La crisi Covid-19 vista dalla Palestina

Come ogni mattina Ahmad Sadduqa raccoglie il latte prodotto dalle sue mucche, lo carica su un furgone assieme a quello di altri quattro allevatori vicini e parte dal villaggio di Assileh, vicino a Jenin, nel nord della Cisgiordania, per Nablus. Non potendoci andare tutti i giorni come prima dell’emergenza Covid-19, Ahmad sta trasportando 50 tonnellate di latte, un gran quantitativo, che include anche parte del latte munto il giorno prima.

Dal 6 marzo, da quando sono stati registrati i primi casi di Covid-19 a Betlemme, le restrizioni di movimento tra città sono sempre più stringenti in Cisgiordania. Restrizioni che si sommano alle già limitate possibilità di spostamento causate dall’occupazione israeliana.

Nablus è famosa per i suoi dolci, delizie a base di formaggio, frutta secca e sciroppo di zucchero in tutto il Medio-Oriente ed è lì che Ahmad va a consegnare il suo latte che fino a poche settimane fa serviva a realizzare squisiti dolcetti tipici come le khdud set, letteralmente“guance di ragazza”, delle brioche ripiene di crema al latte e molte altre prelibatezze.

Arrivato a Nablus però Ahmad scopre che le aziende di trasformazione non accettano più il latte: la capacità nel magazzino è già al massimo, la domanda è calata e l’azienda lavora con poco personale per le misure di prevenzione di diffusione del virus. Stanno anche finendo i sacchetti e contenitori in cui mettere i prodotti dopo la lavorazione, come il labaneh, formaggio cremoso immancabile sulle tavole palestinesi.

La partenza all’alba, il viaggio lungo, tortuoso. Ahmad è stanco ed esasperato. Apre i rubinetti dell’autocisterna per strada, e il prezioso latte bianco inizia a scorrere sull’asfalto: «Lavoriamo in un settore delicato: anche se nessuno ci compra il latte, dobbiamo sfamare comunque le mucche e mungerle, non possiamo improvvisamente interrompere la produzione, e gli ultimi 40 giorni sono stati già abbastanza duri».

Questo ed altri episodi simili, che ci riportano alla mente le proteste degli allevatori sardi e lombardi in Italia, sono stati un forte segnale inviato alle autorità palestinesi, che comunque hanno margine di azione ridotto: la situazione è complicata dalla vita sotto occupazione e dai limitati poteri politici e di giurisdizione che ne conseguono. Mentre i casi di Covid-19 in Palestina restano stabili e sotto controllo, la paura dell’epidemia sta lasciando il passo al rischio di collasso del sistema economico. In questi giorni le aziende dolciarie e di trasformazione hanno potuto riaprire per il Ramadan, i movimenti per i trasportatori di generi alimentari sono stati agevolati, e vengono incentivate le aziende di trasformazione ad accettare più latte possibile dagli allevatori.

Mashhor Abu Khalaf, direttore dell’azienda lattiero-casearia Al Juneidi, a Hebron nel sud della Cisgiordania, sottolinea come le aziende debbano essere parte della soluzione e non del problema: «I produttori non devono accettare prezzi al ribasso per il loro latte e svendere il proprio lavoro». Al Juneidi sta concentrando gli sforzi per produrre maggiori quantità di latte a lunga conservazione e per prolungarne di un mese il periodo di conservazione nel rispetto delle proprietà organolettiche.«Dopo l’episodio di Nablus, abbiamo acquistato il latte in surplus dalle aree del nord – conclude Abu Khalaf – È troppo doloroso vedere produttori distruggere cosi il loro prodotto. In particolare a Gaza, il rischio di non assorbire l’offerta di latte e prodotti ortofrutticoli e è ancora maggiore e questo colpirà i piccoli produttori e le loro famiglie».

Per ora, i palestinesi sono riusciti a trovare strategie per attutire il colpo, instancabili, resilienti e innamorati della loro terra e dei frutti che offre. Ma per quanto ancora? L’impatto socio-economico del Covid-19 deve ancora manifestarsi in tutta la sua gravità e profondità, e ci sono grandi timori per i prossimi mesi. Intanto, altre 9000 famiglie in difficoltà economica sono state inserite nel programma di aiuti pubblici del governo palestinese per i prossimi due mesi (riceveranno alimenti e piccoli aiuti economici), aggiunte alle 11000 già servite a marzo.