Tav Torino-Lione, l’analisi costi-benefici spiegata

Un'analisi scientifica di questo tipo serve a chiarire i termini del problema, ma i risultati finali cambiano radicalmente a seconda della metodologia adottata

L’analisi costi benefici (Acb) sulla Torino-Lione elaborata dalla Commissione guidata dal prof. Marco Ponti sembrava dovesse chiarire tutto, e invece tutto è ritornato confuso. Una Acb è sempre utile perché dovrebbe aiutare la decisione con argomenti più chiari di quelli politici o ideologici. Tuttavia le posizioni politiche sono rimaste quelle di prima salvo che Lega e 5 Stelle hanno siglato la tregua sino alle europee approvando alla Camera la mozione che sembra rinviare tutto a data da destinarsi. Dal lato dell’Europa invece i dubbi italiani pare che abbiano aperto i cordoni della borsa: se prima l’Europa aveva assicurato di finanziare il 40%, e poi forse il 50% della sola tratta franco-italiana, il tunnel di base di 57 km, ora ha annunciato che finanzierà tutto al 50%, comprese le tratte nazionali.

Ma cosa dice veramente l’Acb? L’analisi, molto accurata, considera costi e benefici estesi a tutti gli stati europei investiti dall’opera. Da questo giusto approccio avrebbe dovuto derivare un’estrapolazione dei costi e benefici per la sola Italia dato che questo ci interessa, e non quanto spenderà l’Unione europea o guadagnerà la Spagna. Ma questo non è stato fatto. Quindi cerchiamo di capire qual è l’interesse italiano.

Per calcolare l’impatto economico di un’opera, l’Acb somma la variazione dei benefici o surplus dei consumatori (merci e passeggeri), dei costi operativi (il surplus dei produttori), e dei costi esterni ambientali, e sottrae i costi di investimento. Il risultato se positivo indica che è giusto fare l’opera, altrimenti no.

Partiamo dai costi d’investimento. Al netto di quelli già sostenuti, che ammontano a 1,4 miliardi, l’Acb include: il costo del tunnel di base e delle due tratte italiane, Avigliana-Orbassano e Bussoleno-Avigliana, per un totale di 11,530 miliardi di euro, escludendo per motivi sconosciuti la tratta francese (vedi Acb, pag. 48). Nell’Acb sia i costi che i benefici vanno attualizzati. In altre parole va calcolato il valore ad oggi di un costo o di un beneficio che si realizzerà nel futuro: nel caso dei costi di investimento la spesa è prevista in dieci anni, il che abbassa il costo attualizzato di investimento da cui si deve sottrarre il valore residuo dell’opera a fine del periodo di utilizzazione, stimato in 6,740 miliardi di euro, che va attualizzato. Si ottiene così il costo finale di investimento che è pari a 7,658 miliardi di euro (vedi l’immagine allegata, e Acb, pag. 65).

Questo costo riguarda quindi sia Francia che Italia, e non considera il contributo europeo del 50%. Calcolando la quota parte italiana come fanno Carlo Cottarelli e Giampaolo Galli all’interno dell’Osservatorio dei conti pubblici italiani, e considerando il contributo europeo, si ottiene un costo di investimento per la sola Italia di 2,481 miliardi di euro. Questo, mantenendo tutto il resto uguale, porta la differenza costi-benefici, nello scenario considerato “realistico”, dai 7 miliardi di euro tanto ripetuti dal ministro Danilo Toninelli a circa 2 miliardi di euro. Ma non è tutto.

