Il cambiamento climatico ha messo in crisi anche le previsioni degli eventi meteo estremi
Le previsioni del tempo ci fanno impazzire, tant’è che anche un gigante del settore come 3BMeteo si è scusato con gli utenti per qualche previsione sbagliata di troppo. Per capirne di più abbiamo intervistato il geologo e climatologo Massimiliano Fazzini, professore di Rischio climatico (Università di Camerino – Urdis) e componente dei Consigli scientifici del Comitato One Water e della Fondazione Earth and water agenda (Ewa).
Intervista
Una volta quando c’era Bernacca e una sola rete sembrava andasse tutto al meglio. Cosa succede ai modelli previsionali?
«Accade che attualmente abbiamo a disposizione una enorme quantità di dati meteoclimatici derivanti dal monitoraggio effettuato “a terra” o da “remoto”, che fungono da input per la previsione. La previsione meteorologica, inoltre, beneficia dell’inimmaginabile potenza di calcolo dei più moderni supercomputer – la cui velocità viene misurata in flops – così che possiamo avere previsioni sempre più aggiornate e puntuali, visto che molti centri di previsioni emettono oramai quattro “uscite” al giorno. L’utilizzo dell’intelligenza artificiale concorre infine alle sempre più brillanti performance previsionali. Tutto ciò però non permette, almeno al momento, di comprendere dove e con che intensità avverranno un certo tipo di fenomeni atmosferici, in primis quelli brevi e molto intensi che spesso determinano alluvioni lampo, allagamenti e altri fenomeni di dissesto idrogeologico. Credo onestamente che questo tipo di previsioni sarà difficilmente perfezionabili anche nel lungo termine».
Insomma, se dovessi elencare il problema principale quale segnaleresti? La natura dei modelli, la natura dei dati su cui i modelli lavorano o la preparazione degli interpreti dei modelli?
«La qualità della modellistica dedicata è in continua evoluzione e miglioramento, i risultati sono evidenti nella stragrande maggioranza degli eventi meteorologici predicibili; tuttavia, l’evoluzione dell’ambiente fisico antropizzato è evidentemente più rapida dell’evoluzione tecnologica appena descritta. L’enorme quantità di calore attualmente disponibile nel caotico complesso sistema terra-mare-atmosfera causa un comportamento termodinamico della troposfera sempre meno predicibile, soprattutto in condizioni di instabilità atmosferica.
Quanto alla qualità dei meteorologi, occorre fare un distinguo. Le possibilità offerte dall’università italiana per prepararsi a divenire meteorologi e climatologi in Italia è estremamente limitata, seppure eccellenti realtà accademiche garantiscano un’adeguata formazione. Molto spesso i ragazzi studiano all’estero e rimangono nei Paesi che li hanno accolti durante il loro percorso di studio. Nelle strutture pubbliche dedicate alla previsione meteo-climatologica sono occupati validi tecnici aventi spesso le più svariate formazioni accademiche e che frequentemente si sono “fatti da soli” grazie a passione ed esperienza. Dulcis in fundo, c’è l’apporto di assoluto valore che il Servizio meteorologico dell’aeronautica militare garantisce nello specifico settore.
Poi c’è il mondo del “privato”, che comprende moltissime realtà, alcune di esse sono ben strutturate e di conseguenza esprimono un prodotto paragonabile a quello “istituzionale”. Tuttavia, talvolta esse risentono troppo del giudizio o delle richieste dell’utenza e di conseguenza cercano di rispondere in maniera che scientificamente è impossibile perseguire. L’esempio tipico è la critica sull’evidenza che si sono sbagliate le previsioni visto che “ad un chilometro da casa mia è piovuto e da me no” oppure sulla richiesta di “come sarà il tempo tra una settimana ad una determinata ora nel mio quartiere della città”».
Cominciamo con le previsioni relative a vari fenomeni. Il primo che ci interessa è la previsione delle forti precipitazioni, per mitigare i danni delle inondazioni. I famosi flash flood. Si possono prevedere con più precisione i luoghi e l’intensità dei fenomeni?
«Confermo purtroppo che al momento è, a mio parere, impossibile definire – sia quantitativamente, sia spazialmente – l’esatta collocazione di determinate fenomenologie “intense”, talvolta autorigeneranti, che concausano esiti al suolo che si possono rivelare drammatici, come ad esempio le alluvioni lampo o certi tipi di colate detritiche. Troppe variabili concorrono all’esatta definizione del “dove” avverrà il “fenomeno estremo”, soprattutto in un territorio così orograficamente complesso e fortemente antropizzato come quello italiano».
