[19/09/2007] Aria

L’Europa scende dall’auto. L’Italia no

LIVORNO. Nonostante benzina alle stelle, polveri sottili e nanopolveri, aria inquinata, C02, traffico e morti per le strade, la voglia di motori in Italia non diminuisce, e anzi crescerà sempre di più nei prossimi anni in controtendenza rispetto al resto d´Europa. Così è secondo i dati dell’ultima ricerca del Bipe (Repubblica di oggi): il nostro Paese continuerà ad incrementare l’uso delle auto al ritmo dell’1.5 per cento fino al 2015 per quelle a benzina e dello 0.5 per quelle a diesel. Il resto dell’Europa, invece, nello stesso periodo lo diminuirà tra lo 0.5 e il 2 per cento. Previsioni a lungo termine, certo, ma piuttosto verosimili visto il ritmo di vendite delle quattro ruote in Italia. E visto anche il battage pubblicitario senza soluzione di continuità su ogni e qualunque mezzo di informazione.

Proprio oggi l’Istat ci informa tra l’altro che l’indice degli ordinativi ha registrato gli incrementi più consistenti nella produzione di mezzi di trasporto: più 23 per cento (giugno-luglio 2007 rispetto allo stesso periodo del 2006). Vendere auto d’altronde fa crescere il Pil, dà lavoro agli operai (e se protestano perché il contratto è da fame chi se ne frega) e dunque ora che i mezzi in produzione sono molto più ecologici e sempre più lo saranno in futuro «andiamo avanti tranquillamente», come disse il capitano al mozzo di bordo del Titanic.

Una battuta per dire che le cose non sono purtroppo mai semplici e neppure immediate. Se di per sé, infatti, è oltremodo positivo che l’industria dell’auto si ponga il problema dei consumi e delle emissioni, lo sforzo viene vanificato quando l’aumento delle vendite continua a crescere. Perché se non fosse chiaro, un aumento costante dell’1.5% annuo dell’uso delle macchine, significa che c’è un punto e mezzo in più percentuale che va ad aggiungersi alle costanti vendite che sono già – aggiungiamo noi - ambientalmente insostenibili. Quindi, semplificando, se un modello di auto ha la metà delle emissioni delle altre, ma se ne vende un numero pari al doppio non cambia niente e se pari al triplo è peggio di prima. Con buona pace degli euro 4, o euro 5 o futuri 6 e 7.

Perché gli italiani non si frenano nell’acquisto e nell’uso dell´auto? Le spiegazioni del Bipe sono tutte convogliate in una sostanziale mancanza di alternative. E probabilmente anche questo è vero, perché se gli autobus non ci sono o funzionano male, i treni affollati, sporchi e non funzionali alle tratte dei pendolari, se il car sharing è ancora a livello di sperimentazioni (positive) qua e là, se ogni volta che si progetta un’infrastruttura di diversa mobilità rispetto all’auto la si avversa, è chiaro che non ci sia effettivamente molta scelta.

Certo, si possono aumentare i costi dei parcheggi, chiudere i centri storici, far pagare maggiormente o introdurre i ticket per entrare nelle città, ma alla fine queste operazioni devono essere accompagnate da un miglioramento concreto dell’altra mobilità tutta perché altrimenti si darà adito solo ad un maggior conflitto sociale e a ben pochi benefici ambientali. Ed è qui che la riconversione ecologica dell’economia, ovvero secondo il criterio direttore della sostenibilità, prevedrebbe un diverso approccio alla questione. Dove sostanzialmente i dati dell’andamento delle vendite auto dovrebbero essere un indicatore da tenere sotto controllo, incrociandolo con i dati delle malattie cardio-respiratorie, quelli degli incidenti stradali, i rispettivi costi sociali e delle cure e i bilanci delle società che gestiscono il trasporto pubblico. Una contabilità di bilancio, questa, che se portata avanti in modo virtuoso avrebbe come conseguenza quella di migliorare il servizio di trasporto pubblico, una diminuzione degli incidenti e degli ammalati, una diminuzione anche delle vendite di auto (ecologiche o non). Stiamo dunque percorrendo questa strada, che anche l’ultima indagine del Worldwatch institute sulla diminuita capacità delle acque delle mare di assorbire anidride carbonica, in qualche modo ci chiede di fare? Se la risposta è no, è tempo di rimboccarsi le maniche.

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