La biodiversità è in pericolo, ma c’è chi lotta per preservarla: il caso Cuba

Prima dell’arrivo di Colombo l’isola era piena di ricchezze, poi sono arrivate deforestazione e monocultura. Fino all’inversione di tendenza

I ricercatori del University College London hanno diffuso attraverso le pagine della rivista Science i risultati di un allarmante studio che mette in guardia dai livelli di “perdita di biodiversità” del nostro pianeta: stiamo assistendo all’estinguersi di così tante specie tra animali e piante, che è a rischio la sopravvivenza stessa dell’uomo.

La distruzione degli habitat naturali per mano dell’uomo, infatti, ha ridotto la varietà di piante e animali esistenti nel nostro pianta fino al punto che fenomeni naturali, come l’impollinazione, la decomposizione dei rifiuti, la regolazione del ciclo globale del carbonio, potrebbero risultare compromessi, e non essere più in grado di funzionare, comportando rischi soprattutto per l’agricoltura. Dati drammatici e da non sottovalutare, ma che non sono una sentenza di morte per il nostro pianeta e la nostra specie: ci sono esempi positivi che ci dimostrano che invertire la tendenza si può così come far rinascere la biodiversità in luoghi che sembrano spacciati.

È quello che è accaduto a Cuba, che dopo una lunga storia di deterioramento delle sue tante risorse sta risalendo la china: prima dell’arrivo di Cristoforo Colombo infatti Cuba era un’isola piena di ricchezze, e i Tainos, nativi dell’arcipelago caraibico, coltivavano manioca, mais, patata dolce, platano, papaya, ananas, guava e soprattutto tabacco. A seguito dell’arrivo dei Conquistadores le bellezze di quest’isola furono pian piano distrutte: gli spagnoli iniziarono una diffusa opera di deforestazione, per ricavarne legname per le proprie navi e per creare allevamenti per nutrire i marinai. Inoltre, dopo l’arrivo degli spagnoli e il relativo genocidio dei Taino, si iniziarono a perdere le conoscenze agricole tradizionali e i grandi proprietari terrieri iniziarono a creare coltivazioni massicce di canna da zucchero.

Da allora la monocultura dello zucchero ha dominato l’isola fino alla guerra fredda: dapprima era in mano all’aristocrazia creola dei grandi proprietari, e successivamente, dopo la rivoluzione castrista e l’indipendenza, è stata gestita dalle grandi imprese statali.

A fermare queste mono-culture sono stati alcuni grandi eventi che hanno scosso la popolazione globale: da una parte il crollo dell’unione sovietica, dall’altra l’avanzare degli effetti del cambiamento climatico, che a Cuba ha fatto ingenti danni.

Questi eventi hanno creato la consapevolezza della necessità di cambiare modello produttivo: nel corso del cosiddetto “periodo especial”, gli anni ’90 seguenti al crollo dell’Unione sovietica che era il primo paese importatore della canna da zucchero in cambio di petrolio,  è stata in parte abbandonata in parte la cultura dello zucchero a favore di un modello di sviluppo variegato, agro-ecologico, rispettoso dell’ambiente. Un cambio in qualche modo imposto dalla Storia, ma che ha avuto il “merito” di rimettere in gioco tradizionali tecniche agricole, ha incentivato la nascita di orti urbani e anche una sorta di produzione a chilometro zero ante litteram.

Nel corso di questo processo di conversione si è iniziato a mettere l’ambiente al centro, estendendo il cambiamento anche ad altre attività come l’allevamento o la pesca per cui si sta cominciando a utilizzare tecniche rispettose del mare e della sua biodiversità. Attività su cui Cospe è impegnato con i progetti “Via lactea”, incentrato sulla produzione di latte sostenibile, “Sos Pesca”, sulle tecniche alternative di pesca e, in precedenza, con “Tierra Viva”, un progetto di agricoltura “pulita” sviluppato con le cooperative di piccoli agricoltori in due diverse province dell’isola.

In questo modo a Cuba le comunità stanno pian piano riprendendo in mano le risorse dell’isola, creando una produzione che non solo rispetta la natura, ma aiuta a ricostruire e preservare quella bellezza che sembrava perduta per sempre.