![](/templates/yootheme/cache/17/erasmo-dangelis-17465e9f.jpeg)
Carbone e carbonella. Le nostre 6 centrali a carbone chiuderanno nel 2025, ma c’è chi spera nel ritorno all’Ottocento e nel rilancio della più inquinante energia fossile
![](/templates/yootheme/cache/47/Centrale%20carbone-478a5abb.png)
Il mondo sta ancora metabolizzando e analizzando l'impatto devastante della discesa verso l’età dell’oro nero – petrolio, carbone e gas – del secondo tragico Donald Trump, e gli effetti sulla sostenibilità globale dopo l’addio all’Accordo sul clima siglato a Parigi e alla transizione energetica Usa con lo stop al Green New Deal, la retromarcia sulla mobilità elettrica e l’ordine esecutivo “drill, baby, drill”. L’Europa discute se e come affrontare le sfide globali e il futuro prossimo di fronte a impatti climatici sempre più devastanti per emissioni killer di CO2 senza freni che innescano catastrofi con morti, feriti, sfollati, colossali perdite finanziarie, economie locali al collasso, e sul tavolo di Bruxelles ci sono report sulle necessità di adattamento con un nuovo Green Deal rafforzato e promesso dalla nuova Commissione con sfide soprattutto sulle nuove energie.
L’Italia dovrebbe dichiarare lo stop al carbone nel 2025 (tranne in Sardegna, rimandata al 2028) come indicato nel Piano Nazionale Integrato Energia e Clima, dopo che il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin nel settembre 2023 ha prorogato la produzione delle nostre 6 centrali a carbone, già rilanciate all’inizio del 2022 per far fronte alla crisi energetica dopo l’aggressione russa all’Ucraina ed evitare blackout: 4 di Enel (Brindisi, Torrevaldaliga Nord a Civitavecchia, Fusina e Sulcis) una di EP a Fiumesanto e di A2A a Monfalcone.
Eppure in Italia c’è chi si porta avanti tornando al passato, sognando l’età del carbone. Della new wave carbonifera si è fatto portavoce il presidente di Nomisma Energia che, sul Sole 24 Ore di lunedì scorso, spiegava che è questo l’attimo fatale per rompere “il tabù del carbone” e sarebbe arrivata l’ora “di sporcarsi le mani” aumentando la produzione energetica con il combustibile nerofumo più tossico sia per gli umani che per l’atmosfera. Tabarelli forse dovrebbe rileggersi i documentati dossier del Sole 24 Ore o quantomeno non saltare le paginate con analisi sul riscaldamento globale e i suoi effetti e la necessità di aumentare le produzioni di energia rinnovabile spingendo sul “carbone bianco” ovvero l’idroelettrico, e sull’intero set di tecnologie rinnovabili, sulla cattura dell’idrogeno e sullo stoccaggio. E fa immaginare un mercato energetico già terrorizzato dalla mancanza di gas a marzo, e figuriamoci per la prossima estate quando già saremo “a corto di scorte per l'inverno 2025-26”, tirando un sospiro di sollievo per “la fortuna” di avere tutte le 56 centrali nucleari francesi a pieno ritmo con esportazioni verso i 3 grandi paesi confinanti - UK, Germania e Italia - viste le basse produzioni eoliche nel Nord Europa a conferma del “grosso problema della sua intermittenza”.
Ma vede nero e si schiera contro il crollo, in Europa e in particolare in Italia, della produzione da carbone, dimezzata nel gennaio 2025 a 0,4 miliardi kWh e oggi al minimo storico. Ed ecco l’appello accorato: “Abbiamo tre fra le migliori centrali a carbone al mondo, e noi vogliamo a tutti i costi portarle alla completa chiusura entro quest'anno… sarebbe sufficiente che la Commissione, ovviamente con enorme imbarazzo, annunciasse che, in caso eccezionale di carenza di gas per la prossima estate, i vincoli ambientali su alcuni combustibili potranno essere momentaneamente tolti”. E la questione delle emissioni di CO2? Beh, sarebbe ancora più semplice da risolvere poiché “gli obblighi sono solo di carattere politico”. E la politica potrebbe cancellarli tout court.
