La bolla del carbonio di Wall Street

Banche e investitori statunitensi sono responsabili di emissioni di gas serra equivalenti a quelle della Russia

[15 Dicembre 2021]

Il nuovo rapporto “Wall Street’s carbon bubble: The global emission of the US financial sector”  del Center for American Progress (CAP) e Sierra Club analizza le “emissioni finanziate” e fornisce una visione nuova dell’impronta di carbonio di Wall Street dalla quale emerge che «Le 18 maggiori banche e gestori patrimoniali statunitensi, da soli, nel 2020 erano responsabili del finanziamento dell’equivalente di 1,968 miliardi di tonnellate di CO2».  Questo renderebbe, se fosse un Paese, il settore finanziario statunitense il quinto più grande emettitore di CO2 al mondo, appena sotto la Russia e davanti all’Indonesia. La nuova ricerca fornisce quindi un nuovo quadro  dell’enorme impronta di carbonio della finanza americana e chiede «Una serie di regolamenti da introdurre in tutto il settore per allineare le banche statunitensi con l’obiettivo dell’Accordo di Parigi di 1,5 gradi Celsius di riscaldamento globale».

Il rapporto di CAP e Sierra Club replica un approccio simile a quello di Greenpeace UK e Wwf  che hanno scoperto che il settore finanziario del Regno Unito era responsabile di oltre 800 milioni di tonnellate di CO2 equivalente, quasi il doppio delle emissioni totali del Regno Unito.

Per calcolare, per la prima volta, le emissioni aggregate di carbonio associate alle attività di prestito e investimento del settore finanziario statunitense, sulla base di un campione indicativo, l’analisi, condotta da South Pole, il principale sviluppatore di soluzioni climatiche, ha utilizzato una metodologia market-leading carbon accounting e Sierra Club fa notare che «Sebbene l’analisi dimostri chiaramente la portata dell’impatto delle istituzioni finanziarie nel guidare il cambiamento climatico, rappresenta probabilmente una grossa sottostima, poiché si basa su divulgazioni pubbliche che escludono dati essenziali, comprese le emissioni relative ai servizi di consulenza e sottoscrizione e stime delle emissioni Scope 3 per i clienti delle banche. Le emissioni  Scope 3 rappresentano l’ 88% delle emissioni delle compagnie petrolifere e del gas».

Cap e Sierra club d fanno notare che «La tempistica del rapporto è significativa perché dimostra come il settore finanziario tragga vantaggio da regole di divulgazione deboli per oscurare la comprensione dei suoi contributi alle emissioni globali. Le informative ristrette per l’opinione pubblica da parte delle banche non includono dati a livello di transazione nelle loro stime dell’esposizione creditizia. Nelle prossime settimane e mesi, sia l’ OCC che la SEC prenderanno in considerazione regole che possono – e dovrebbero – affrontare direttamente questa mancanza. Questo rapporto dovrebbe informare il loro processo decisionale».

Secondo Ben Cushing, campaign manager Fossil-Free Finance di Sierra Club, «I regolatori non possono più ignorare lo sbalorditivo contributo di Wall Street alla crisi climatica. Gli investimenti in combustibili fossili tossici di Wall Street minacciano il futuro del nostro pianeta e la stabilità del nostro sistema finanziario e mettono a rischio tutti noi, in particolare le nostre comunità più vulnerabili. I regolatori finanziari hanno l’autorità per frenare questo comportamento rischioso e questo rapporto chiarisce che non c’è tempo da perdere».

Andres Vinelli, vicepresidente politica economica del CAP, ricorda che «Il cambiamento climatico rappresenta un grande rischio sistemico per l’economia mondiale. Se non affrontati, i cambiamenti climatici potrebbero portare a una crisi finanziaria più grande di qualsiasi altra a memoria d’uomo. Il settore bancario statunitense sta mettendo in pericolo se stesso e il pianeta continuando a finanziare il settore dei combustibili fossili. Poiché l’industria si è dimostrata riluttante a autogovernarsi, le autorità di regolamentazione, tra cui la SEC e l’OCC, devono sviluppare urgentemente un quadro per ridurre i contributi delle banche al cambiamento climatico».

Secondo l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), per limitare il riscaldamento globale a 1,5° C, le emissioni globali devono diminuire del 45% rispetto ai livelli del 2010 prima del 2030. Quest’anno, l’International energy agency ha detto che perché il mondo possa raggiungere le emissioni net zero entro il 2050, non ci devono essere nuovi progetti di estrazione petrolio e gas. Ma le due organizzazioni statuinitensi evidenziano che «Tuttavia, gli impegni del settore finanziario alla COP26 di Glasgow questo novembre sono stati ampiamente criticati per la mancanza di obiettivi o scadenze concreti, per l’incapacità di non indirizzare direttamente il sostegno delle banche alle compagnie dei combustibili fossili e per la dipendenza da obiettivi di “intensità” annacquati sulle emissioni, invece di obiettivi assoluti. Le banche continuano a versare denaro nell’industria dei combustibili fossili. Infatti, dalla firma dell’Accordo di Parigi nel 2015, le sole 60 banche più grandi del mondo hanno fornito 3,8 trilioni di dollari all’industria dei combustibili fossili».

CAOP e Sierra Club, notoriamente vicine ai democratici, criticano anche il presidente Usa Joe Biden: «Ha fissato obiettivi ambiziosi per la riduzione delle emissioni negli Stati Uniti, ma finora la sua amministrazione non è riuscita a utilizzare i suoi poteri normativi e politici per affrontare il ruolo delle corporations  nel guidare il cambiamento climatico».

Il rapporto raccomanda numerosi passi immediati e specifici  da fare che «I regolatori finanziari federali possono prendere in considerazione per l’imminente minaccia sistemica del cambiamento climatico, comprese le riforme alla regolamentazione dei mercati dei capitali e ai regolamenti relativi ai requisiti patrimoniali e alla supervisione delle banche».

CAP e Sierra Club concludono: «Gli investimenti in combustibili fossili rappresentano di per sé un grande rischio finanziario sistemico. Mentre il clima cambia e il mondo si muove verso le energie rinnovabili più pulite e meno costose, le risorse dei combustibili fossili sono sempre più a rischio di rimanere “incagliate”, sia perché il mondo è costretto a passare a energie più pulite o a causa degli effetti del cambiamento climatico stesso. Come osserva il rapporto: “Secondo il fornitore di assicurazioni Swiss Re, il cambiamento climatico potrebbe ridurre il PIL globale dall’11% al 14% entro il 2050 rispetto a un mondo senza cambiamenti climatici. Ciò equivale a una perdita di 23 trilioni di dollari, causando danni che supererebbero di gran lunga la portata della crisi finanziaria del 2008”».