Non garantire a tutti i cittadini l'accesso e il successo nei livelli elevati di istruzione determina perdite, non solo economiche, per tutti

In Italia la disuguaglianza s’impara a scuola: il background della famiglia resta fondamentale

Non solo la spesa per studente in Italia è inferiore alla media Ocse, ma la mobilità è molto contenuta: solo il 9% degli adulti con genitori privi di diploma ha conseguito un titolo nell’istruzione terziaria

L’ultima edizione di Education at a Glance, il rapporto che l’Ocse rilascia a cadenza annuale, è uno strumento prezioso non solo per gli addetti ai lavori, ma per tutti quelli che studiano i cambiamenti in atto nel mondo globale ponendo attenzione ai  problemi evidenziati  dalle analisi comparative, “campanelli di allarme”  significativamente  rappresentativi di rischi e contraddizioni. L’editoriale  2018 del rapporto sintetizza nel titolo, Education’s promise to all  (la promessa dell’educazione per tutti, ndr) il senso dei dati che sostengono la scelta degli indicatori proposti.

Tutti nasciamo uguali, ma non tutti nasciamo con le stesse opportunità: lo sguardo sul mondo attuale denuncia le differenze economiche, le guerre, le condizioni climatiche e l’assenza di risorse che spingono i fenomeni migratori, le disabilità,  ecc.;  la nascita è una specie di lotteria, l’atto che consegna a ciascuno un biglietto e assegna e disegna casualmente quel punto di partenza, quel posizionamento nel percorso di vita  che segnerà comunque, non solo le opportunità più o meno disponibili per ciascun individuo, ma  anche il capitale sociale ed emotivo necessario per intraprendere e rendere meno arduo il cammino. Il tono della dichiarazione iniziale appare un po’ retorico, ma ormai nessuno potrebbe negare che la qualità dell’educazione  che viene garantita o non garantita ai cittadini è  un predittore, non solo del percorso di vita individuale, ma  della tenuta economica,  della coesione sociale e dei livelli  di partecipazione ed inclusione che un Paese riesce a produrre.  La limitatezza e/o la riduzione del numero dei cittadini che raggiungono  livelli di istruzione elevate determinano “perdite” economiche rilevanti, e non solo in ambito economico. I governi quindi dovranno esserne consapevoli e ricorrere a politiche compensative, atte a garantire il mantenimento di un welfare equo per tutti.

Il Framework for inclusive growth, adottato nel maggio 2018 nell’incontro che ha coinvolto i governi Ocse, sintetizza in tre punti gli elementi che dovranno guidare queste politiche responsabili: 1) investimenti sulle persone e nei contesti di vita trascurati, lasciati indietro (impegno di “cura di qualità” per l’infanzia, acquisizione di competenze nell’ educazione dei giovani in età e durante tutto il corso della vita,  accesso ad una sanità degna di questo nome , giustizia , situazione abitativa, cura delle risorse naturali necessarie per una crescita sostenibile 2) supporto allo sviluppo di un mercato del lavoro basato su innovazione e diffusione della tecnologia, che sostenga competizione e imprenditorialità vivace, accesso a lavori qualificati, per i gruppi sotto rappresentati, in particolare le donne, attenzione mirata alle resilienze 3) sviluppo e articolazione di politiche capaci di distribuire risorse, assegnandole ai settori che meglio garantiscono crescita e inclusione.

In questa prospettiva la lotta contro la disuguaglianza in educazione è il focus dell’edizione 2018 del rapporto; nell’ultimo decennio si è verificato un innegabile miglioramento dei livelli di educazione raggiunti, ma la disuguaglianza inizia presto e tende ad “accumularsi”, aumentando nel corso della vita, dall’educazione al mercato del lavoro, insinuandosi in tutte le possibili condizioni esistenziali (stato socio-economico, genere, immigrazione, luogo di provenienza e contesto  territoriale di residenza).

Iniziando dall’infanzia, l’avere una madre con titolo di studio inferiore al livello terziario riduce la probabilità di avere un’educazione in età pre-scolare ( la spesa dei governi in questi settori è inferiore a quella rivolta al resto dell’ istruzione). Un background svantaggiato limita le opportunità educative nel corso degli anni successivi; la scelta e/o il non completamento di una formazione secondaria dipende spesso dal livello di istruzione di genitori che, al massimo, hanno conseguito il diploma, spesso neanche questo. Solo due su tre adulti, provenienti da ambienti familiari a basso livello di istruzione, superano il titolo di studio dei genitori; segnale di miglioramento delle competenze dell’insieme di una popolazione, che non copre tuttavia le esigenze dell’oggi, che chiedono sempre più elevate conoscenze e capacità.

