Cosa sappiamo davvero sui legami tra Covid-19 e inquinamento atmosferico?

A un anno dall’inizio della pandemia, le correlazioni con la qualità dell’aria sono state al centro del dibattito scientifico (e non solo): il punto sulle evidenze scientifiche a disposizione

Ormai l’appello è venuto da più fronti: esiste una relazione fra la Covid-19 e la qualità dell’aria. Questo risultato è stato stabilito da numerose ricerche, ampiamente trattate anche da questa testata. Tuttavia, rimangono alcune domande importanti che non trovano (ancora) risposta e che, di conseguenza, lasciano spazio ai più scettici.

Ad esempio: si è dimostrata una relazione di causa-effetto tra l’inquinamento e i casi di Covid-19, oppure è solo una correlazione? Perché allora in alcune province molto inquinate si sono registrati pochi casi rispetto ad altre province ugualmente o meno inquinate? Veramente si può pensare che riducendo l’inquinamento la pandemia sparisca?

In un recente articolo pubblicato sulla rivista Environmental Research con alcuni colleghi dell’Università di Roma Tor Vergata e dell’Università di Torino, abbiamo fatto un’analisi della letteratura scientifica e cercato di fare chiarezzasulle questioni metodologiche.

Sì, c’è un legame tra Covid-19 e inquinamento atmosferico

È necessario partire dal risultato principale: esiste un legame fra Covid-19 e qualità dell’aria. Le due variabili sono fortemente correlate fra loro: nei luoghi dove c’è una peggiore qualità dell’aria si osserva anche un maggior numero di contagi o di decessi. Questa correlazione è il risultato di molte ricerche condotte in diverse aree geografiche e con diverse metodologie. In questo senso, il risultato è robusto: è stato cioè testato più volte in condizioni diverse.

Alcune ricerche considerano il numero dei contagi, altre il numero di decessi, altre entrambi. Alcune analizzano i livelli di polveri sottili, altre il diossido di azotoo l’anidride solforosa. Alcune utilizzano modelli epidemiologici guardando all’andamento dei contagi nel tempo, altre ancora utilizzano modelli econometrici che considerano anche fattori esterni.

Non è infatti solo l’utilizzo di più variabili a rendere questo legame affidabile. Molte ricerche tengono conto anche di altre variabili oltre la qualità dell’aria e i casi di Covid-19. La temperatura, la densità abitativa, la qualità del sistema sanitario sono tutti fattori che possono contribuire ad aumentare o meno il numero di contagi. Studiare l’effetto della qualità dell’aria non significa quindi né escludere il ruolo di altre variabili néattribuire ad essa il ruolo principale di vettore del virus.

Effetto di lungo periodo e di breve periodo

In letteratura, esistono due teorie ugualmente esplorate che legano l’inquinamento dell’aria con i casi di Covid-19.

La prima teoria è l’effetto di lungo periodo: le persone che vivono nei luoghi più inquinati hanno dei polmoni più stressati o con già qualche patologia pregressa e per questo soffriranno maggiormente l’esposizione al virus, con conseguente aumento di casi gravi e decessi. È assodato che l’inquinamento, e in particolare le polveri sottili, hanno un ruolo nocivo per la salute, specialmente per i polmoni, quindi la teoria dell’effetto di lungo periodo si basa sullo stato di salute pre-esistente delle persone che vivono nelle aree più inquinate.

La seconda teoria è l’effetto del virus trasportatore: le polveri sottili possono trasportare il virus e quindi fare da veicolo che amplifica i contagi. Lì dove c’è più inquinamento, quindi, avremo maggiore movimento del virus. Seppur approvata, questa teoria ancora necessita di verifiche ulteriori per quanto riguarda la carica virale del virus che risiede nelle polveri sottili.

Seppur validati scientificamente, i più scettici sono ancora restii ad accettare questi risultati, spesso per l’abbaglio del contro-esempio.

Esiste sempre un contro-esempio

Se guardassimo solamente la fotografia della qualità dell’aria e del numero dei contagi in due regioni, potremmo osservare un forte legame tra inquinamento e casi di Covid-19, ma potremmo anche trovare l’opposto. Questo perché una fotografia descrittiva non riesce né a catturare altri fattori che devono essere tenuti in considerazione, né a cogliere l’importanza di confrontare il più alto numero di dati a disposizione. Ottenere un risultato scientifico affidabile non esclude l’ipotesi che, in alcuni casi, questo risultato non si verifichi, ma ci dice che è statisticamente molto più probabile che si verifichi.

