Milioni di persone non possono accedere ai benefici dell’industria alimentare acquatica
Barriere sociali, economiche e politiche stanno impedendo ai più poveri di usufruire di un’economia da 424 miliardi di dollari
[19 Ottobre 2022]
Secondo il nuovo “Rights and representation support justice across aquatic food systems”, pubblicato su Nature Food da un team internazionale di ricercatori guidato da Christina Hicks (Lancaster University), Jessica Gephart (American University – Washington DC) e Zach Koehn (Stanford University), e condotto su 195 Paesi «Le barriere sociali, economiche e politiche stanno impedendo a milioni di persone di beneficiare del settore della produzione alimentare in più rapida crescita al mondo».
I ricercatori ricordano che «Gli alimenti marini e d’acqua dolce, o blue foods, sono una fonte vitale di reddito e micronutrienti e sostengono i mezzi di sussistenza per un massimo di 800 milioni di persone in tutto il mondo». Ma il nuovo studio ha rivelato che, «Nonostante generi più di 424 miliardi di dollari a livello globale, i benefici del settore degli alimenti acquatici sono distribuiti in modo diseguale e contribuiscono anche direttamente alle continue ingiustizie».
Per questo gli autori dello studio chiedono «Un’azione urgente per garantire che le persone, le comunità e i Paesi più emarginati abbiano più pari opportunità di beneficiare dei cibi acquatici in termini di commercio, reddito e nutrizione».
La principale autrice dello studio, Christina Hicks del Lancaster Environment Center della , Lancaster University, evidenzia che «Le attuali crisi – dai conflitti alle pandemie – hanno solo esacerbato le disuguaglianze globali e i sistemi blue foods sono più vulnerabili che mai. Tuttavia, con un accesso e diritti più equi e più giusti, i blue foods offrono anche l’opportunità di livellare il campo di gioco, consentendo a più persone di partecipare e beneficiare di questo settore ricco e diversificato».
Lo studio fa parte di 7 articoli scientifici per il Blue Food Assessment (BFA), un’iniziativa internazionale congiunta che riunisce oltre 100 scienziati provenienti da più di 25 istituzioni. Guidato dallo Stockholm Resilience Center dell’Università di Stoccolma, dal Center for Ocean Solutions e dal Center on Food Security and the Environment dell’Università di Stanford e da EAT, il BFA supporta i decisori politici nella valutazione dei compromessi e nell’implementazione di soluzioni per costruire, sistemi alimentari sani, equi e sostenibili.
Lo studio ha rilevato che «Il settore alimentare acquatico sostiene entrambi i benefici basati sul benessere, sotto forma di lavoro e nutrizione a prezzi accessibili, nonché benefici basati sulla ricchezza, sotto forma di entrate generate dall’aumento della produzione, del commercio e del consumo. Tuttavia, le barriere sociali, economiche e politiche fanno sì che i Paesi più bisognosi di benefici basati sul welfare tendano ad essere esclusi dai benefici che generano ricchezza, limitando il loro potenziale di crescita».
Il team internazionale di autori, che comprendeva esperti delle scienze naturali, sociali e della salute, ha ulteriormente evidenziato un’ulteriore tensione tra produzione di ricchezza e benessere delle popolazioni: «I perseguimento di benefici patrimoniali rischia di minare i guadagni vitali per il benessere umano proveniente dai cibi acquatici, incluso il sostegno a posti di lavoro e nutrizione. Ad esempio, in alcuni Paesi la crescita economica guidata dalle esportazioni potrebbe minare i posti di lavoro esistenti e la qualità nutrizionale dell’attuale pesca e di altri sistemi alimentari acquatici».
Lo studio ha trovato in molti Paesi barriere sociali, economiche e politiche per impedire una distribuzione più equa di questi benefici alle persone. Ad esempio, «I Paesi a reddito più basso hanno prodotto e consumato meno cibi acquatici, nonostante impieghino più persone». Lo studio fa anche notare che «Le politiche spesso non tengono conto dei vincoli di genere nonostante le prove che una maggiore uguaglianza per le donne sostenga un cibo più accessibile e, nella produzione, potrebbe ridurre del 17% il numero di persone con insicurezza alimentare».
Una delle autrici dello studio, Nitya Rao, direttrice del Norwich Institute for Sustainable Development dell’università dell’East Anglia, conferma: «Sebbene 45 milioni di persone direttamente coinvolte nell’industria alimentare acquatica siano donne, con la maggior parte di queste impegnate nella lavorazione e vendita post-raccolta, le politiche spesso non tengono conto dei vincoli di genere, con implicazioni per i redditi e i consumi delle famiglie».
Lo studio suggerisce che «Le politiche basate sui principi di giustizia e diritti umani, con processi decisionali inclusivi che spiegano le cause dell’ingiustizia, potrebbero supportare risultati più giusti per i sistemi alimentari acquatici».
La Hicks aggiunge: «I prodotti ittici globali e altri sistemi alimentari acquatici generano enormi entrate economiche e i Blue Foods contengono grandi quantità di micronutrienti assolutamente essenziali per la salute e il benessere di milioni di persone. Tuttavia, il nostro studio dimostra che il sistema così com’è non sta distribuendo equamente i benefici di queste risorse e identifica le molteplici barriere che devono essere superate. Questo è uno step essenziale per garantire un equilibrio equo tra benessere e benefici patrimoniali e tra le nazioni, che è fondamentale per garantire che i blue foods possano contribuire ad affrontare la denutrizione e la povertà per milioni di persone in tutto il mondo».
Lo studio si conclude chiedendo «L’adozione di politiche appropriate per garantire che i benefici derivanti dalla produzione, dal consumo e dal commercio di alimenti acquatici possano essere accessibili a tutti».