Passiamo alle previsioni a breve-medio termine, utili per il mondo del turismo, per l’agricoltura e la gestione dei servizi. Si possono migliorare? Anche in questo caso quanto è colpa dei modelli e quanto è colpa del cambiamento climatico?
«Le previsioni a medio termine sono evidentemente migliorate moltissimo, ce lo dice la statistica dedicata; si veda ad esempio la corretta definizione spaziale, con diversi giorni di anticipo, delle tempistiche e delle cumulate meteoriche causate dal passaggio del ciclone Boris sulla Mitteleuropa, ennesima evidenza di un “clima” sempre più estremo. Qui il discorso è molto sottile e riguarda nuovamente la scala spaziale che si va a considerare. Se si chiede una previsione a 5-7 giorni – che è meglio chiamare tendenza – sulle Dolomiti, avrò un’attendibilità della previsione molto elevata, comunque dipendente delle stagioni; se si chiede che tempo farà tra 5 giorni sulla vetta della Marmolada, la probabilità di successo della previsione crolla drasticamente. Evidentemente, sapere se pioverà o no e con che abbondanza sulla Pianura padana in novembre o se avremo solleone a Rimini in agosto è complessivamente più facile. Il problema, sia per una previsione a 24 ore sia per quella a 5 giorni, se si tratta di fenomenologie convettive, è che anche a brevissimo termine si può sbagliare notevolmente. Poi però ci sono i “maghi del web” che mettono tutto e tutti in discussione».
I fenomeni nevosi al di fuori dell’inverno ci stupiscono sempre. E spesso ci lasciano impreparati. Sulla neve, dove tu sei un esperto di livello internazionale, che si può dire? Sia nelle previsioni a breve che in quelle climatiche di lungo periodo?
«La previsione della neve è quanto di più complesso si possa produrre, in virtù di un numero ancora maggiore di fattori che alla scala locale incidono sulla sua caduta e soprattutto sull’attecchimento al suolo. Ciò detto, torna la solita problematica della scala spaziale a cui si ci vuole riferire. Le nevicate tardo estive del 12-13 settembre sui rilievi nazionali sono state correttamente previste alla scala regionale, anche come quote medie di attecchimento. Anche in questo frangente, però, in valli limitrofe tra di loro, gli accumuli al suolo sono stati molto differenti, anche alle stesse quote.
Sulle previsioni stagionali, dico solo una cosa: non utilizziamole mai per la pianificazione della nostra vita: dal turismo, all’agricoltura, sino alla stima della potenziale disponibilità di acqua stoccata o degli apporti nivometrici sugli apparati glaciali in profonda sofferenza. La previsione stagionale può realmente sviarci da quello che accadrà realmente, fornendo tendenze a scale spaziali estese e sugli scarti attesi rispetto alle medie climatiche. Ad esempio se a Cortina mediamente cadono 230 cm di neve a stagione invernale e il modello climatico prevede uno scarto positivo del 50%, non potrò affermare che a Cortina sarà un inverno nevoso. È sufficiente che una perturbazione molto intensa apporti due metri di neve in una settimana e il gioco è fatto».
Quest’anno abbiamo avuto un’estate caldissima, la temperatura nei mari è sembrata davvero eccezionale. Cosa comporta questa temperatura elevata in campo meteorologico? E, più in generale sia in mare che a terra, questa temperatura che sembra cresciuta oltre i livelli previsti nella Cop di Parigi alla data del 2030, dove può arrivare?
«La risposta è estremamente complessa. Le ultime tre stagioni meteorologiche estive sono state tra le cinque più calde degli ultimi 150 anni; in particolare quest’estate è stata contraddistinta da temperature minime eccezionalmente elevate, a differenza di quelle 2022 e 2023 che avevano evidenziato prolungate fasi con temperature diurne eccezionali. Tutto ciò non fa altro che causare un incremento delle temperature di mari ed oceani che circondano i continenti e che fungono da “volano” termico per l’intero globo. Di conseguenza, se anche le politiche finalizzate al raggiungimento della neutralità carbonica – come anche alla riduzione di cementificazione e deforestazione – fossero immediatamente attuate in tutto il pianeta, comunque si assisterebbe ad un ulteriore incremento delle temperature terrestri, per via del calore lentamente ceduto in atmosfera dagli oceani. Sulla corretta quantificazione dell’incremento delle temperature globali – terrestri e marine – occorrerebbe poi un dibattito scientificamente corretto, visto che la positiva quanto caotica crescita delle possibilità di monitoraggio che la tecnologia ci offre deve essere trattata, a mio parere, con una maggiore chiarezza da parte degli organismi internazionali competenti in materia».