Pandemia di Covid-19: stipendi negati a milioni di lavoratori e lavoratrici tessili

Una stima di quel che l'industria dell'abbigliamento deve ai suoi lavoratori

[10 Agosto 2020]

Lo studio “Stipendi negati in pandemia – Una stima di ciò che l’industria dell’abbigliamento deve ai propri lavoratori”, realizzato da Clean Clothes Campaign  e basato su una ricerca condotta da Clean Clothes Campaign e Worker Rights Consortium con il contributo del Solidarity Center, analizza i mancati pagamenti e i tagli salariali avvenuti ai danni dei lavoratori tessili nei mesi di marzo, aprile e maggio dopo l’imposizione di aspettative non retribuite, tagli pubblici, interruzione dei rifornimenti e cancellazione di ordini da parte dei brand della moda pronta e, sulla base di dati raccolti sul campo e di altre ricerche pubblicate, rivela che «In tutti i Paesi del sud e sud-est asiatico i lavoratori hanno ricevuto strutturalmente il 38% in meno di quanto gli spettasse. In alcune delle regioni dell’India, si supera addirittura il 50%. Rapportando questi numeri all’industria mondiale dell’abbigliamento, escludendo la Cina, un’ipotesi prudente attesta tra 3.19 e 5,78 miliardi di dollari la cifra dei salari dovuti ai lavoratori».

Commentando il rapporto, il pakistano Khalid Mahmood della  Labour Education Foundation, ha detto che «I membri del nostro sindacato vivono già con salari di povertà, meno di un terzo di un salario vivibile. Non hanno alcuna possibilità di accantonare risparmi per una crisi come questa, né hanno una rete di sicurezza sociale su cui fare affidamento. Anche un piccolo taglio salariale significa fare delle scelte tra beni di prima necessità, come portare a casa abbastanza cibo per tutti o pagare l’affitto in tempo. I lavoratori dell’abbigliamento dovranno affrontare la miseria molto prima dei loro datori di lavoro o dei marchi per cui producono: è ora che quest’ultimi si facciano carico delle loro responsabilità».

David Hachfeld, di Public Eye/Clean Clothes Campaign Switzerland, ha aggiunto: «A causa della mancanza di molti dati, abbiamo dovuto fare una stima e limitare la nostra ricerca al sud e sud-est asiatico. Non c’è alcuna ragione comunque per pensare che la situazione sia tanto diversa negli altri Paesi. Anche se le nostre conclusioni sono al ribasso, i numeri sono già impressionanti. In Indonesia e in Bangladesh sono stati trattenuti rispettivamente oltre 400 e 500 milioni di dollari di salari».

La Campagna Abiti Puliti, insieme ai suoi partner di Clean Clothes Campaign, «chiede ai marchi e ai distributori di assumersi le loro responsabilità garantendo ai propri lavoratori e lavoratrici il versamento di tutti i salari che gli spettano, in accordo con il diritto del lavoro e gli standard internazionali». Deborah Lucchetti, portavoce della Campagna Abiti Puliti, spiega: «Chiediamo che questo impegno sia pubblico attraverso la sottoscrizione di una “assicurazione salariale. Questo significa utilizzare la propria capacità di influenza quali committenti delle catene globali di fornitura per sollecitare fondi, fornire contributi diretti e collaborare con altri attori – ad esempio con l’ILO [International labour organization, ndr] – per garantire i pagamenti dovuti ai lavoratori interessati dalla crisi». Una proposta lanciata a giugno  che ha permesso a Clean Clothes Campaign di contattare decine di marchi, iniziando in alcuni casi un dialogo costruttivo.

Christie Miedema, della Clean Clothes Campaign, conclude: «Accogliamo con favore le azioni intraprese da alcuni marchi in questi mesi. Stiamo chiedendo a ciascuno individualmente un impegno pubblico per evitare che in una situazione in cui tutti hanno delle responsabilità, nessuno se ne faccia carico aspettando che sia qualcun altro ad occuparsene. Solo così saremo in grado di porre fine alla malsana abitudine di scaricare i rischi e le responsabilità lungo la catena di fornitura lasciando che alla fine a pagare siano sempre i lavoratori».