Istat: in Italia non cala il rischio di povertà o esclusione sociale. Peggiora la disuguaglianza

Solo il reddito di cittadinanza e misure straordinarie di sostegno hanno evitato una catastrofe sociale

[10 Ottobre 2022]

Secondo il report “Condizioni di vita e reddito delle famiglie – Anni 2020 e 2021” pubblicato da ISTAT, «Nel 2021, il 20,1% delle persone residenti in Italia risulta a rischio di povertà (circa 11 milioni e 800 mila individui) avendo avuto, nell’anno precedente l’indagine, un reddito netto equivalente, senza componenti figurative e in natura, inferiore al 60% di quello mediano (ossia 10.519 euro). A livello nazionale la quota rimane sostanzialmente stabile rispetto ai due anni precedenti (20% e 20,1% rispettivamente nel 2020 e nel 2019), mentre si osserva un certo miglioramento nel Mezzogiorno e al Centro e un aumento del rischio di povertà nelle ripartizioni del Nord. Il 5,6% della popolazione (circa 3 milioni e 300 mila individui) si trova in condizioni di grave deprivazione materiale, ossia presenta almeno quattro dei nove segnali di deprivazione individuati dall’indicatore Europa 2020; un valore che risulta più basso rispetto a quello dei due anni precedenti (5,9% nel 2020 e 7,4% nel 2019). Inoltre, l’11,7% degli individui vive in famiglie a bassa intensità di lavoro, ossia con componenti tra i 18 e i 59 anni che hanno lavorato meno di un quinto del tempo, percentuale in aumento rispetto all’11% dell’anno precedente e al 10% del 2019».

A più elevato rischio povertà sono le famiglie numerose e quelle con almeno un componente straniero.

Si stima che le nel 2020 famiglie residenti in Italia abbiano percepito un reddito netto medio di 32.812 euro, 2.734 euro al mese. Il rapporto evidenzia che «Nell’anno della pandemia di Covid-19 il reddito delle famiglie è tornato a ridursi rispetto all’anno precedente sia in termini nominali (-0,9%) che in termini reali (-0,8%). Il reddito equivalente, che tiene conto delle economie di scala e rende confrontabili i livelli di reddito di famiglie di diversa numerosità e composizione, è diminuito anch’esso in termini reali (-0,8%)».

Ad attenuare la contrazione dei redditi da lavoro  è stata solo la crescita dei trasferimenti pubblici e il massiccio ricorso alle integrazioni salariali. Il rapporto fa notare che «L’andamento del reddito familiare in termini reali nel corso del 2020 mostra gli effetti sia della forte riduzione dell’attività economica dovuta alla pandemia sia delle politiche pubbliche di sostegno al reddito: mentre i redditi familiari da lavoro dipendente e da lavoro autonomo sono diminuiti rispettivamente del 5% e del 7,1%, i redditi da trasferimenti sono cresciuti del 9,4% in virtù delle misure straordinarie messe in campo per fronteggiare l’impatto dell’emergenza sanitaria, raggiungendo una quota pari a circa il 37% di tutti i redditi familiari. I redditi familiari da capitale si sono invece ridotti del 4,9% a causa della contrazione degli affitti figurativi. La perdita complessiva rispetto ai livelli del 2007 resta decisamente più ampia per i redditi familiari da lavoro autonomo (-25,3% in termini reali) rispetto ai redditi da lavoro dipendente (-12,6%), mentre i redditi da capitale mostrano una perdita complessiva del 15,6%, in gran parte attribuibile alla dinamica negativa degli affitti figurativi (-18,1% in termini reali dal 2007)».

La disuguaglianza rimane alta anche se c’è stata una lieve riduzione del reddito del quinto più ricco della popolazione. Una delle misure più utilizzate in Europa per valutare la disuguaglianza tra i redditi degli individui è l’indice di concentrazione di Gini e nel 2019 il valore stimato per l’Italia è pari a 0,325, in miglioramento rispetto all’anno precedente (0,328) che tuttavia peggiora nel 2020 (0,329). Nella graduatoria crescente dei Paesi dell’Ue27 l’Italia è al ventesimo posto nel 2019 (diciannovesimo nel 2018). Nel 2020, per i 26 paesi Ue27 per i quali è disponibile l’indicatore l’Italia si trova al 19esimo posto. In Italia l’indice di Gini è più elevato del dato nazionale nel Sud e nelle Isole (0,346 nel 2019; 0,349 nel 2020); peggiora tra il 2019 e il 2020 ma resta inferiore al dato medio nazionale nel Nord-ovest (0,303 nel 2019 e 0,314 nel 2020) e nel Nord-est (0,277 nel 2019 e 0,288 nel 2020). Al Centro invece l’indice resta stabile sotto la media nazionale in entrambi gli anni (0,309).

Durante la pandemia il reddito di cittadinanza ha svolto un ruolo chiave: «Nel 2020, l’anno dell’esplosione dell’emergenza sanitaria, si stima che il RdC abbia raggiunto oltre 1,3 milioni di famiglie (5,3%), con un beneficio annuo di 5.216 euro pro capite; questa quota sale al 15,2% per le famiglie del quinto più povero e al 6,1% per quelle del secondo quinto (Figura 7). L’impatto del trasferimento è stato in media pari al 29% del reddito familiare complessivo (46,5% per il quinto di famiglie più povere). Il 10,7% delle famiglie residenti nel Mezzogiorno ha ricevuto almeno una mensilità del RdC, quota di gran lunga superiore a quella registrata nel Nord-est (1,7%), nel Nord-ovest (2,9%) e nel Centro (3,6%). Le famiglie con 5 o più componenti ne hanno usufruito in misura maggiore, 10,9% contro 5% delle altre. Circa il 10% delle famiglie con almeno un componente straniero ha percepito il RdC, quota doppia rispetto alle famiglie formate da soli cittadini italiani».

Nel 2020 il complesso dei trasferimenti e delle misure straordinarie di sostegno ha attutito gli effetti della pesante contrazione dell’attività economica. Più di una famiglia su tre (36,2%), ha beneficiato di almeno una delle misure emergenziali rilevate (integrazioni salariali con causale Covid19, proroga indennità di disoccupazione, bonus 600-1000 euro, contributi a fondo perduto erogati dall’Agenzia delle Entrate, bonus baby-sitting, congedo parentale straordinario al 50%, incremento dei permessi retribuiti ex-legge 104/92, reddito di emergenza), per un totale pari al 2,2% del reddito complessivo.

Il rapporto conclude mettendo in evidenza che solo grazie a queste misure è stata probabilmente evitata una catastrofe sociale: « Per valutare l’impatto dei trasferimenti sui principali indicatori della disuguaglianza si può utilizzare la distribuzione dei redditi equivalenti al netto dei trasferimenti emergenziali, del RdC o di entrambe le misure. In questo modo si può osservare l’entità del contributo delle misure di sostegno nel 2020: senza l’insieme dei trasferimenti emergenziali il rapporto S80/S20 risulterebbe pari a 6,2, senza il RdC a 6,4 e senza entrambe le misure a 6,9, valori molto superiori al 5,8 osservato. L’indice di Gini, che risulta pari a 0,329 nel 2020, sarebbe cresciuto fino allo 0,338 senza i trasferimenti emergenziali e allo stesso valore senza il RdC, mentre al netto di entrambi la concentrazione dei redditi sarebbe salita fino a 0,346».