Rapporto Cave in Toscana: male Apuane, Campiglia Marittima e Isola d’Elba. Bene Prato

Tre esempi negativi e una buona pratica segnalati in Toscana

[10 Maggio 2021]

Il Secondo Rapporto Cave 2021 di Legambiente, parla anche di Toscana e presenta gli esempi negativi e le buone pratiche nella nostra regione. Tra i “cattivi” ci sono due casi “storici” – Alpi Apuane e Campiglia Marittima –  ai quali si va aggiungere una vicenda già sorvegliata da tempo dal Cigno Verde: l’ampliamento della miniera Eurit di Caolino dell’Isola d’Elba.

Ecco cosa si legge, nel male e nel bene, nel rapporto Cave 2021:

 

Il marmo delle Alpi Apuane

Le Alpi Apuane ed il marmo da qui estratto rappresentano un caso emblematico di convivenza fra l’estrazione delle pietre ornamentali più famose al mondo ed il principale Parco Naturale della Regione Toscana. Nel solo Comune di Carrara sono 73 le cave autorizzate, con effetti impressionanti non solo a livello paesaggistico. A cime “mozzate”, crinali incisi, discariche minerarie (ravaneti) visibili a chilometri di distanza, vanno infatti aggiunti l’inquinamento delle falde acquifere, l’esposizione della popolazione alle polveri, al rumore ed alle vibrazioni causate dell’intenso traffico di mezzi pesanti. In positivo il traffico pesante non attraversa più la città di Carrara dall’Aprile 2012, grazie all’apertura della strada dei marmi (costata 120 milioni di euro). Con l’approvazione del nuovo Piano Cave della Regione Toscana, avvenuta il 21 Luglio 2020, la Regione Toscana, anziché rendere sostenibile l’attività estrattiva, ha ceduto ancoora una volta alle pressioni della lobby del marmo, innalzando le percentuali ammissibili di detriti nell’escavazione. I dati della pesa comunale di Carrara, installata nel 2005, fecero emergere già allora una situazione discutibile: il marmo che scendeva dai monti era costituito per l’83% da detriti (solo il 17% da blocchi) e il 36% delle cave produceva oltre il 90% di detriti. Ma la realtà era ancor peggiore: molte cave, infatti, apparivano virtuose solo perché, in violazione dell’autorizzazione, portavano a valle i blocchi ma abbandonavano al monte i detriti e quantitativi sempre maggiori di terre. Per porre fine a questa situazione, nel 2007 il Piano regionale attività estrattive (PRAER) stabilì che l’autorizzazione potesse essere rilasciata solo a cave con una resa in blocchi di almeno il 25% e che il Comune verificasse annualmente il rispetto di questo requisito. Il Piano approvato di recente, invece, stravolge completamente questo principio, portando ad aumentare quanto più possibile la produzione di detriti, come denunciato da Legambiente Carrara e Legambiente Toscana a gran voce. Il risultato è che cave non autorizzabili perché particolarmente distruttive (ad esempio avendo addirittura il 94% di detriti e una resa reale in blocchi del solo 6%) diventano pienamente autorizzabili poiché la resa apparente supera il 20%. Non si tratta di casi isolati: quasi tutte le cave dell’alto bacino di Torano, infatti, hanno percentuali di detriti superiori al 90% e sono fornitrici di scaglie bianche all’Omya, industria chimica che produce e vende carbonato di calcio naturale in polvere.

Chiaramente nessun imprenditore è talmente autolesionista da ridurre i blocchi in scaglie (di buon valore commerciale, ma incomparabilmente inferiore a quello dei blocchi), per cui se ne deduce che l’intero giacimento è costituito da marmo molto fratturato. Considerato l’elevato impatto ambientale e paesaggistico, sproporzionato ai pochi blocchi estratti, nelle osservazioni ai PABE di Carrara, Legambiente ha chiesto che l’alto bacino di Torano venisse escluso dalle aree estrattive. Legambiente ha inoltre chiesto che l’escavazione fosse praticata solo al piede della montagna e solo in galleria, in modo da raggiungere il marmo non fratturato e ridurre grandemente la percentuale di detriti. Nella commissione consigliare marmo, infatti, veniva spiegata l’elevata percentuale di detriti con l’elevata fratturazione degli strati superficiali mentre, man mano che ci si addentrava più in profondità, la fratturazione diminuiva. La proposta però è stata respinta, assecondando le pressanti richieste degli imprenditori del marmo che, in sostanza, chiedevano mano libera su tutti i fronti.

