Fao: serve una nuova visione della pesca. Crescono i timori per lo stato dei mari

Mettere sotto controllo la pesca illegale, raggiungere il quarto obiettivo dell'SDG 14 e tutelare il mare

[19 Novembre 2019]

E’ in corso a Roma l’International Symposium on Fisheries Sustainability della Fao e il direttore generale dell’agenzia Onu, Qu Dongyu, lo ha aperto ricordando che «La pesca è a un importante crocevia e il mondo ha bisogno di una nuova visione per il settore nel XXI secolo.  Con una popolazione mondiale che raggiungerà i 10 miliardi di abitanti nel 2050, la terra da sola non basta a nutrirci, abbiamo bisogno di sfruttare anche la produzione alimentare delle risorse acquatiche. Ma dobbiamo farlo senza compromettere la salute di oceani e fiumi, e migliorando le condizioni sociali di quanti dipendono dalla pesca, che spesso sono proprio i più poveri della società».

Il simposio riunisce i migliori operatori del settore della pesca che analizzeranno lo stato della pesca globale e regionale e le modalità per rendere le risorse alieutiche più sostenibili. Si parlerà inoltre di come gestire la pesca nel contesto del cambiamento climatico, dell’utilizzo di nuove tecnologie e di miglioramenti lungo la filiera del valore.

In tutto il mondo, dalla pesca dipendono l’alimentazione e i mezzi di sussistenza di milioni di persone. Una persona consuma ogni anno in media 20,3 chilogrammi di proteine di prima qualità e micronutrienti essenziali provenienti dal pesce. A livello globale, più di una persona su dieci dipende dalla pesca per guadagnarsi da vivere e nutrire le proprie famiglie. La Fao avverte che «Lo stato dei mari è però fonte di grave preoccupazione a causa dell’inquinamento da plastica, dagli effetti del cambiamento climatico, del degrado degli habitat e della pesca eccessiva. Uno stock ittico marino su tre è sovrasfruttato – rispetto a soli uno su dieci di circa 40 anni fa – mentre la crescita della domanda di pesce d’acqua dolce sta colpendo duramente la sostenibilità della pesca nelle acque interne». Inoltre, la Fao ha notato una tendenza pericolosa: «La pesca nelle regioni sviluppate è sempre più sostenibile, ricostruendo gli stock e migliorando le condizioni di coloro che lavorano nel settore, ma la pesca nelle regioni in via di sviluppo non sta migliorando altrettanto rapidamente». Secondo Qu Dongyu, «Questo sta creando un pericoloso divario di sostenibilità. Dobbiamo invertire la tendenza se vogliamo raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile».
Per rendere la pesca più sostenibile il direttore generale della Faoha proposto una soluzione in tre punti: «Primo: reinvestire in programmi di sostenibilità per le acque marine e le acque dolci. Secondo: investire nella crescita sostenibile delle attività in mare. L’iniziativa Blue Growth (Crescita blu) della Fao si basa sull’equilibrio tra principi ecologici, sociali ed economici. Lo sviluppo di settori come l’acquacoltura è una doppia vittoria per il nostro pianeta. Terzo: garantire che adeguate misure di tutela siano abbinate ad una gestione del settore più efficace, anche per quanto riguarda il problema degli sprechi alimentari nell’industria ittica. Abbiamo bisogno di maggiore volontà politica e di maggiori risorse per far sì che ciò avvenga. Dobbiamo impegnarci per non lasciare indietro nessuna regione dell’oceano, nel nostro impegno per la sostenibilità. Se concentriamo la scienza, il nostro spirito innovativo, le nostre tecnologie, garantiremo e tuteleremo uno dei settori alimentari più antichi e sottovalutati. Dobbiamo puntare in alto e agire in modo concreto!»

Dopo Qu Dongyu è intervenuto Peter Thomson, Inviato speciale dell’Onu per l’Oceano che ha sottolineato: «Trattiamo l’oceano con il rispetto che merita, e lui perdonerà la nostra sconsideratezza, e si riempirà di nuovo e farà tutto quello che ha sempre fatto in passato: essere il grande donatore di vita del pianeta terra” ha detto.  4 dei 10 target dell’Obiettivo di sviluppo sostenibile 14 (SDG 14) matureranno nel 2020 e per allora dobbiamo liberarci di tutto quello che impedisce la loro realizzazione».
Per mettere sotto controllo la pesca illegale e assicurare che venga raggiunto il quarto obiettivo dell’SDG 14, Thomson ha lanciato un appello ai Paesi che ancora non hanno firmato l’Agreement on Port State Measures  (PSMA – Accordo sulle misure dello Stato di Approdo) e anche ai consumatori perché «richiedano rassicurazioni da parte di ristoratori e supermercati che il pesce acquistato non sia frutto di furto». Chiudendo il suo intervento l’Inviato Speciale dell’Onu ha sottolineato l’importanza del 2020: «L’anno in cui lanceremo un “new deal” con la natura. Nel 2020 si terranno infatti: la UN Ocean Conference, per rafforzare l’azione volta alla loro tutela; la UN Biodiversity Conference, per definire il quadro di lavoro in materia di biodiversità dopo il 2020; l’IUCN World Conservation e l UN Climate Change Conference (COP26), dove i firmatari dell’Accordoi di Parigi produrranno una risposta internazionale all’emergenza climatica».

Aprendo la seduta plenaria del simposio, il direttore della divisione pesca e acquacoltura della Fao Manuel Barange ha presentato i dati sulla pesca a livello mondiale. «Dal 1960 la popolazione umana cresce dell’1,5% all’anno, mentre il consumo di proteine animali è cresciuto del 2,5% e il consumo di pesce del 3%. Nel 2017 la pesca ha fornito 173 milioni di tonnellate di prodotti ittici, 153 milioni per il consumo umano diretto – un aumento sette volte maggiore rispetto al 1950. I prodotti ittici sono tra le derrate alimentari più commercializzate e superano il commercio di alimenti derivati da tutti gli animali terrestri messi insieme.  Nel 2017, le esportazioni di prodotti ittici hanno raggiunto la cifra record di 156 miliardi di dollari. Dalla metà degli anni ‘70, i paesi in via di sviluppo hanno aumentato i loro vantaggi netti derivanti dal pesce da quasi zero a oltre 40 miliardi di dollari all’anno. Il pesce è particolarmente importante nei paesi con deficit alimentare. Tra i primi 30 paesi consumatori di pesce, troviamo 17 paesi a basso reddito con deficit alimentare, soprattutto in Africa, Asia e Oceania. Circa il 95% delle persone che dipendono dalla pesca come mezzo di sussistenza vive in Africa e in Asia. La grande maggioranza di loro sono piccoli operatori, che a fatica si guadagnano da vivere con una delle professioni più dure e pericolose. Nel 2019 la pesca commerciale è stata classificata come la seconda professione con più alto tasso di mortalità del mondo».

Barange ha concluso. «La nuova frontiera del settore consiste nell’affrontare la dimensione sociale delle catene del valore della pesca: da condizioni di lavoro dignitose, ad approcci basati sui diritti umani, all’accesso ai servizi sanitari e sociali, per citarne alcuni. Dobbiamo garantire la sostenibilità e la responsabilità sociale in tutte le catene del valore della pesca».