Mai come oggi l’istruzione superiore ha un impatto positivo sul futuro delle persone. Uno su tre figli di lavoratori manuali è un lavoratore manuale, mentre  il cambiamento tecnologico, la digitalizzazione e l’innovazione  espellono le persone poco qualificate. Chi ha solo il diploma guadagna in media appena il 65% di quanto guadagna un lavoratore qualificato nel settore terziario, perpetuando così il circolo vizioso nella generazione successiva.

Le differenze di genere restano evidenti, nonostante gli sforzi spesi per eliminarle nella scuola e nel mercato del lavoro. Sebbene i maschi abbiano una maggiore tendenza ad avere percorsi scolastici faticosi (ripetenze, abbandoni ecc.), mentre le donne hanno migliori performance scolastiche, queste ultime hanno lavori meno qualificati e guadagnano di meno. Questo dipende parzialmente dalle diverse scelte in relazione al settore di studi (i qualificati  nelle materie Stem oggi sono molto richiesti, ma solo il 6% delle donne le scelgono, contro il 25% degli uomini). Un lungo percorso culturale è ancora tutto da intraprendere per superare i preconcetti sui ruoli delle donne assorbiti, talora inconsciamente, fin dall’infanzia.

Il fenomeno migratorio sta cambiando le comunità nelle varie parti del mondo. Il rafforzamento della coesione sociale dipende dalla capacità di integrare, assicurando a tutti le abilità e le capacità richieste dal mercato del lavoro e dalla comunità cui approdano. La prima e la seconda generazione di immigrati accede ancora con difficoltà all’istruzione di livello terziario e le differenze tra nativi e stranieri si riscontrano nella partecipazione all’istruzione formale e non nel corso di vita. Tradurre per l’educazione l’ambizioso progetto  Sustainable development goals  richiede ancora un enorme impegno, e la scadenza dell’Agenda Onu per il 2030 è sempre più vicina.

Il rapporto organizza gli indicatori entro questo schema (dal basso verso l’alto):

Impatto

Risultato

Output: Partecipazione e avanzamenti progressivi, che si realizzano attraverso: sistemi educativi, istituzioni ( formative) e qualità e numero di classi funzionanti.

Input: Risorse finanziarie, umane e fisiche. Politiche educative e produzioni legislative.

I descrittori dei sistemi educativi fanno riferimento alla classificazione Isced 2011( Ocse Eurostat Unesco – Ines 2015). Educazione  Isced 0: pre-primaria; Isced 1: primaria; Isced 2: secondaria inferiore; Isced 3: secondaria superiore; Isced 4: post secondaria non terziaria/accademica; Isced 5: terziaria ciclo breve; Isced 6: Bachelor o equivalente; Isced 7: master o equivalente; Icsed 8: dottorato o equivalente.

Il sistema  italiano – Educationat a glance 2018

Uno sguardo d’insieme: positivo il dato della scolarizzazione pre-primaria e nella scuola dell’obbligo, ma  persiste la distanza dalle medie europee rispetto al conseguimento di titoli di studio qualificati, con pesanti differenze territoriali (divario  tra Nord e Sud,  ma anche tra regioni); i processi d’integrazione dei migranti evidenziano disparità di trattamento occupazionale ed economico rispetto ai nativi; il condizionamento del back-ground socio culturale familiare pesa sulle generazioni successive e la mobilità intergenerazionale, in relazione al processo di scolarizzazione, è estremamente lenta.

  • Piena scolarizzazione (90% degli aventi diritto) nella fascia dell’obbligo e nella istruzione pre-primaria (3-5 Anni)

Tab.1 Italia: 92%; media Ocse: 76%; media Eu23: 82%.

Differenze regionali: nel Lazio il tasso di scolarizzazione Isced 0 è inferiore al 90% per i bambini di quattro anni e in Emilia-Romagna, Lazio, Lombardia e Provincia autonoma di Bolzano per i bambini di 3 anni.

  • La partecipazione ai programmi tecnici e professionali nella secondaria superiore è più alta della media Ocse, leggermente più bassa della media europea (si iscrivono più maschi che femmine).