Per esempio, sappiamo che il fumo causa una serie di malattie croniche ai polmoni e al sistema cardio-circolatorio, ma non possiamo escludere (anzi, sappiamo che ci sono!) persone che fumano e vivono a lungo senza problemi di salute. Allo stesso modo, una correlazione fra inquinamento e casi di Covid-19 non preclude la possibilità di avere, in una regione, un alto tasso di inquinamento e un basso numero di casi.

Perché correlazione non è causalità ma è comunque molto importante

Che due variabili siano altamente correlate significa che dove osserviamo l’una molto alta, allora osserviamo anche l’altra molto alta, e viceversa, al netto di altri fattori. Il passo successivo che ogni ricercatore vorrebbe fare è scoprire il nesso causale tra due variabili, anche per capire come intervenire con le politiche adeguate.

Dal punto di vista metodologico, lo studio della causalità è uno dei temi principali quando si analizza l’effetto di un evento su una specifica popolazione. Tuttavia, non è sempre possibile studiare in maniera corretta la causalità. In linea teorica, il modo migliore sarebbe avere un numero sufficiente (migliaia di persone) esposte all’inquinamento e un gruppo di persone con simili caratteristiche non esposte all’inquinamento. I due gruppi, inoltre, dovrebbero essere ugualmente esposti al virus. Questi studi, che prendono il nome di studi controllati randomizzati, sono possibili in alcuni contesti. Per esempio, per studiare l’efficacia del vaccino. In altri contesti però non è possibile usare questa tecnica, poiché non è possibile trovare campioni con simili caratteristiche che differiscano solo per l’esposizione all’inquinamento.

Oltre allo studio randomizzato controllato, ci sono altre tecniche più o meno raffinate e che richiedono alcune assunzioni più o meno realistiche.

Prendere decisioni politiche sulla base dei risultati scientifici a disposizione

Il cammino della ricerca scientifica e quello della politica si devono intrecciare ma non sempre devono combaciare, perché non sempre è possibile che combacino. La ricerca scientifica, da Galileo in poi, si basa su risultati riproducibili da verificare più e più volte. È auspicabile che il dibattito sul legame tra inquinamento e pandemia vada avanti alla ricerca di ulteriori prove con diverse metodologie, in diversi periodi temporali e aree geografiche.

In questo senso, la ricerca non avrà mai un momento in cui si dirà pienamente conclusa, anche se molti risultati renderanno un’ulteriore conferma poco interessante. Le scelte politiche, al contrario, si differenziano dalla ricerca scientifica per due caratteristiche principali: seguono tempistiche molto diverse e sono calate in contesti molto particolari.

Per tornare all’esempio del fumo di sigarette, è stato giusto che il dibattito scientifico abbia voluto analizzare in profondità il nesso fra fumo e malattie croniche, richiedendo ulteriori prove (con allungamento di tempi e aumento di costi) ai primi risultati emersi alla fine degli anni ‘50. Tuttavia, possiamo ormai affermare che le politiche e le campagne antifumo avrebbero dovuto essere lanciate già quando i primi risultati avevano lanciato il campanello d’allarme.

In maniera analoga, è opportuno chiedersi se il forte legame tra Covid-19 e qualità dell’aria non debba già da ora innescare il dibattito e l’attuazione di politiche per ridurre l’inquinamento, in particolar modo quello derivato dalle polveri sottili, causate principalmente da automobili e riscaldamento domestico.

Ci sono dei casi, e questo non è da meno, in cui le politiche possono essere win-win: ridurre l’inquinamento porterebbe vantaggi non solo per l’ambiente, ma anche per la salute; non solo di lungo periodo, ma probabilmente anche di breve periodo. E poi non bisogna mai dimenticare che la scelta di aspettare ad intraprendere politiche più nette è una scelta politica essa stessa: in altre parole, aspettare a contrastare con più determinazione l’emissione delle polveri sottili è una scelta politica, non certo ispirata dalle evidenze scientifiche.