Global hunger index: guerre, Covid e cambiamenti climatici affamano il mondo (VIDEO)

115 milioni di persone gravemente denutrite. 47 Paesi non riusciranno a ridurre la fame entro il 2030

[14 Ottobre 2021]

Secondo il Global Hunger Index (GHI) di Welthungerhife e Concern Wordlwide, uno dei principali rapporti internazionali per la misurazione della fame nel mondo, «L’effetto combinato di conflitti armati, pandemia e cambiamento climatico rischia di polverizzare tutti i seppur lenti progressi compiuti negli ultimi anni verso l’obiettivo “Fame Zero”, fissato dalle Nazioni Unite al 2030. Dopo anni col segno meno, nel 2020 la percentuale di popolazione denutrita nel mondoè tornata a salire: sono 155 milioni le persone in stato di insicurezza alimentare acuta, 20 milioni in più rispetto al 2019. La lotta alla fame nel mondo registra dunque una pesante battuta d’arresto con previsioni sul futuro a tinte fosche». Il GHI evidenzia che «In 47 Paesi in particolare la fame resta eccezionalmente elevata con scarse possibilità di ridurla a livelli bassi entro la fine del decennio.»

L’edizione italiana del GHI è curata dal Cesvi che spiega che «L’analisi ha preso in considerazione 116 Paesi in cui è stato possibile calcolare il punteggio GHI sulla base dell’analisi di quattro indicatori: denutrizione, deperimento infantile, arresto della crescita infantile e mortalità dei bambini sotto i 5 anni».  L’ONG italiana conferma che «I progressi sul fronte della lotta alla fame arrancano. Se tra il 2006 e il 2012 il punteggio mondiale è sceso di 4,7 punti, negli ultimi nove anni è diminuito di soli 2,5 punti. Africa subsahariana e Asia meridionale sono le regioni con i livelli di fame più alti al mondo, con punteggi rispettivamente di 27,1 e 26,1 (fame “grave”). La prima in particolare registra tassi di denutrizione, arresto della crescita infantile e mortalità infantile più alti al mondo. Di grande preoccupazione è l’incremento del tasso di denutrizione, che è passato dal 19,6% del periodo 2014-2016 al 21,8% del periodo 2018-2020. Un terzo dei bambini soffre ancora di arresto della crescita anche se i dati disponibili suggeriscono che la percentuale ha continuato a diminuire leggermente, passando dal 34,8% del 2015 al 32,4% del 2020[3]. Forse ancora più preoccupante è che l’Africa è l’unica regione del mondo per la quale si prevede un aumento delle persone denutrite da qui al 2030, anno in cui si stima potrebbero essere alla pari con l’Asia[4].L’alto livello di fame in Asia meridionale invece deriva perlopiù dalla malnutrizione infantile».

In fondo alla classifica GHI, la Somalia, registra un livello di fame “estremamente allarmante” (50,8 punti), seguìto da 9 Paesi con un livello “allarmante”: Ciad, Madagascar, Repubblica Centroafricana, Repubblica Democratica del Congo, Yemen, Burundi, Comore, Siria e Sud Sudan. Altri 37 Paesi sono in uno stato di fame  “grave”. E’ il caso di Afghanistan, India, Pakistan, Iraq, Corea del nord, Timor Leste, Papua Nuova Guinea, Haiti, Venezuela e di 26 Paesi africani. Rispetto al 2012, la fame è aumentata in 10  Paesi, inclusi Repubblica del Congo, Sudafrica, Venezuela e Yemen.

Il Cesvi evidenzia che «Sempre più numerosi e prolungati, i conflitti armati restano la principale causa della fame nel mondo. Nel 2020 erano 169 quelli attivi[6]. Non a caso otto dei dieci Paesi con livelli di fame “allarmanti” o ”estremamente allarmanti” coincidono con teatri di guerra: dalla Repubblica Democratica del Congo alla Nigeria, dal Sud Sudan alla Siria fino a Yemen e Somalia. Fame e guerra sono legate a doppio filo. I conflitti violenti hanno un impatto devastante sui sistemi alimentari poiché ne pregiudicano ogni aspetto, dalla produzione al consumo. E l’insicurezza alimentare duratura è tra le principali eredità di una guerra. Allo stesso tempo, l’aumento dell’insicurezza alimentare può condurre a conflitti violenti».