Tab.2 Italia: 56%; media Ocse: 55% ( 44%+11%); Eu: 58% (47%+11%)*

*L’Italia ha un percorso unico, mentre Ocse e Europa  distinguono programma generale da programma scolastico combinato con  il lavoro

  • Nelle classi di età 20-24 anni non c’è grande differenza di genere per quanto riguarda i Neet, mentre tra i 25 e i 29enni si registra un 28% di maschi contro un 40% di femmine. Il problema dei Neet in Italia ha una forte connotazione territoriale: nella fascia di età 15-29 anni la percentuale dei Neet varia dal 12% al 38% (15% nel Nord Ovest, 18% nel Nord Est, 19% al Centro, 31% al Sud, 2% nelle Isole)

Tab.3 La percentuale dei Neet nati all’estero è superiore a quella dei nativi, soprattutto in Italia.

Neet 25-29enni (confronto nativi e nati all’estero)

Italia          Ocse            EU

Nativi                        24%             3%             12%

Nati all’estero          34%*           18%           19%

*Indice di maggiore difficoltà di integrazione

  •  I paesi che hanno una quota maggiore di persone che non raggiungono il diploma registrano più marcate disuguaglianze di reddito.

Tab.4 Titoli di studio popolazione 25-64 anni

Meno scuola elementare –  elementare –  media –  diploma –  post dipl. – terziario

Italia                        1%                                5%              33%             44%           1%*              28%

Ocse                         2%                               6%              14%             39%            5%                37%

Eu22                        1%                                5%              14%             42%            4%               34%

*In Italia il post diploma specializzante è quasi inesistente

  • I migranti guadagnano meno dei nativi, anche a parità di titolo di studio, e questa differenza aumenta in relazione ai titoli d’istruzione più elevati. Giovani di età 25-34 anni, nati all’estero e privi di un’istruzione secondaria superiore, guadagnano (dato 2017) il 12% in meno rispetto ai giovani nativi; quelli con un livello d’istruzione secondaria superiore o post secondaria non terziaria/accademica guadagnano il 30% in meno, mentre i laureati non nativi guadagnano il 44% in meno rispetto ai nativi.
  • L’Italia, tra i Paesi Ocse, evidenzia una più elevata disuguaglianza di reddito e una maggiore quota di 25-64enni privi di diploma (Tab.4). Inoltre, a fronte di un livello medio d’istruzione basso, il possesso di un titolo d’istruzione terziaria garantisce solo un guadagno più elevato del 38% rispetto alle persone con un diploma, mentre questa differenza nei paesi Ocse è mediamente del 55% in più. Anche qui vanno prese in conto le differenze regionali.
  • Nei Paesi Ocse i 18-24enni hanno più probabilità di accedere all’istruzione terziaria se i loro genitori hanno questo livello di istruzione. I coetanei italiani sono penalizzati dal modesto livello dei titoli di studio dei genitori (solo il 18% della popolazione femminile di età compresa tra 18 e 24 anni e il 17% della popolazione maschile della stessa classe di età ha almeno un genitore con un livello d’istruzione terziaria).
  • La mobilità intergenerazionale in Italia (dati 2012), rispetto al livello d’istruzione, è molto contenuta e penalizzante in un Paese in cui i titoli di studio delle generazioni più anziane sono modesti: l’81% degli adulti con genitori senza diploma ha terminato gli studi allo stesso livello di istruzione (media Ocse è il 37%), solo il 19% è riuscito a raggiungere un livello d’istruzione più elevato rispetto ai propri genitori. Il 9% dei 25-64enni con genitori privi di diploma ha conseguito un titolo nell’istruzione terziaria (la media Ocse è il 21%).

Quattro focus specifici

1) Le donne nel mercato del lavoro

  • La quota di Neet tra i giovani di età compresa tra 25 e 29 anni è il 34%, il 28% sono uomini e il 40% sono donne (l’Italia è il quinto Paese tra quelli che hanno questa percentuale elevata tra i Paesi dell’area Ocse e partner).
  • Nei paesi Ocse il tasso di inattività delle donne è più elevato di quello dei maschi, ma in Italia la differenza è maggiore, anche se minore in relazione al livello d’istruzione posseduto: nel 2017 era inattivo il 17% della popolazione femminile italiana con un’istruzione terziaria, 7 punti percentuali in più rispetto agli uomini; era superiore di 20 punti percentuali per le donne con titolo di studio secondario superiore o post-secondario non terziario, e di 34 punti percentuali per le donne senza titolo di studio secondario superiore. Se si considera la popolazione di età compresa tra 25 e 34 anni, il divario di genere diminuisce per le laureate più giovani (2 punti percentuali), ma è notevole per le donne prive di laurea (33 punti percentuali per le donne senza diploma e 19 punti per le donne con un diploma o titolo post secondario non accademico).
  • In Italia nella fascia di età 25-34 anni le donne conseguono un titolo di studio più elevato degli uomini (nel 2017 il 20% degli uomini contro il 33% delle donne; la media Ocse è 38% per gli uomini e 50% per le donne).

