Il 23 novembre del 1980 il sisma provocò 2.914 vittime e circa 9.000 feriti

Cosa (non) abbiamo imparato a 40 anni dal terremoto dell’Irpinia

Violo (geologi): «La cifra impiegata per le ricostruzioni post-evento dei terremoti che hanno colpito l'Italia negli ultimi 50 anni supera i 150 miliardi. Tali risorse, utilizzate per la prevenzione, avrebbero evitato o limitato le tragedie»

[23 Novembre 2020]

Il terremoto dell’Irpinia fu uno spartiacque per un Paese come l’Italia, che pure da secoli ha – purtroppo – una grande dimestichezza con l’emergenza sismica: il 23 novembre di 40 anni fa, alle ore 19.34, l’Appennino meridionale venne scosso da un sisma di magnitudo 6.9 della scala Richter che causò 2.914 vittime e circa 9.000 feriti, mettendo in evidenza il gravissimo ritardo della macchina dei soccorsi, tardivi e insufficienti. Da allora molto è cambiato, ma le antiche debolezze restano.

Innanzitutto è col terremoto dell’Irpinia-Basilicata che nacque la Protezione civile italiana, con a capo Giuseppe Zamberletti, come ricorda Gabriele Scarascia Mugnozza – geologo alla Sapienza di Roma, nel consiglio direttivo dell’Aiga e presidente della Commmissione grandi rischi – durante il webinar Eredità ed esperienze a 40 anni dal terremoto irpino-lucano: «Già nel Friuli 1976 si pensò a una struttura di coordinamento nazionale della Protezione Civile, ma la cosa non si concretizzò. Quel terremoto segnò una svolta nelle conoscenze anche dal punto di vista scientifico, sia perché furono definite le faglie che generarono il terremoto, sia per il riconoscimento in superficie della rottura da parte di un team di ricercatori italiani e stranieri, ma anche perché fu la prima volta che si fecero studi di microzonazione sismica».

Eppure, sebbene oggi la Protezione civile rappresenti un’eccellenza in fatto di gestioni emergenziali, ancora non abbiamo ancora imparato a fare tesoro delle conoscenze acquisite in fatto di prevenzione: «La cifra impiegata per le ricostruzioni post-evento dei terremoti che hanno colpito l’Italia negli ultimi 50 anni supera i 150 miliardi – sottolinea il presidente del Consiglio nazionale dei geologi, Arcangelo Francesco Violo – Tali risorse, utilizzate per la prevenzione, avrebbero evitato o limitato le tragedie segnate da pesantissime perdite in vite umane, oltre che da sconvolgimenti sociali a lungo termine, spesso poco considerati e difficilmente risanabili».

Allargando il campo d’osservazione il problema appare in tutta la sua importanza: come spiega la sismologa Ingv Emanuela Guidoboni, intervenuta nel corso del webinar Irpinia 1980 – 2020: rischio sismico e resilienza in un Paese fragile, negli ultimi 500 anni abbiamo avuto in Italia 88 terremoti distruttivi, dunque di magnitudo maggiore o uguale a 6, con il 70% della sismicità è generata nell’Appennino; dall’Unità d’Italia ad oggi abbiamo avuto 36 disastri, dunque in media uno ogni 4-5 anni. Che puntualmente si riproporranno.

«Lo studio di terremoti della millenaria storia italiana ha messo in evidenza i caratteri sismici del Paese e gli elementi che ancora oggi – sottolinea Guidoboni nel merito – concorrono a fare dei forti terremoti un nodo cruciale: alta vulnerabilità dell’edificato, alta frequenza delle distruzioni e scarsa qualità delle ricostruzioni storiche. Queste conoscenze non si sono tradotte in una cultura del rischio: infatti oggi non c’è quasi domanda di sicurezza abitativa da parte della popolazione, anche nelle aree a maggior rischio sismico».

Una mancanza di consapevolezza che riguarda da vicino anche la lettura che di questi eventi catastrofici arriva dai media. «I mass media, da parte loro, continuano a trattare i rischi naturali e persino i disastri sismici come meri fatti di cronaca e come tali – conferma amaramente Guidoboni – sono poi dimenticati. Disinformazione, fatalismo e mancate politiche adeguate alla situazione ci portano a rincorre ancora, come cento anni fa, le distruzioni sismiche, invece di limitare i danni con un piano nazionale di prevenzione, chiaro e condiviso nei costi, nei modi e in un orizzonte temporale credibile.  I prossimi forti terremoti saranno ancora disastri, come quelli già accaduti».

Per questo l’importanza della prevenzione è così fondamentale, insieme alla necessità di accelerare in modo marcato le procedure di ricostruzione (sostenibile) dopo i disastri. In tal senso la novità arriva da RemTech e Casa Italia, che lavorano alla Carta delle ricostruzioni dei terremoti italiani: «La Carta delle ricostruzioni è un documento che individua 8 punti sui quali basare e pianificare le future ricostruzioni. Assieme al Capo dipartimento di Casa Italia, Fabrizio Curcio – annuancia Silvia Paparella, general manager di RemTech – stiamo lavorando alla Carta delle ricostruzioni di cui faranno parte i Commissari per la ricostruzione e gli esperti coinvolti a diverso titolo nelle varie ricostruzioni post-sisma. La Carta affronterà diversi aspetti del processo di una ricostruzione: governance; normativa, procedimenti; politiche urbanistiche; personale impegnato; tecnologie utilizzabili; flussi finanziari; comunicazione, ma anche tanti altri temi che rendono i processi di ricostruzione attività non solo infrastrutturali ma anche e soprattutto connessi con la rinascita delle comunità colpite».