Myanmar: regressione inimmaginabile due anni dopo il colpo di stato

Il regime militare fascista ha dichiarato guerra al suo stesso popolo per continuare a svendere le risorse del Paese

[30 Gennaio 2023]

L’Alto commissario per il diritti umani dell’Onu, Volker Türk, ha denunciato che «Due anni dopo che l’esercito birmano ha attuato, il primo febbraio 2021, un colpo di stato contro il governo eletto democraticamente, il Paese è sprofondato più che mai nella crisi e ha subito una regressione totale dei diritti uman. Secondo quasi tutte le misurazioni possibili e in ogni area dei diritti umani – economici, sociali e culturali, tanto quanto civili e politici – il Myanmar è profondamente regredito».

Türk  ha evidenziato che «Nonostante i chiari obblighi legali per i militari di proteggere i civili mengtre conducono le ostilità, c’è stato un costante disprezzo per le relative norme del diritto internazionale. Lungi dall’essere risparmiati, i civili sono stati i veri bersagli degli attacchi: vittime di tiri di artiglieria e attacchi aerei mirati e indiscriminati, esecuzioni extragiudiziali, uso della tortura e incendi di interi villaggi. In questo momento cupo, voglio riconoscere il coraggio di tutti coloro le cui vite sono state perse nella lotta per la libertà e la dignità in Myanmar, e il dolore e la sofferenza continui delle loro famiglie e dei loro cari».

Secondo fonti attendibili almeno 2.890 persone sono morte per mano dei militari e dei loro alleati. 767 delle vittime erano state arrestate e sono morte netre erano in prigione. L’ Human Rights Office Onu (OHCHR) avverte che «Questa è quasi certamente una sottostima del numero di civili uccisi a seguito di un’azione militare. Un altro impressionate 1,2 milioni di persone sono sfollati interni e oltre 70.000 persone hanno lasciato il Paese, unendosi a oltre un milione di altri profughi, tra i quali la maggior parte della popolazione musulmana Rohingya del Paese, fuggita da continue persecuzioni e attacchi negli ultimi decenni».

In Myanmar negli ultimi due anni sarebbero state bruciate oltre 34.000 strutture civili, tra cui case, ospedali e centri medici, scuole e luoghi di culto. L’economia del Myanmar è crollata e quasi la metà della popolazione che ora vive al di sotto della soglia di povertà.

Dopo il colpo di stato, i militari hanno imprigionato la leadership democraticamente eletta del paese e, nei mesi successivi, hanno arrestati oltre 16.000 militanti dell’opposizione e, a causa del loro rifiuto di accettare il golpe, la maggior parte sta affrontando accuse pretestuose in tribunali controllati dai militari, in flagrante violazione del giusto processo e del diritto a un processo equo.

Di fonte a questa spirale di violenza di un regime militare fascista che ha dichiarato guerra al suo stesso popolo, Türk ha detto che «Deve esserci una via d’uscita da questa situazione catastrofica, che ogni giorno vede solo l’aggravarsi della sofferenza umana e delle violazioni dei diritti. I leader regionali, che hanno coinvolto la leadership militare attraverso l’ASEAN, hanno concordato un Five-Point Consensus che i generali del Myanmar hanno trattato con disprezzo. Due delle condizioni essenziali concordate – cessare ogni violenza e consentire l’accesso umanitario – non sono state soddisfatte. In realtà, abbiamo visto il contrario. La violenza è andata fuori controllo e l’accesso umanitario è stato severamente limitato».

L’Alto Commissario Onu ha indicato altre misure che sarebbero essenziali per costruire  una base politica per la risoluzione della crisi: «Il rilascio di tutti i prigionieri politici, tra cui la Consigliera di Stato Aung San Suu Kyi e il Presidente U Win Myint, come richiesto dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite; dialogo inclusivo con tutte le parti, coinvolgendo sia il presidente dell’ASEAN che l’inviato speciale delle Nazioni Unite; e consentire all’ UN Human Rights Office un accesso significativo al Paese per monitorare la situazione in modo indipendente e imparziale. Ripristinare il rispetto dei diritti umani è la chiave per porre fine a questa crisi, per porre fine a questa situazione in cui i generali del Myanmar stanno cercando di sostenere con la forza bruta un sistema vecchio di decenni nel quale rispondono solo a se stessi. I responsabili degli attacchi quotidiani contro i civili e delle violazioni dei diritti umani devono essere ritenuti responsabili. L’esercito deve essere sottoposto a una reale ed efficace supervisione civile. Questo sarà difficile da raggiungere, ma questi elementi sono fondamentali per ripristinare qualsiasi parvenza di governo democratico, sicurezza e stabilità nel Paese».

Ma dietro l’allarme lanciato da Türk c’è anche un ingombrante non detto: il ruolo svolto dal governo comunista cinese (e non solo) nel sostenere una giunta militare fascista in cambio delle risorse delle quali i militari si sono appropriati in anni di feroce dittatura e di guerra contro le minoranze etniche.

Türk ha concluso ricordando che l’ex Birmania «Fin dal suo primo anno di indipendenza, il Myanmar è stato tra i primi Stati membri delle Nazioni Unite a votare a favore della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Purtroppo, mentre celebriamo i 75 anni dall’adozione della Dichiarazione, l’esercito è attivamente impegnato nella violazione dei suoi valori, principi e diritti fondamentali in essa sanciti. Come può un esercito che pretende di difendere il Paese aver portato la propria gente – proveniente da tutte le parti della società ricca e diversificata del Myanmar – a un tale punto di disperazione? Il mese scorso, il Consiglio di sicurezza si è unito per adottare una risoluzione rivoluzionaria che richiedeva la fine immediata della violenza, tra gli altri passi urgenti. Ora è tempo che il mondo si unisca per intraprendere azioni comuni per fermare le uccisioni, proteggere il popolo del Myanmar e garantire il rispetto dei suoi diritti umani universali».