 

La distruzione delle colline a Campiglia Marittima (LI)

Sempre in Toscana, sulle colline di Campiglia Marittima e di San Vincenzo, in Provincia di Livorno, si trova un altro sito famoso per le attività estrattive, che ricadono in parte all’interno del SIC Monte Calvi di Campiglia. Le cave autorizzate sono passate, negli ultimi anni, da 5 a 2, ma si tratta comunque di un’area di particolare pregio e su cui porre la massima attenzione vista la presenza del Parco archeo-minerario di San Silvestro e della Rocca medievale, entrambi siti culturali di notevole importanza e dove negli anni le cave sono arrivate sempre più a ridosso. La prima denuncia per questa con dizione decisamente critica era arrivata già nel 2007 da parte dell’archeologo Riccardo Francovich: «La cava di Monte Calvi di Campiglia Marittima va chiusa, l´attività estrattiva non è più compatibile con la fruizione del Parco archeominerario di San Silvestro». La società presentò al Comune nel 2015 una proposta di un nuovo piano di coltivazione per allungare le escavazioni di ulteriori 20 anni alla quale il Comune ha risposto negativamente, sottolineando che gli strumenti urbanistici da quasi vent’anni affermano che le attività estrattive a Campiglia devono andare ad esaurimento con questi piani vigenti. Nel 2020 un lavoro intenso di concertazione è stato portato avanti dall’Amministrazione comunale, concentrato principalmente sul Monte Calvi. La proposta che è emersa è rappresentata da un accordo a tre tra Comune, Regione e Cave di Campiglia che stabilisce gli impegni e le azioni reciproche che condividono l’obiettivo di fondo: creare un percorso che consenta all’indomani della chiusura delle cave di completare il Parco Archeominerario di San Silvestro, progettando e programmando una nuova vita economica, sociale, culturale e turistica per quelle aree. L’accordo prevede l’applicazione del Piano Regionale Cave, per cui una nuova concessione verrà rilasciata, ma anche la riduzione dell’area di giacimento dai 30 ettari attuali ai 15 ettari; la cessione da parte di Cave di Campiglia delle proprietà di Pozzo Earle, Fornelli di Monte Rombolo, Etruscan Mines; l’impegno da parte dell’azienda ad investire per il recupero e la messa in funzione del pozzo Earle; la messa a sistema dei beni, una volta valorizzati e resi accessibili, dallo sviluppo del percorso dell’attuale trenino che si spingerà oltre Villa Lanzi, fino alle pendici del Monte Rombolo per terminare la corsa ai piedi del Villaggio americano novecentesco Etruscan Mines.

 

Lo scempio della miniera sull’Isola d’Elba

Clamoroso quanto successo nel Settembre scorso all’Isola d’Elba. Sono infatti iniziati i lavori per l’ampliamento della miniera Eurit della Crocetta, con la tecnica estremamente impattante del “mountain top removal”, ossia eliminando la cima di una montagna, in questo caso di enorme valore panoramico e paesaggistico. La distruzione della collina che sovrasta Lido di Capoliveri e Porto Azzurro, avrà un fortissimo impatto paesaggistico anche su Portoferraio e Capoliveri, tanto che era stata negata la valutazione di incidenza. Un’escavo ed un ampliamento a cielo aperto che avviene mentre le ferite della miniera del Buraccio restano aperte in attesa di un vero ripristino ambientale. La rimozione della cima distruggerà anche parte della rete sentieristica, oltre a portare un pesantissimo impatto sull’ambiente, la biodiversità, l’assetto idrogeologico e le aziende agricole e turistiche dell’area.

 

La demolizione selettiva del vecchio Ospedale di Prato

L’abbattimento selettivo del vecchio ospedale Misericordia e Dolce di Prato è iniziato nel Settembre 2020, ed ha visto larghissima parte del materiale, sia interno sia esterno, recuperato e riutilizzato. L’unica eccezione riguarda l’amianto, che sarà invece smaltito in appositi centri in Germania. La struttura era suddivisa in tre blocchi, di dimensioni e materiali diversi.

Il blocco 1, su 6 livelli, era una struttura in cemento armato, solai in laterizi e cemento e tamponature in laterizio, oltre ad un corridoio in struttura metallica. I blocchi 2 e 3, entrambi su 8 livelli, vedevano la presenza degli stessi materiali, ad eccezione della struttura metallica. In totale si tratta di un volume di 154.500 metri cubi. La tecnica di demolizione selettiva, o strip-out, vede la rimozione e separazione di tutti i materiali e rifiuti presenti all’interno dei fabbricati, nonché la rimozione e lo smontaggio delle apparecchiature elettriche ed impiantistiche. Oltre alla bonifica delle parti contenenti amianto si è proceduto anche a quella per le FAV, Fibre Artificiali Vetrose, le cosiddette lane vetrose. Importanti accorgimenti sono stati attuati nelle fasi di allestimento e di gestione del cantiere. Una particolare attenzione è stata rivolta alla mitigazione del rumore, con il ricorso a recinzione fonoassorbente di 8 metri di altezza, ed a quella delle polveri con l’uso di Fog Cannon®, un vero e proprio getto di una miscela aria/acqua finemente nebulizzata che crea una nube di nebbia non tossica e non nociva in grado di abbattere velocemente le particelle in sospensione. A questo sistema si aggiungono appositi ugelli nebulizzatori sul braccio degli escavatori ed il telo in HDPE (high-density polyethylene). Il totale dei rifiuti generati dal cantiere è di poco meno di 63mila tonnellate, con solamente 852 tonnellate (l’1,35%) di rifiuti destinati a smaltimento, mentre oltre il 98%, pari a 62.053 tonnellate, viene avviato a recupero, evitando sia di immettere in discarica importanti volumetrie sia il consumo di materie prime di cava.