A Roma gli Stati generali delle aree protette, le associazioni: «Settore trascurato, ora si cambi»
Oggi e domani, a dieci anni dalla precedente edizione, il ministero dell’Ambiente organizza a Roma gli “Stati Generali delle Aree protette italiane”. In vista di questo appuntamento, le associazioni Club Alpino Italiano, Greenpeace Italia, Italia Nostra, Lipu, Mountain Wilderness, ProNatura, Touring Club Italiano, Worldrise e WWF Italia hanno predisposto un documento unitario che affronta i principali problemi delle aree naturali protette e avanza soluzioni e proposte.
Per le associazioni ambientaliste italiane, principali promotrici e protagoniste nella creazione nel nostro Paese di oltre mille aree naturali protette, la convocazione di questi Stati Generali è sicuramente una buona notizia, anche se non è stata preceduta da un vero confronto che ne avrebbe facilitato i lavori in termini di partecipazione e individuazione dei temi da affrontare.
Il ruolo strategico che parchi, riserve e siti della Rete Natura 2000 ricoprono per tutelare la straordinaria biodiversità italiana, assicurare servizi ecosistemi fondamentali per la nostra vita, valorizzare i territori e contrastare il cambiamento climatico, richiedono il massimo impegno da parte delle istituzioni anche in vista degli ambiziosi obiettivi della Strategia europea per la biodiversità di arrivare entro il 2030 al 30% di territorio italiano protetto (a terra e a mare).
Le associazioni vogliono quindi interpretate questa convocazione come un segnale di una nuova attenzione per un settore che negli ultimi anni è stato trascurato sotto tanti aspetti a partire da quello, non solo formale, che dei 24 parchi nazionali – la forma più alta di protezione prevista dalla legge quadro sulle aree protette – almeno 10 sono oggi commissariati o privi di un consiglio direttivo. Il completamento del sistema delle aree protette, sia terrestri che marine, già previste per legge, è attualmente fermo, non sono previste estensioni delle aree protette esistenti (unica eccezione negli ultimi anni per il Parco Nazionale della Val Grande) e non si sta lavorando per dotare tutti i parchi di zone contigue (aree pre-parco).
Non si è riusciti a risolvere lo storico divario gestionale di cui soffrono le aree marine protette che continuano ad essere poche, gestite attraverso un modello che ha mostrato tutti i suoi limiti e che da sempre sono meno supportate in termini di mezzi e risorse. Manca una classificazione della natura giuridica di nuove aree che, pur non essendo parchi o riserve e pur non facendo parte della Rete Natura 2000, potrebbero essere utili al raggiungimento dell’obiettivo del 30% di territorio protetto a condizione di adottare corretti criteri di gestione e salvaguardia a partire dalla definizione del concetto di «area rigorosamente protetta» che dovrà interessare, sempre entro il 2030, almeno il 10 % del territorio e del mare italiani.
Uno dei momenti di confronto previsti nei prossimi Stati Generali riguarda la modifica della legge quadro sulle aree naturali protette (Legge 6 dicembre 1991, n. 394) su cui in Parlamento sono state già presentate due proposte di modifica sia dalla maggioranza che dalla minoranza. La 394/91, sottolineano le associazioni, è indubbiamente una legge di successo che in pochi anni ha consentito di far crescere notevolmente la superficie di territorio italiano protetto. Le associazioni ambientaliste sono sempre state disponibili al confronto su come riformare una normativa con più di 30 anni di vita. Hanno però evidenziato come fosse necessario intervenire soprattutto per renderla più in linea con l’evoluzione europea e internazionale seguita all’approvazione di convenzioni internazionali e di direttive e regolamenti, ma anche per restituirle una necessaria riconfigurazione logica dopo le tante modifiche estemporanee attuate negli anni.
Una vera riforma, sottolineano le associazioni ambientaliste, dovrà così superare le scelte che nel tempo hanno portato la governance delle aree protette nazionali ad essere condizionata da istanze locali e partitiche, ribadendo la centralità della conservazione secondo criteri scientifici e tecnici. Soprattutto, concludono le sigle che hanno prodotto il documento unitario, una riforma efficace dovrà proporre modelli capaci di trasformare le oltre mille aree protette italiane in un vero e proprio “sistema” in grado di garantire tutela e sviluppo sostenibile.