Cosa cambia per le spiagge italiane dopo lo stop alle proroghe concessioni al 2023

Legambiente: «Cogliere l'occasione offerta dalla sentenza per inserire elementi di premialità per i temi della sostenibilità e dell'inclusività nella predisposizione dei bandi di gara»

[10 Novembre 2021]

A mettere la parola fine sulle proroghe ad libitum delle concessioni balneari è arrivata finalmente il Consiglio di Stato, con una sentenza che pone un limite temporale preciso: il 2023.

Si tratta del primo punto fermo sulla questione da molto tempo: come ricordano da Legambiente l’unico tema di discussione e intervento normativo sulle spiagge italiane, negli ultimi 14 anni ha riguardato la proroga senza gara delle concessioni balneari.

Ultima, in ordine di tempo, quella approvata nella Legge di Bilancio 2019 e nel recente decreto Rilancio che le estende fino al 2033, nonostante già nel 2009 l’Ue abbia avviato una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia chiedendo la loro messa a gara, come previsto dalla direttiva Bolkestein del 2006.

«La situazione delle spiagge in concessione nella nostra Penisola non ha paragoni in Europa – spiega Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente – In Italia c’è poca trasparenza sulle concessioni, che crescono di anno e in anno, e poi c’è la questione dei canoni irrisori. Ora l’auspicio è che con questa sentenza le cose nel comparto balneare possano cambiare e migliorare accelerando nella direzione della qualità e sostenibilità, replicando anche le esperienze green messe in campo già da alcuni lidi».

Nel frattempo la certezza è quella stabilita dal Consiglio di Stato: la proroga delle concessioni balneari è prevista fino a fine 2023 per evitare il significativo impatto socio-economico che deriverebbe da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni in essere, ma dopo tale limite non ci sarà alcuna possibilità di proroga ulteriore, neanche per via legislativa, e il settore sarà aperto alle regole della concorrenza.

Il modus operandi, naturalmente, non sarà indifferente rispetto al risultato. «Alla politica – continua Zanchini – chiediamo di approvare al più presto una legge di riordino delle coste italiane per garantire il diritto alla libera e gratuita fruizione, ma anche di cogliere l’occasione offerta dalla sentenza per inserire elementi di premialità per i temi della sostenibilità e dell’inclusività nella predisposizione dei bandi di gara. Ripartiamo dal lavoro che Legambiente ha svolto due anni fa e che ha dato vita a un tavolo con le principali associazioni di categoria dei balneari che ha portato alla definizione di una Prassi UNI, esperienza unica nel panorama internazionale, che definisce criteri e caratteristiche dei lidi sostenibili e accessibili. Occorre premiare la qualità dell’offerta dei lidi in concessione, dato che al momento manca ancora una norma nazionale al riguardo, puntare su politiche che valorizzino il patrimonio costiero italiano e approvare in tempi rapidi un piano nazionale di adattamento al clima per affrontare l’erosione, vero problema delle spiagge italiane: vale la pena ricordare al proposito che negli ultimi 50 anni sono spariti a causa dei processi erosivi ben 40 milioni di metri quadrati di spiaggia, un’area che avrebbe potuto ospitare circa 12mila stabilimenti balneari».

Altrettanto stupefacente sono i dati riguardanti le superfici in concessione – e dunque non liberamente fruibili dai cittadini – e sui relativi canoni: come documenta l’ultimo report pubblicato nel merito da Legambiente, tra i comuni costieri, il record spetta a Gatteo (FC) è quello che ha tutte le spiagge in concessione, ma si toccano numeri incredibili anche a Pietrasanta (LU) con il 98,8% dei lidi in concessione, Camaiore (LU) 98,4%, Montignoso (MS) 97%. I canoni che si pagano per le concessioni sono invece ovunque bassi, e in alcune località di turismo di lusso risultano vergognosi a fronte di guadagni milionari: ad esempio per le 59 concessioni del Comune di Arzachena, in Sardegna, lo Stato nel 2020 ha incassato di 19mila euro l’anno, dunque con una media di circa 322 euro ciascuna l’anno.

«Le soluzioni per stimolare la crescita del comparto, premiando gli investimenti fatti, si possono trovare e dovrebbero conciliare le giuste aspettative della domanda, delle imprese e il diritto dello Stato, cioè di noi tutti, di trovare una giusta valorizzazione di un bene comune come le nostre coste le cui concessioni valgono oggi appena 100 milioni di euro l’anno. Il tutto in una necessaria prospettiva di sostenibilità, qualità e trasparenza», conclude il presidente del Touring club Franco Iseppi.