzioni alla Russia che le problematiche relative al canale di Suez oggetto degli attacchi Houthi», spiega il presidente dell’Unem Gianni Murano nella relazione di presentazione dei dati. E se questo vale a livello internazionale, la situazione in Italia è allo stesso modo ampiamente caratterizzabile sotto il segno del petrolio.

Benché nel 2023 ci sia stata una diminuzione della domanda di energia a causa del calo della produzione industriale (-2,9%), dei miglioramenti di efficienza degli impianti e anche del più mite clima invernale registrato, sottolinea Murano, «il petrolio è tornato ad essere la prima fonte di energia con un peso sul totale di oltre il 37%, scavalcando il gas naturale che ha mostrato un ulteriore calo di oltre il 10%». Il motivo? Spiega il presidente Unem che a spingere i consumi petroliferi è stata soprattutto la domanda di «prodotti per la mobilità stradale e il trasporto aereo» e che questa tendenza è stata confermata nei primi cinque mesi del 2024 «con benzina, gasolio, gpl e jet fuel che hanno superato di 756.000 tonnellate (+5,1%) i volumi dello stesso periodo dell’anno scorso, e di 313.000 tonnellate (+2,1%) quelli del periodo pre-pandemico». 

Non solo. Mentre aumentano i divieti nei principali Comuni italiani per i veicoli più inquinanti, mentre si avvicina la deadline del 2035 deciso dall’Unione europea per lo stop alle auto a benzina e diesel, il dato emerso dalle analisi Unem fotografa una situazione che ha del paradossale: «Di particolare interesse è la crescita dei consumi di benzina che nel 2023 sono aumentati di oltre l’11% rispetto al 2019 (+830.000 tonnellate)». Ciò, spiega Murano, è «evidenza di una progressiva ripresa del trasporto privato». E non aiuta il fatto che il parco auto circolante oggi sia rappresentato per circa il 39% da auto di nuova concezione. Perché, semplicemente, come viene spiegato dal presidente dell’Unione energie per la mobilità, anche questi veicoli fanno aumentare il fabbisogno di prodotti da raffinamento del petrolio, essendo la motorizzazione ibrida «prevalentemente a benzina».

Questi dati sono una doccia fredda non soltanto per chi ha a cuore la tutela ambientale, ma anche per chi concentra l’attenzione sul mero dato economico. Le materie prime fossili costituiscono infatti ampia parte della cosiddetta “fattura energetica” nazionale. Ebbene, se è vero che siamo lontani dalla cifra mostruosa spesa nel 2022, quando dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia il prezzo del gas raggiunse livelli record, anche il costo che l’Italia deve sostenere oggi non è affatto di poco conto. Nel 2023, risulta infatti dall’indagine effettuata da Unem, la fattura energetica nazionale è stata di 66,5 miliardi di euro. Un costo che, secondo le previsioni, potrebbe ancora diminuire nel 2024, per il quale «la fattura energetica si stima intorno ai 56 miliardi di euro, cioè 10 miliardi in meno del 2023 quasi interamente dovuti, anche in questo caso, alla componente gas. Sostanzialmente stabile intorno ai 28 miliardi di euro la fattura petrolifera».

Ma un costo, comunque, che rimane decisamente alto e che tra l’altro va ad aggiungersi ai sussidi alle fonti fossili che il governo italiano, anche in questo caso paradossalmente visti gli obiettivi comunitari, invece di diminuire sta costantemente aumentando. La transazione energetica? Le fonti rinnovabili? Costano troppo, è il refrain dei sostenitori del fossile. Ma, intanto, le cifre mostrano un’altra verità. «In prospettiva, i consumi petroliferi sono destinati a diminuire, ma a crescere sarà la componente rinnovabile che, in base all’attuale normativa comunitaria, al 2030 nei trasporti dovrà arrivare al 29%», sottolinea il presidente Unem. Dovrà, certo. Ma ai ritmi attuali e con scelte del governo come quelle riguardanti il Pniec e le aree idonee, difficilmente potrà essere raggiunto dall’Italia.

Simone Collini

Dottore di ricerca in Filosofia e giornalista professionista. Ha lavorato come cronista parlamentare e caposervizio politico al quotidiano l’Unità. Ha scritto per il sito web dell’Agenzia spaziale italiana e per la rivista Global Science. Come esperto in comunicazione politico-istituzionale ha ricoperto il ruolo di portavoce del ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nel biennio 2017-2018. Consulente per la comunicazione e attività di ufficio stampa anche per l’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino centrale, Unisin/Confsal, Ordine degli Architetti di Roma. Ha pubblicato con Castelvecchi il libro “Di sana pianta – L’innovazione e il buon governo”.