Tra scienza, terremoto e delusioni: quale turismo per la crescita? Il caso dell’Aquila

Di turismo come motore di crescita si parla oggi un po’ ovunque nel mondo, e anche in quella grande città-laboratorio che è L’Aquila del dopo terremoto. L’opzione “turismo” – non v’è dubbio – può e deve avere un ruolo centrale nella strategia di rinascita economica del capoluogo abruzzese. Ma quale turismo?

Non si può prescindere, ovviamente, dalla visione fatta propria dallo stesso sindaco Cialente[1]: “Partiamo dal Gran Sasso”. Essa mira a costruire un legame diretto tra l’ospitalità urbana e la fruizione di un’ammodernata stazione di sport alpino: è un progetto necessario ed importante. Sono chiare però anche le debolezze di questa visione sia sul piano della strategia di destinazione che su quello delle ricadute, a cominciare da quelle occupazionali. La stima assai ottimistica (oltre 2000 posti di lavoro, indotto compreso!), prodotta da Invitalia in uno studio dell’aprile scorso[2], è il risultato di una metodologia sorprendentemente sbrigativa, che, ad esempio, dice quanta, ma non si chiede quale occupazione produca quel tipo di turismo. E dovrebbe preoccupare il fatto che si immaginino infrastrutture e impianti, ma – diversamente da quanto oggi in Europa prescrivono le strategie di “specializzazione intelligente” – non si investa in persone e conoscenze per il turismo.

Al tempo stesso, però, si tratta di una visione assai datata e paradossalmente restrittiva rispetto alle potenzialità del turismo a L’Aquila: una città, non un villaggio di fondovalle. Oggi molto si discute a livello internazionale di turismo urbano (e un seminario internazionale su questo tema si è tenuto nelle scorse settimane proprio alla scuola dottorale del Gran Sasso Science Institute[3]). Che si tratti di grandi metropoli o di città medie e piccole, il fenomeno è non solo imponente, ma soprattutto è qualitativamente nuovo.

Il turista urbano è sempre meno un alieno, confinato nel recinto dei percorsi “turistici”, e invece è sempre più un viaggiatore curioso, che quei recinti li supera per imparare e condividere l’anima della città. Il nuovo turista urbano non si accontenta del pellegrinaggio ai monumenti, ma cerca esperienze vere: vuole sentirsi un “cittadino pro tempore” e chiede che gli si racconti una storia significativa e attuale del luogo, ma anche unica, diversa, memorabile.

Quale narrazione di sé può proporre L’Aquila? Certamente quella che è ereditata dalla storia. Attorno a questo tema c’è però molta retorica e poco realismo: per quanto eccezionale, il patrimonio storico-artistico della città – specie in un contesto culturalmente ridondante come quello italiano – non sarà mai un attrattore sufficiente di flussi di visitatori. E comunque restiamo nel solito schema, quello dei recinti turistici.

Provo ad esprimere quindi una sensazione tutta personale. L’Aquila delude. Vi arrivo con l’attesa di trovarmi in una città della scienza. Qui c’è il più straordinario laboratorio di fisica del mondo, scavato nella montagna, universalmente noto, ma niente e nessuno in città me ne parla. A L’Aquila si pensa evidentemente che non siano “cose per turisti”. Eppure in tutto il mondo il successo dei “musei della scienza” è straordinario: perché non anche a L’Aquila?

E poi vi è il terremoto. Oggi, al massimo, vediamo un po’ di “dark tourism”, il turismo della curiosità, dei “selfie” sui luoghi del dramma. Ma a L’Aquila c’è forse qualcuno che – in alternativa – ti racconti cosa è realmente successo e cosa sta succedendo, le storie individuali e collettive, gli interrogativi della scienza, le sfide dell’ingegneria e anche le complessità irrisolte di una ricostruzione che non ha precedenti? In molte città del mondo esistono veri e propri musei dedicati non al passato, ma al presente e al futuro: perché non anche a L’Aquila?

Negli anni scorsi, dopo alcuni studi dell’Ocse, l’ottimo “rapporto Calafati”, ispirato dall’ex ministro Barca, provò ad offrire prospettive di sviluppo “a prescindere dal turismo”. Alla prova dei fatti le ipotesi di quel documento (L’Aquila città della formazione) sono rimaste ancora senza riscontri, tanto che lo stesso sindaco scrive oggi che è necessario “rifare un ‘tagliando’ a questo ragionamento”.

Si scatenò allora a L’Aquila una contrapposizione assai caricaturale tra strategie di sviluppo con o senza turismo. La sensazione di chi scrive è che invece di turismo a L’Aquila non si sia ancora cominciato seriamente a parlare.

[1] http://news-town.it/cultura-e-societa/7657-cialente-e-turismo-si-parte-dal-piano-industriale-per-il-rilancio-del-gran-sasso.html

[2] http://news-town.it/images/CTGS_ppt_per_DISET6.pdf

[3] http://www.gssi.infn.it/seminars/impact-seminars-2015/item/628-integrating-city-tourism-s-in-the-urban-research-agenda

 

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