Se è relativamente facile stimare i costi di investimento, più difficile è farlo con gli effetti positivi e negativi che si produrranno nel futuro una volta terminata l’opera nel 2030. Al proposito si può ricordare come l’Unità del 3/10/1964, per l’inaugurazione dell’A1, scriveva: “Abbiamo l’Autostrada del Sole ma non sappiamo bene a che serve”. Questa citazione, indipendentemente dagli effetti di un’opera che possono anche essere negativi (vedi il disastro del Vajont, per citare un celebre e tragico caso), spiega meglio d’ogni altro argomento i problemi legati alla previsione che va considerata solo una ipotesi, anche se fatta da esperti che nell’Acb attuale, rispetto all’Acb fatta nel 2011 dall’Osservatorio della Torino-Lione, hanno ridimensionato le previsioni in uno scenario definito “realistico”. Ma il problema non sta tanto nel traffico previsto, quanto nel calcolo del surplus dei consumatori e dei produttori.

Dato che lo scopo della Torino-Lione è quello di aumentare merci e passeggeri che usano la ferrovia a detrimento della strada, si prevede che le entrate degli stati europei interessati dall’opera, cioè le accise sui carburanti, e i pedaggi delle concessionarie delle autostrade europee, saranno minori. Le due voci – nell’immagine allegata: “Entrate dello Stato” (che sono tutti gli stati europei interessati e non solo quello italiano) e “Surplus concessionari autostradali” – sono infatti quelle che nell’Acb attuale fanno pendere la bilancia per il no. L’inclusione di queste due voci è stata criticata sulla stampa, e sul quaderno 13 dell’Osservatorio. Difatti perfino  il progetto di una pista ciclabile che riducesse il traffico delle auto private forse non passerebbe una valutazione basata su questi criteri.

Ma anche nell’Acb del 2011 si consideravano i costi dei mancati pedaggi e accise, salvo che questi stessi costi erano calcolati anche come benefici (cioè risparmi) per gli utenti, in modo tale che le due voci si elidevano e questo è uno dei principali motivi per cui nel 2011 il parere era positivo mentre ora è negativo.

Si tratta di un problema di teoria economica, se cioè calcolare il beneficio di un viaggiatore che cambia modo di trasporto dalla strada alla ferrovia, in rapporto unicamente al miglioramento del nuovo modo, la ferrovia, oppure anche in rapporto al modo che abbandona, la strada. La teoria economica propende, anche per semplicità di calcolo, verso la prima ipotesi (con la regola del mezzo) perché il “costo cessante” della modalità alternativa, la strada, sarebbe già incluso nella decisione di cambiare modo di trasporto, per cui sommarci anche i risparmi in accise e pedaggi sarebbe conteggiarli due volte (vedi la critica nella Acb, pagg. 12-13, e nella Acb 2011, pagg. 95-100).

Questo può essere giusto da un punto di vista teorico, ma sta di fatto che chi dal mezzo privato su strada passa a quello pubblico su ferrovia lo fa anche perché risparmia su carburante e pedaggio. Quindi si tratterebbe di calcolare il surplus di merci e passeggeri che cambiano modo di trasporto, anche in rapporto al vecchio che abbandonano. Certo un calcolo difficile ma non impossibile, e forse più aderente alla realtà. Quindi, e giusto per avere una idea del risultato, prima abbiamo diviso per metà gli effetti, per tenere conto solo di quelli che potrebbero riguardare l’Italia, e per quanto riguarda il surplus di merci e passeggeri abbiamo considerato solo la metà di quello calcolato con la regola del mezzo, aggiungendo però i risparmi in accise e pedaggi pari ai costi sopportati dallo Stato e dai produttori. Il risultato, come si vede nella tabella allegata in coda all’articolo, è di una differenza negativa di 564 milioni di euro, che comparati al costo massimo di recesso (1,7 miliardi di euro) calcolato dalla Relazione giuridica, farebbe propendere per la continuazione dell’opera.

E questo dà solo un’idea di come il risultato finale dell’analisi cambi modificando la metodologia, per non parlare del fatto che una Acb si applica a un’opera marginale che non altera l’equilibrio economico generale stimolando, come sperano i favorevoli, lo sviluppo delle economie locali. Ma una valutazione di questo tipo richiederebbe un approccio completamente diverso. Fermo restando che comunque un’analisi scientifica serve quantomeno a chiarire i termini del problema, il che non è poco.