Per quanto riguarda la pandemia di Covid-19, il rapporto fa notare che «Sebbene non siano ancora apprezzabili appieno gli effetti della pandemia sull’aumento della fame, già oggi appare evidente come lo shock economico che ne è derivato abbia pregiudicato la sicurezza alimentare. Si stima che il numero di persone in situazione di insicurezza alimentare acuta sia aumentato di quasi 20 milioni nel 2020 rispetto all’anno precedente[7]. Secondo la FAO, per effetto della pandemia nel 2030 le persone denutrite saranno 657 milioni, circa 30 milioni in più».

Presentando il Global Hunger Index, la presidente di Fondazione Cesvi, Gloria Zavatta, ha commentato: «La lotta alla fame è pericolosamente fuori strada. È urgente spezzare il circolo vizioso con cui fame e conflitto si alimentano l’un l’altro. Senza pace difficilmente potremo eliminare la fame nel mondo. Senza sicurezzaalimentare non potrà esserci pace duraturaAllo stesso modo è necessario intervenire sulle conseguenze drammatiche della pandemia e sugli effetti devastanti del cambiamento climatico. Senza perdere l’obiettivo sulle cause profonde, a cominciare da povertà, disuguaglianze e sistemi alimentari insostenibili»,

Valeria Emmi, advocacy senior specialist di Fondazione Cesvi, ha aggiunto: «I progressi verso l’obiettivo Fame Zero non solo stanno rallentando, ma la lotta contro la fame sta vivendo una battuta d’arresto. Secondo l’OMS, entro il 2030 solo il 25% dei Paesi sembra in grado di dimezzare il numero di bambini affetti da arresto della crescita e solo il 28% di far scendere il deperimento infantile al di sotto del 3% e mantenerlo a questo livello.Le proiezioni delle Nazioni Unite d’altro canto ci dicono che ben 53 Paesi devono accelerare oggi i progressi se vogliono portare i tassi di mortalità infantile al di sotto del 2,5%. Dati che ci fanno allarmare. In questo scenario la crisi pandemica non fa altro che aggravare la situazione. La precarietà dei sistemi alimentari e il conseguente aumento delle persone in situazione di grave insicurezza alimentare richiedono quindi azioni urgenti e consistenti. Tra queste, è necessario un cambiamento radicale dei nostri sistemi alimentari».

Anche per Cesvi, Welthungerhife e Concern Wordlwide, «La trasformazione dei sistemi alimentari è necessaria per contrastare gli effetti dei conflitti e dei cambiamenti climatici e simultaneamente garantire la sicurezza alimentare e nutrizionale, ed è ciò che potrebbe risultare come esito del recente vertice delle Nazioni Unite sui Sistemi Alimentari».

L’ex ministro italiano delle politiche agricole, il vice direttore generale della Fao Maurizio Martina, concorda: «L’acuirsi dei conflitti è uno dei fattori scatenanti che determinano la fame e l’insicurezza alimentare. Conflitti e fame si rafforzano a vicenda, dobbiamo affrontarli insieme per porre fine a questo circolo vizioso, attraverso interventi umanitari e progetti di sviluppo ben coordinati e complementari. Gli  interventi che aumentano la resilienza e l’inclusività dei mezzi di sussistenza basati sull’agricoltura e supportano la sicurezza alimentare hanno un ruolo importante nella promozione della pace, poiché affrontano non solo i sintomi ma anche le cause profonde del conflitto».

Cesvi conclude: «Invertire la rotta si può. Anche in un ambiente globale ostile è possibile rompere i legami tra conflitto e fame e sfruttare a pieno il potenziale dei sistemi alimentari per far progredire la pace. Allo stesso tempo è indispensabile affrontare i conflitti a livello politico e implementare il diritto umanitario internazionale sanzionando chi vìola il diritto umano al cibo, per esempio ricorrendo alla fame come arma di guerra o inibendo l’accesso degli aiuti umanitari».

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