Si torna al carbone e alla carbonella? Con l’addio e un bel reset a tutti i report scientifici a partire dai rapporti IPCC dell’Onu e per finire al Rapporto dell’International Energy Agency, che la indicano riduzione necessaria dell’energia da carbone del 90% al 2050, e l’uscita dal carbone e dai sussidi ai combustibili fossili per non aumentare morti e danni da cambiamento climatico? Addio anche ad ogni firma apposta dall’Italia ad ogni Conferenza delle Parti dell’Onu sul clima che ci impegna ad accelerare “l’eliminazione graduale dell’energia a carbone senza sosta e dei sussidi inefficienti per i combustibili fossili”, e anche per eliminare i “sussidi inefficienti per i combustibili fossili”?
La transizione energetica non può attendere, caro Tabarelli. Sapendo che il carbone rilascia più anidride carbonica in atmosfera, il mondo deve provare a reggere ormai l’obiettivo di non superare l’aumento di 1,5 gradi di temperatura globale sull’inizio dell’era industriale, il target insuperabile a fine secolo ma superato purtroppo per noi nell’anno più caldo della storia, il 2024, che ha bruciato ogni record precedente per mancate riduzioni di emissioni a livello globale.
L’Italia avrebbe un eccellente piano di adattamento che però resta nel cassetto dei ministeri. Perdiamo tempo andando dietro i sogni impossibili del ritorno al vecchio e rischioso nucleare a fissione che rispunta sempre quando nessuno sa cosa dire e cosa fare, e ben sapendo che nessun politico di nessun partito accetterà mai entro i propri confini comunali o regionali una centrale o una mini-centralina o un inesistente reattore atomico small modular, ma nemmeno un indispensabile deposito di scorie prodotte quotidianamente nel nostro Paese che tutti i comuni e tutte le regioni rifiutano almeno da due decenni. Le disinformazioni negazioniste sul clima e il negazionismo istituzionale sulla verità degli impatti climatici toccano il fondo con dichiarazioni a ruota libera e del tutto prive di quel senso della realtà che servirebbe oggi.
C’è un bel pezzo di economia italiana con tante nostre imprese protagoniste globali e nazionali della green economy con soluzioni eccellenti. Basterebbe una lettura veloce dei rapporti annuali di Symbola o dell’Istat per capire da dove sta passando e passerà il futuro della nostra competitività, quella che garantisce benessere e occupazione di qualità, investimenti nella transizione ecologica e tenuta dei sistemi di welfare, la sicurezza dei territori e delle aree urbane dove almeno 6 milioni di italiani vivono al più elevato rischio di emergenze meteo-climatiche e idrogeologiche.
Altro che ritorno alle centrali a carbone. Mentre i mercati puntano sulle rinnovabili e alcuni climatologi guardano con interesse anche alla sfida globale della ricerca e sviluppo del nuovo nucleare a fusione che non produce scorie nel tentativo di ridurre o persino azzerare le emissioni di CO2 per generazioni che verranno dopo di noi, la verità che dovrebbe scuoterci vede l’Italia nell’impasse più totale in un groviglio di burocrazie regionali e locali. Basti pensare alle incredibili scelte della Sardegna, che lascia appena l’1% dello spazio del suo territorio alle “aree idonee” per le nuove energie proprio quando servirebbe la forte crescita nell'installazione di tecnologie dall'eolico offshore al solare ai sistemi di stoccaggio.
La risposta per il futuro pulito delle nostre economie, per l’occupazione di qualità, per il futuro della mobilità, per l'accelerazione degli investimenti nei comparti produttivi, non è il ritorno all’Ottocento annerito dal nerofumo tossico del carbone, il combustibile primitivo e più “sporco” che ha conseguenze ambientali e sanitarie accertate.
![](/templates/yootheme/cache/17/erasmo-dangelis-17465e9f.jpeg)