2) Accesso al mercato del lavoro dei giovani con titolo di studio terziario

  • La quota di giovani (25-34enni) con una laurea è inferiore in Italia rispetto agli altri Paesi dell’Ocse, malgrado l’aumento che si è verificato nell’ultimo decennio, dal 19% nel 2007 al 27% nel 2017. In Italia (dati  2016) l’84% degli studenti si iscrive prevalentemente a corsi di laurea di primo livello (bachelor) o programmi di studio equivalenti e il 15% a corsi di laurea di secondo livello (master) o programmi di studio equivalenti. Nello stesso anno, l’1% degli studenti si è iscritto a corsi d’istruzione post diploma non accademici  (Istituti tecnici superiori)o nelle  nuove lauree triennali professionalizzanti.
  • Le università italiane attraggono pochi studenti provenienti dall’estero. La quota di studenti stranieri in Italia si attesta al 5% rispetto al 6% in totale nell’area Ocse e al 9% nei Paesi Eu23. Gli studenti stranieri sono aumentati del 12% tra il 2013 e il 2016, mentre la quota dei cittadini italiani che studia in altri Paesi dell’Ocse e Paesi partner è aumentata del 36% nello stesso periodo.
  • L’occupazione in Italia è inferiore a quella dei paesi Ocse, e questo divario aumenta con i livelli d’istruzione (18 punti percentuali nel 2017 per i giovani laureati).

3) La spesa per l’istruzione in Italia (dalla pre-primaria al livello post diploma non accademico)

  • Per effetto della crisi economica del 2008 e della maggiore persistenza di questa in Italia, solo nel 2015 la spesa per studente ha recuperato il livello del 2010 (nel 2011 si era registrata una riduzione del 5%). Nell’istruzione post diploma nel 2015 si registra un aumento dell’1% rispetto al 2010, ma questo dipende dal calo degli iscritti a questa tipologia di corsi.
  • La spesa per studente in Italia è inferiore alla media Ocse (99% della media Ocse nell’istruzione primaria, 95% nell’istruzione secondaria inferiore, 89% nell’istruzione secondaria superiore). L’istruzione post diploma non accademica spende il 73% della media Ocse (il 67%, esclusi alla ricerca e allo sviluppo) e nelle scuole pre-primarie il 74%.

4) Docenti più vecchi entro l’area Ocse (dal 2016 le cose cambiano per effetto delle nuove assunzioni) e ripartizioni delle responsabilità tra centro e periferia

  • L’Italia tra i paesi Ocse ha i docenti più anziani (dati 2016, il 58% degli insegnanti nell’istruzione primaria e secondaria aveva almeno 50 anni). L’Italia è uno dei Paesi con la maggiore quota di insegnanti donne, il 99% nella scuola pre-primaria , il 63% nella scuola secondaria superiore e il 37% nelle università. Maggiore equilibrio appare tra i docenti più giovani di età inferiore a 30 anni nella secondaria e nel post diploma non accademico (52% di donne).
  • Le retribuzioni dei docenti dalla scuola pre-primaria alla scuola secondaria nel settore pubblico sono diminuite tra il 2010 e il 2016 (nel 2016 gli stipendi degli insegnanti corrispondevano al 93% del loro valore rispetto al 2005). Questi stipendi sono inferiore alla media Ocse (sono l’89% di quelli Ocse della scuola secondaria superiore di indirizzo generale e il 94% di quelli della scuola pre- primaria). La progressione stipendiale di un docente lungo la sua carriera è inferiore in Italia rispetto alla media degli altri Paesi dell’area Ocse, con uno stipendio che, al massimo della progressione di carriera, raggiunge tra il 79% (scuola primaria) e l’86% (scuola pre-primaria) della media Ocse ad analogo livello di progressione. I dirigenti scolastici guadagnano più dei docenti, nei vari paesi, in Italia questo divario arriva al doppio della retribuzione media lorda del docente.

Al di là dei dibattiti sull’autonomia scolastica, in Italia la metà delle decisioni relative alle scuole sono assunte a livello centrale (52% vs 24% media  Paesi Ocse). In particolare sono i due terzi delle decisioni relative a pianificazione e  strutture e la metà e più delle decisioni sul personale e sulla gestione delle risorse.