In origine il suo popolo indigeno era composto da 4mila persone, ora sono 58

Amazzonia, la lezione di Adriano Karipuna per la difesa dei diritti ambientali e umani

Da quando Bolsonaro ha preso il potere in Brasile c’è stato un incremento della deforestazione, che è arrivata a distruggere oggi il 18% dell’intero territorio amazzonico: ogni giorno sparisce dalla foresta l’equivalente di 4.000 campi di calcetto

Il leader indigeno e attivista ambientale Adriano Karipuna ha dialogato con la giornalista Rai Maria Cuffaro, in occasione dell’incontro promosso da Cospe, che rinnova anche per il 2022 il proprio impegno a difesa della foresta pluviale con la campagna di sensibilizzazione e raccolta fondi AMAzzonia. Un evento in concomitanza con l’esposizione della mostra “Amazônia” del celebre fotografo Sebastião Salgado.

L’Amazzonia non è solo il “polmone verde” del mondo, è molto di più.  È la strenua lotta di resistenza dei popoli indigeni che la animano e la custodiscono, è lotta alle disuguaglianze sociali, ambientali ed economiche. Difendere i diritti della natura e dei popoli della foresta significa opporsi ad un modello economico e ad una globalizzazione senza regole e senza etica.

Lo ha ricordato Adriano Karipuna, attivista ambientale e leader del popolo Karipuna dello stato brasiliano della Rondonia, a Roma, durante il convegno organizzato da Cospe al Maxxi – Museo internazionale delle arti del XXI secolo, donando una vera e propria lezione che tocca le coscienze di chiunque.

Il suo è un racconto che si sviluppa tra la descrizione di cosa significa biodiversità in Amazzonia, la varietà di flora e fauna e la ricchezza culturale dei suoi popoli custodi, e la lucida analisi dell’aggressiva politica di Bolsonaro e delle sue spietate conseguenze.

I dati parlano chiaro: da quando è al potere c’è stato un incremento della deforestazione che è arrivata a distruggere oggi il 18% dell’intero territorio amazzonico, con l’equivalente di 4.000 campi di calcetto che ogni giorno spariscono dalla foresta. Inoltre  le leggi 191 e 490, più volte citati da Adriano Karipuna, danno l’una il via libera alle estrazioni minerarie nelle riserve e la seconda permette l’attuazione del cosiddetto “marco temporale” che mette ulteriormente a rischio il possesso degli indigeni delle proprie terre originarie.

Adriano Karipuna è la voce indignata del suo popolo, oggi drammaticamente composto di sole 58 persone, dalle 4000 originarie. Una voce che parla apertamente di progetti di genocidio da parte del governo Bolsonaro e che, nonostante le minacce subite, continua strenuamente a denunciare  le aggressioni alla foresta e al suo popolo,  mantenendo sempre intatta la propria identità e difendendo un territorio che gli appartiene da più di 1500 anni.

Ogni anno le comunità indigene si riuniscono in quello che definiscono il giorno della “terra libera”, dando forma ad una tenace storia vissuta per la salvaguardia dell’elevata biodiversità di flora e fauna, aiutati dagli attivisti e dalle associazioni ambientaliste, ma senza l’appoggio di chi dovrebbe parteggiare per loro davvero: le istituzioni locali. Istituzioni che non hanno rappresentanti indigeni: nel parlamento brasiliano solo una deputata appartiene alla minoranza indigena.

Il leader Karipuna ha inoltre ricordato come le conseguenze relative ai cambiamenti climatici riguardino questo immenso territorio di 6, 7 milioni di km², con estinzione della flora e fauna che prima permettevano ai popoli indigeni di godere e vivere dei frutti della foresta, in modo sostenibile. Le parole cariche di emozioni con cui Adriano ha raccontato le difficoltà legate alla deforestazione ci hanno restituito a pieno il senso di appartenenza e ci inducono tutt* a riflettere. Andando oltre le diverse geografie che la costituiscono, la foresta resiste ancora, rigenerandosi in maniera straordinaria e complessa, animata da uno spirito fatto di tradizioni e rituali tramandati di generazione in generazione.

Di certo tra i vari conflitti che contribuiscono a rendere instabile il nostro pianeta e ad alimentare le disuguaglianze, quelli per l’uso del suolo e delle risorse naturali rivestono un’importanza cruciale poiché riguardano la sopravvivenza stessa degli ecosistemi viventi. Come, dunque, recuperare un modo di agire più etico, che tenga conto anche delle sconvolgenti problematiche sociali, senza sfruttare un territorio che, nelle sue innumerevoli fortune e sfortune, si ritrova così florido di materie prime che non è sempre in grado di processare? Questa è la domanda aperta che ci ha lasciato il leader indigeno. A noi tutti raccogliere la sua lezione e farne pratica quotidiana, a partire dalla cura degli stili di vita e alimentari.

di Cospe per greenreport.it