I rifugiati climatici dell’Angola, dove la siccità sta portando alla fame milioni di persone

Attraverso la campagna “We Love Angola”, Cospe sta portando avanti la costruzione di opere idriche e la coltivazione di oltre 40 mila alberi per “piantare l’acqua” sul territorio locale

Milioni di persone nel sud dell’Angola combattono per la propria sopravvivenza: l’acuta siccità continua a devastare la terra e le risorse in un progressivo aggravarsi dovuto al cambiamento climatico.

Ad un ventennio dalla fine di una guerra civile durata 27 anni, l’Angola affronta ancora una serie di problemi socio-economici: povertà estrema, elevata mortalità materna e infantile e diffuso analfabetismo.

La crescita economica del dopoguerra angolano si è basata essenzialmente sullo sfruttamento petrolifero, l’esplorazione mineraria, la costruzione e la speculazione edilizia; tuttavia questi settori sono dominati da imprese multinazionali o controllati dall’élite politica, mentre il 40% degli angolani vive ancora al di sotto della soglia di povertà.

La disoccupazione è estremamente elevata, soprattutto tra i giovani, i quali costituiscono la maggioranza della popolazione. Il governo angolano ha tentato di arginare la crisi attraverso una serie manovre economiche, tuttavia l’inflazione è rimasta a livelli particolarmente alti che hanno portato ad un generale aumento del costo della vita e dei beni primari. Ad essere maggiormente colpite sono le fasce più deboli, che costituiscono la maggioranza della popolazione angolana.

Difatti, sebbene l’Angola sia considerata un “Upper-middle income country” (ha un reddito pro-capite di 6.104$ annui) altri indici di povertà rivelano come sia un paese di profondissime diseguaglianze: il 32,3% di questa ricchezza nazionale è in mano al 10% della popolazione più ricca. Non stupisce dunque che l’Angola si collochi al 149° posto su 188 fra i Paesi con un “Low Human Development”, secondo l’indice di sviluppo umano per il 2019.

Ma la fragilità del paese è dovuta soprattutto alla crisi umanitaria legata alla gravissima siccità che si è abbattuta sul Paese.

Secondo Amnesty international, la siccità che interessa l’Angola ormai da anni deriverebbe da una combinazione di fattori. In particolare, la creazione di allevamenti commerciali di bestiame su terreni comunitari (che occupano il 67% delle terre coltivabili) avrebbe allontanato le comunità dalle loro terre, privando contadini e pastori dei loro mezzi di sostentamento e lasciando vasti settori della popolazione nell’insicurezza alimentare.

Nel maggio 2021, il Pam (Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite) ha stimato che 6 milioni di persone in Angola non hanno cibo a sufficienza, con picchi nelle regioni più a sud del Paese. La crescente scarsità di cibo e acqua nel 2019 – come dichiarato dall’Associazione costruire comunità (Acc), una ong locale – avrebbe fatto decine di vittime. E la situazione sta peggiorando a causa della scarsità sempre maggiore di precipitazioni.

Nel periodo tra novembre 2020 e gennaio 2021 si sarebbe registrata la peggiore siccità degli ultimi 40 anni. Le crisi mondiali, come la pandemia Covid-19 e la guerra tra Russia e Ucraina, hanno poi aggravato la situazione, interrompendo una catena di approvvigionamento già debole e facendo aumentare i prezzi di mercato delle scorte alimentari, che sono sempre più scarse: spesso le persone sono costrette a mangiare erba e foglie per alleviare i morsi della fame.

Ma la malnutrizione non è la sola conseguenza della siccità. L’accesso all’acqua, ai servizi igienici e all’igiene è sempre più precario, con impatti negativi sulla salute delle comunità locali. Nel maggio 2021, le ong angolane hanno riferito che oltre 7mila angolani, soprattutto donne con bambini e giovani, sono fuggiti in Namibia e il numero è in aumento. Le ong angolane hanno definito coloro che stanno fuggendo in Namibia “rifugiati climatici”.

A pagare il prezzo più alto sono le province meridionali di Namibe, Huíla e Cunene, dove Cospe lavora per portare acqua a 4mila persone minacciate dalla carestia e alle comunità agro pastorali che risiedono in zone isolate. L’obiettivo è quello di contribuire non solo nella limitazione dei danni legati alla mancanza di accesso a fonti di acqua sicura, ma alla ricostruzione di un territorio una volta ricco di risorse e foreste. Terre rese aride e incoltivabili, centinaia di specie di piante a rischio di estinzione, fiumi ridotti a pozzanghere di fango che devono abbeverare intere famiglie, questo è quello che Cospe sta fronteggiando per restituire alla popolazione angolana una terra che le possa essere nuovamente amica. Attraverso la campagna “We Love Angola”, Cospe sta raccogliendo i contributi di coloro che vogliono sostenerla nella sua azione: la costruzione di opere idriche e la coltivazione di oltre 40 mila alberi, fondamentali per arginare la crisi umanitaria. Piantiamo l’acqua in Angola, adesso.

Tutti i dettagli sulla campagna: https://weangola.cospe.org/