Tornare all’energia nucleare? Ipsos: il 75% degli italiani dice no
Si è alzato oggi a Roma il sipario sull’XI edizione dell’Ecoforum, l’ormai tradizionale kermesse organizzata da Legambiente, La nuova ecologia e Kyoto club, portando al centro del dibattito il tema più scottante per la transizione ecologica italiana: il ritorno all’energia nucleare.
Paventato dal Governo Meloni con la nuova proposta di Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec) inviata a Bruxelles, il Piano prevede che l’atomo possa coprire l’11-22% della domanda di elettricità al 2050 (quando nel maggio scorso dalle rinnovabili è arrivato già il 52,5%, nell’intero 2023 il 36,8%).
Una prospettiva contro cui i cittadini italiani si schierano ancora una volta contro, dopo i due referendum del 1987 e del 2011. Rispondendo al sondaggio commissionato da Ipsos per l’Ecoforum, per «il 75% degli intervistati ad oggi il nucleare non è una soluzione attuabile e non rappresenta una valida alternativa perché troppo pericoloso e poco conveniente», un aspetto quest’ultimo sottolineato (per il contesto europeo almeno) anche dall’Agenzia internazionale dell’energia. Dati che Legambiente e Kyoto club hanno portato all’attenzione del ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, intervenuto oggi all’Ecoforum.
Si tratta peraltro di un risultato distante rispetto a quello ottenuto dal sondaggio pubblicato lo scorso ottobre da Swg, su commissione della filiera delle imprese nucleari riunite alla iWeek di Milano; distante quanto? Forse non troppo. In quell'occasione il 74% degli intervistati si dichiarava favorevole al nucleare: solo il 20% "a prescindere" mentre il 54% "ad alcune condizioni", tra le quali spicca quella di costruire le eventuali centrali "a una distanza significativa dalla propria abitazione". In entrambi i casi si parlava comunque di "nuove" tecnologie nucleari come i reattori Smr, con lo stesso sondaggio a testimoniare che solo il 19% dei cittadini sapeva di cosa stava parlando.
«Mancano solo sei anni al 2030, ma il Governo Meloni guarda al passato a partire dalla scelta fatta sul Pniec contenente un mix energetico basato anche sul nucleare, sul gas e sul Piano Mattei – commenta il presidente nazionale di Legambiente, Stefano Ciafani – Una decisione grave che non tiene conto delle esperienze virtuose in fatto di rinnovabili, sparse nella Penisola, e della leadership italiana sull’economia circolare in Europa. Occorre accelerare lo sviluppo e la realizzazione di nuovi impianti a fonti pulite e lavorare sulle filiere strategiche dell’economia circolare a partire dal riciclo dei Raee», il cui tasso di raccolta però continua drammaticamente a scendere di anno in anno, rendendo evidente anche l’esigenza di «nuove campagne di informazione e sensibilizzazione rivolte ai cittadini».
Per gran parte dei cittadini, l’Italia deve fare di più su rinnovabili, economia circolare e lotta alla crisi climatica. Fonti pulite ed economia circolare rappresentano due volani per il Paese permettendo di creare nuovi green jobs: oltre 1 italiano su 2 ritiene che in futuro aumenteranno. Due, poi, le priorità d’azione che emergono in prima battuta dal sondaggio: per il 54% degli intervistati il Governo dovrebbe incentivare la produzione e l’impiego di energie rinnovabili e per sviluppare l’economia circolare; per il 38% le amministrazioni dovrebbero semplificare il processo autorizzativo degli impianti di energie rinnovabili e per sviluppare l’economia circolare.
«Economia circolare e transizione energetica da fossili a rinnovabili non sono più solo un must per affrontare la crisi climatica che si è fatta drammatica realtà, ma anche – sottolinea Francesco Ferrante, vicepresidente Kyoto club – la chiave per fare una politica industriale che consenta al nostro sistema economico di giocare un ruolo da protagonista e non solo in difesa nello sconvolgimento geopolitico cui stiamo assistendo. Siamo quindi preoccupati per gli errori che si stanno facendo sul fronte delle rinnovabili, con un decreto “aree idonee” che non “idoneizza” nulla e che anzi complicherà il permitting, e sul fronte dell’economia circolare, per esempio, o sui ritardi che si accumulano sulle discipline end of waste che consentirebbero di uscire dal ciclo dei rifiuti a materiali che farebbero risparmiare tanta materia prima».
Tre gli interventi urgenti su cui per Legambiente e Kyoto club è necessario che l’Italia lavori:
1) Accompagnare la realizzazione degli impianti necessari alla rivoluzione circolare del Paese, visti come un’opportunità di riqualificazione sociale, risanamento ambientale e rilancio economico dei territori
2) Sostenere lo sviluppo di filiere e settori strategici nel panorama nazionale, dal tessile alle materie prime critiche, dai rifiuti speciali ai Raee passando per lo spreco alimentare, e sostenere ricerca e sviluppo di nuove soluzioni per affrontare le sfide dell’era digitale anche in questi settori
3) Occorre consolidare e rafforzare nei territori i principi cardine della gerarchia della gestione dei rifiuti (4R), ossia riduzione, riutilizzo, riciclo e recupero dei rifiuti.
Si tratta di priorità da cui passa la competitività del sistema-Paese, non “solo” la sua transizione ecologica. Basti osservare che le materie prime critichenecessarie all’Europa – e dalle quali passa il 38% del Pil nazionale – ad oggi vengono per il 56% dalla Cina, così come circa il 90% della produzione mondiale di terre rare, di manganese e di germanio.
In questo scenario il Critical raw materials act, emanato a marzo 2023 dalla Commissione Ue, stabilisce che entro il 2030 l’estrazione, raffinazione e riciclo di tali materie debbano soddisfare, rispettivamente, almeno il 10%, 40% e 15% del fabbisogno europeo, con l’obiettivo di rendere le filiere industriali più resilienti e meno dipendenti da Paesi terzi. Nel decreto del Governo Meloni che cala l’atto nella legislazione italiana, però, l’attenzione riservata al riciclo è minimale rispetto a quella per le (pur necessarie) nuove miniere. Eppure l’Italia ha già molti punti di forza sull’economia circolare.
«Il nostro Paese ha superato gli obiettivi complessivi di riciclo chiesti dall’Europa al 2030, quando ogni Stato dovrà riciclare almeno il 70% dei suoi rifiuti di imballaggio – spiega Fabio Costarella, vicedirettore generale Conai – Secondo gli ultimi dati Eurostat, l’Italia è leader per riciclo pro-capite di imballaggi in un testa a testa con la Germania».
Il problema è che tutta l’attenzione in fatto di riciclo si concentra appunto sui rifiuti da imballaggio (che rappresentano l’8% del totale) e sull’organico (un altro 4% circa), mentre c’è ancora grande incertezza su quanti rifiuti speciali sono effettivamente riciclati e poi re-immessi sul mercato, mentre non esiste una politica industriale a sostegno del riciclo.
«Da numerosi rapporti sui rifiuti e sull’economia circolare – conclude nel merito Riccardo Piunti, presidente del Conou – emerge un dato: siamo spesso più bravi a raccogliere che a riciclare. Questo, se vale per molti rifiuti urbani e no, tuttavia non vale per l’olio minerale che (dallo studio Ue della fine del 2023) pone l’Italia in prima fila nella raccolta (100%) e nella rigenerazione (98%) rispetto all’82% e 61% della media Ue. Paradossale che proprio (e forse solo) in questo settore l’Europa non abbia fissato obiettivi, nonostante riconosca l’importanza di rigenerare questo rifiuto pericoloso».