Attività estrattive ed ambiente: un rapporto travagliato

Prima di poter descrivere il quadro normativo in materia di cave e miniere (attività estrattive), lo scrivente ritiene doveroso premettere due dati quantitativi ad altissimo impatto emotivo, segnatamente 5736 e 13016.

Le cifre in oggetto non sono indicative di futuristiche date storiche rispetto alle quali presagire eventi strabilianti per la razza umana, bensì rappresentano l’imponente massa numerica di CAVE ATTIVE (5736) e di CAVE DISMESSE (13016) disseminate sull’italico suolo.

La fotografia è oggettivamente impressionante, soprattutto in ragione del fatto che in alcune regioni, ad oggi, non esiste un monitoraggio del dato ufficiale, nonché considerata la necessaria addizione delle cave abbandonate di Friuli Venezia Giulia, Calabria ed Abruzzo.

Un altro elemento del puzzle di cui tenere necessariamente conto, anch’esso degno di sollevare un coro di esclamazioni incredule, riguarda il quadro normativo, risalente ad un REGIO DECRETO del 1927!

Nello specifico, l’anacronistica norma ut supra appare evidentemente modellata sulla base di una ratio di chiara matrice “sviluppista”, che mal si sposa con le attuali mutate esigenze di tutela ambientale/paesistica, soprattutto in ragione dei funesti  impatti cagionati sul territorio dall’attività antropica di cui si discute.

Sempre di segno negativo il dato che emerge da altra analisi, quella relativa alla disciplina regionale, cui è stata trasferita la competenza in materia sul finire degli anni ’70 (Dpr 616/1977); ad oggi sono difatti numerose le Regioni sprovviste di un piano-cave regionale (PRAE), il che si traduce in uno sproporzionato, irragionevole ed illegittimo accentramento del potere decisionale in capo alla autorità preposta al rilascio delle singole autorizzazioni (in particolar modo in quelle Regioni in cui il potere in materia è stato trasferito ai Comuni…) sia per quanto concerne i parametri quantitativi che quelli temporali di durata.

A livello Comunitario, con la Direttiva Europea 85/337 (recepita dal nostro ordinamento interno nel 1996) è stato –almeno in parte – disciplinato l’impatto ambientale delle cave, statuendo il condizionamento della apertura di nuove cave alla procedura di V.I.A. (valutazione di impatto ambientale).

Nel dettaglio, è previsto il vaglio della procedura in oggetto sia per  le cave e le torbiere che superino i 500.000 m3 di materiale estratto, sia quelle che interessino aree di metratura superiore ai 20 ettari.

Altro profilo sui cui vale la pena spendere una breve disamina, quello relativo alla produzione di rifiuti generati dalla attività estrattiva.

La Direttiva 21/2006 prescrive per tutti gli Stati membri l’adozione di misure di gestione di tale speciale categoria di rifiuti, ispirate al principio dello sviluppo sostenibile, al fine di incentivare l’innovazione, il recupero ed il riciclo del materiale, con particolare riferimenti agli inerti.

Parallelamente, il cosiddetto “Testo Unico Ambiente” o “Codice dell’Ambiente” (D.lgs. 152/2006 e s.m.i) ha disciplinato la materia delle “terre e rocce da scavo”; ad oggi, questa particolare categoria merceologica non è più qualificata come “rifiuto” bensì come “sottoprodotto”, agevolandone dunque la gestione, gli effetti ambientali e quelli economici.

Un’ultima osservazione degna di nota la meritano i profili relativi all’impianto sanzionatorio posto a tutela del rispetto del regime normativo vigente in materia, nonché quello aderente al recupero delle aree estrattive dismesse.

Per quanto attiene a quest’ultimo aspetto, si evidenzia come in quasi tutte le Regioni sia previsto che tale attività venga ponderata ed implementata dal proponente già in fase di predisposizione del “progetto di coltivazione”, in quanto questo debba essere comprensivo di quello di “recupero” una volta cessata l’attività estrattiva.

In relazione all’impianto sanzionatorio, è doveroso rilevare come – ancora una volta – questo si riveli del tutto inadeguato a tutelare il bene giuridico protetto, in “perfetta” linea con il trend negativo di tutto il diritto positivo in materia ambientale.

A titolo meramente esemplificativo, ma indicativo di tutto il quadro nazionale, non può certo ragionevolmente ritenersi idoneo ad essere qualificata come “efficace forma di coazione psicologica, volta a dissuadere i consociati dal tenere un comportamento antigiurdico” (definizione scolastica di “sanzione”) la previsione con cui in Regione Veneto viene sanzionata la coltivazione illegale di cava…. € 3000 di sanzione pecuniaria amministrativa…

Avv. Massimiliano Passalacqua, studio legale P&S EcoAvvocati (http://ecoavvocati.com/)