Mali: il cancro dell’impunità

La popolazione civile in balia delle violenze di jihadisti, milizie comunitarie e forze armate e di sicurezza dello Stato

[19 Giugno 2020]

L’intervento armato francese e poi dei Paesi del G5 Sahel sembra servito davvero a poco e forse ha peggiorato la situazione: nel centro del Mali la popolazione è in balia di gruppi armati tribali e jihadisti  e, come ha detto l’esperto indipendente dell’Onu per la situazione in Mali, il senegalese Alioune Tine, all’United Nations Human Rights Council, «Il cumulo di défaillance della sicurezza, giudiziarie e amministrative genera violenze di massa e l’impunità»

Tine si è detto in particolare preoccupato per quel che sta avvenendo nel centro del Paese e in particolare nella regione di Mopti «Dove le popolazioni civile sono sempre più prigioniere di organizzazioni criminali transnazionali e di gruppi armati estremisti. Queste popolazioni sono anche alla mercé di milizie armate basate sull’appartenenza comunitaria che si assicurano sempre più il controllo di questa zona, dove le questioni economiche legate alla transumanza, con il furto di bestiame, sono divenute una delle grandi sfide della regione».

Ma, sullo sfondo delle tensioni comunitarie, sono anche aumentate le incursioni dei gruppi jihadisti che, approfittando dell’assenza di uno Stato ridotto ormai a un fantasma, cercano di appropriarsi di territorio e risorse e sfruttano e aggravano le fratture tra le diverse comunità. Tine ha evidenziati che «Un ciclo infernale di violenza e rappresaglia si succede nella regione del Centre». Secondo dati Onu, da gennaio a marzo, I gruppi armati comunitari e i gruppi islamisti sono stati rispettivamente responsabili del 36,45% e del 17,22% delle 598 violazioni dei diritti umani documentate. Mentre i gruppi armati firmatari e non firmatari dell’Accord de paix au Mali sono stati responsabili del 10,03% dei casi.

Tine ha ricordato che «Quasi tutti gli interlocutori che ho incontrato, compresi dei rappresentanti dello Stato così come delle forze di difesa e della sicurezza, hanno sottolineato che gli autori di attacchi simili anteriori in diverse regioni non hanno mai risposto dei loro atti. Questo cancro dell’impunità è uno dei fattori aggravanti della violenza e delle confusioni attuali della situazione della scurezza e politica in Mali».

E quel che resta dello Stato del Mali partecipa alla creazione di un caos sanguinoso, Secondo una recente nota trimestrale pubblicata dalla Mission multidimensionnelle intégrée des Nations Unies pour la stabilisation au Mali (MINUSMA): «Nei primi tre mesi di quest’anno, le Forces nationales de défense et de sécurité maliennes – alcune delle quali operano nel quadro della Force conjointe du G5 Sahel – sono state responsabili di almeno il 36,45% delle violazioni dei diritti umani documentati, con 119 esecuzioni extragiudiziarie, 32 sparizioni forzate e 116 arresti arbitrari. La maggior parte di questi incidenti è avvenuta nelle regioni di Mopti e Ségou. – ha denunciato Tine – Il deterioramento della situazione della sicurezza ha contribuito a un deterioramento della situazione umanitaria. Il numero di rifugiati interni è più che raddoppiato, passando da 84.300 a gennaio 2019 a 218.000 a marzo 2020».

Un quadro tanto drammatico quanto ignorato e che potrebbe essere ancora peggiore, viste le accuse di violazioni dei diritti umani che mettono sempre più in causa le Forces de défense et de sécurité maliennes, armate, addestrate e finanziate dai Paesi europei, Italia compresa.

Già il 12 giugno Tine aveva lnciato un forte allarme sulle violenze compiute dai militari del Mali: «I massacri di questi civili non sono eventi isolati. Fanno parte di una tendenza crescente e inquietante in cui le forze armate maliane stanno commettendo impunemente gravi violazioni dei diritti umani. L’attuale clima di impunità endemica nel Paese dell’Africa occidentale perpetua la violenza e promuove la sfiducia nella popolazione. E’ l’opposto di ciò di cui il Mali ha bisogno nella sua ricerca di ripristinare l’autorità statale in tutto il Paese e garantire una convivenza pacifica tra le comunità».

Il 3 giugno un convoglio di 10 veicoli militari ha preso d’assalto il villaggio di Yangassadiou nella regione di Mopti, ha ucciso almeno 15 persone e ne ha arrestato altre, Il 5 giugno, a Binedama, sempre nella regione di Mopti, i soldati di un convoglio militare di 30 veicoli e un gruppo di cacciatori Dogon armati (dozos) che li guidavano, hanno massacrato almeno 37 persone di etnia Fulani, tra cui tre donne e tre bambini, dopo aver indiscriminatamente aperto il fuoco sugli abitanti del villaggio. Il giorno dopo, un’altra unità militare ha fatto irruzione nel villaggio di Massabougou, nella regione del Ségou, assassinando 9 uomini della comunità Peul.

Chiamato in causa l’ambasciatore del Mali all’Onu, Mamadou Henri Konaté, ha detto che «Questo è il luogo  dove dire, senza ambiguità, che le autorità maliane rimangono pienamente impegnate nella loro politica di tolleranza zero e nella lotta contro l’impunità. Sono in corso indagini per chiarire queste accuse». Ma il debolissimo governo asserragliato a Bamako ha chiesto cautela prima di arrivare a conclusioni affrettate sugli ultimi abusi attribuiti alle forze armate maliane: «A questo proposito, i gruppi terroristici che hanno rubato  numerosi veicoli dall’esercito, potrebbero essere responsabili di alcuni massacri di civili», ha concluso Konaté.

Per Tine, «Il Mali deve garantire che vengano condotte indagini rapide, approfondite e imparziali su queste esecuzioni. Il Paese deve adottare urgentemente misure efficaci per porre fine alla privazione arbitraria della vita e porre fine al circolo vizioso dell’impunità che consente queste gravi violazioni. Oltre a queste violazioni da parte delle forze di sicurezza e di difesa dello Stato, le comunità del Mali centrale continuano a subire infinite violenze da parte di gruppi armati non statali/comunitari che commettono impunemente violazioni dei diritti umani».