66 strutture abbandonate nelle montagne italiane

La montagna tra smartworking, seconde case e edifici abbandonati: rischio aumento di consumo suolo

[14 Aprile 2022]

Il rapporto “Abitare la montagna nel post Covid” pubblicato da Legambiente  guarda montagna non più solo come meta turistica ma anche come luogo in cui (ri)abitare, ma evidenzia il desolante problema del costruito abbandonato.

E proprio il censimento degli edifici fatiscentipresenti nelle aree montane italiane  rappresenta il cuore e la novità di questo report che analizza «66 strutture, di piccole dimensioni o complessi significativi, abbandonate ad uno stato di degrado, che necessitano di una strategia mirata: edifici legati all’industria dello sci, ma anche hotel, colonie e caserme di confine, lasciati senza una prospettiva. Tra le cause più frequenti dell’abbandono: il cambiamento della domanda turistica per assenza di neve, la necessità di ingenti reinvestimenti di ammodernamento, mancati adeguamenti tecnici, scelte imponderate rispetto ai flussi turistici, speculazioni di basso cabotaggio».

Tra le 66 schede raccolte, Legambiente segnala alcuni casi simbolo: in Piemonte il complesso alberghiero di Viù nella frazione di Tornetti (TO), opera mastodontica la cui realizzazione, iniziata negli anni ‘80, è rimasta incompiuta; in Sicilia l’ex hotel “La Montanina Piano Zucchi” (PA), edificio chiuso dagli anni ’90, oggi fatiscente e a rischio crollo. E ancora altri casi di hotel dismessi in Veneto con l’hotel “Passo Tre Croci” a Cortina d’Ampezzo (BL), in Campania l’hotel-residence “4 camini” Laceno (AV), in Abruzzo il complesso alberghiero “Campo Nevea” a L’Aquila, in Umbria l’ex “hotel del Matto Monteluco” di Spoleto (PG), in Lombardia le “Terme Bagni” di Val Masino (SO), in Valle D’Aosta l’hotel “Busca Thedy Gressoney la Trinitè” ad Aosta, in Sardegna l’hotel “Sporting Club” a Monte Spada Fonni (NU), in Calabria il “Rifugio Monte Curcio” a Camigliatello Silano (CS). E ancora il caso simbolo, in Trentino-Alto Adige, delle caserme austro-ungariche nella piana delle Viote, sul Monte Bondone (TN): pregevole esempio dell’architettura militare del primo Novecento e dal 2008 completamente abbandonate. Rispetto alle ex colonie, emblematici gli esempi in Liguria di quella di Monte Maggio Savignone (GE) e in Toscana quella di Abetina di Prunetta Piteglio (PT)la prima quasi completamente inagibile e la seconda ormai in situazione di estremo degrado.

Di fronte questa situazione, Legambiente vuole aprire una riflessione e un dibattito sul futuro di questi edifici individuando le soluzioni più adeguate che vanno, a seconda dei casi, dalla demolizione al riuso innovativo. Infatti, secondo il Cigno Verde, «Privilegiare la riqualificazione del costruito esistente può acquistare un importante significato in un contesto post pandemico in cui si manifesta proprio uno slancio del mercato immobiliare in montagna, con il rischio, però, che possa di pari passo ricominciare a crescere anche il consumo di suolo, che invece dovrebbe essere azzerato».

Dopo anni di stagnazione, il mercato delle seconde case in montagna, specialmente sull’arco alpino, sta vivendo una fase di crescita, sia per la vendita sia per l’affitto, complice anche il Superbonus 110% per la riqualificazione energetica e antisismica. Secondo i dati dell’Ufficio Studi Tecnocasa, nel primo semestre del 2021 la percentuale di chi ha acquistato una seconda casa in montagna è stata del 6,4%, mentre il livello pre-pandemia era del 5,5%. I prezzi medi sono saliti dello 0,6%, ma si prevede un aumento, legato anche alla richiesta crescente di case in affitto e all’aumento dei relativi canoni. Un effetto in buona parte legato alla pandemia, che ha portato sempre più persone a cercare nella montagna rifugio perfetto per coniugare i doveri professionali dello smart working con i piaceri di stare a contatto con la natura. Cresce la domanda e aumentano i prezzi nelle località più rinomate, come Cortina d’Ampezzo – con il traino delle Olimpiadi invernali 2026 – ma anche in località meno note, dove la qualità ambientale è migliore che in città. I più richiesti sono i trilocali e le soluzioni indipendenti, immobili spaziosi, con terrazza o giardino.

Secondo i dati del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA), in Italia, il consumo del suolo continua a crescere e riguarda anche ambiti montani di pericolosità per frane e alluvioni, le aree protette, le sponde dei corpi idrici, le valli dove il suolo è più fertile. Il triste primato è detenuto, per le aree oltre i 600 metri di altitudine, dal Trentino-Alto Adige che nel 2019 ha consumato ben 54 ettari in più rispetto al 2018.

Nel focus del dossier, “Il mercato immobiliare sulle alpi: tra turismo e smart working”, Legambiente mette sotto la lente di ingrandimento 303 località alpine italiane, da quelle a maggiore vocazione turistica a quelle più colpite dallo spopolamento, incrociando gli ultimi dati Istat disponibili per tracciare un quadro del costruito in alta quota ed in particolare il fenomeno delle seconde case  dal quale emerge che «Se fino al periodo pre-pandemico le seconde case non erano vissute se non per qualche giorno all’anno e per determinati periodi festivi, sovraccaricando infrastrutture e servizi, la diffusione dello smart working sta cambiando le modalità di utilizzo, influendo anche su alcune dinamiche sociali e economiche. Un dibattito ampio, che per il cigno verde impone di pensare ad una nuova dimensione urbanistica della montagna, dove un buon uso dell’esistente insieme alla rigenerazione del patrimonio edilizio dismesso o sottoutilizzato possono diventare elementi fondamentali per una strategia su vasta scala per una nuova abitabilità del territorio». Tema che nel report viene affrontato anche nella postfazione “Quale futuro per il patrimonio edilizio alpino sottoutilizzato?” a cura di Cristian Dallere, Roberto Dini, Matteo Tempestini dell’Istituto di Architettura Montana IAM – Dipartimento di Architettura e Design – Politecnico di Torino.

Vanda Bonardo, responsabile nazionale Alpi Legambiente, conclude: «Attraverso questo report, che aggiunge la dimensione abitativa al racconto delle infrastrutture abbandonate di Nevediversa, vogliamo rilanciare il dibattito sul vivere in montagna.  Proprio la ricerca di soluzioni e prospettive future di questo costruito pensiamo possa giocare un ruolo chiave nell’arrestare il crescente consumo di suolo in montagna. Ma c’è di più: il riuso funzionale di queste ampie volumetrie può costituire un’occasione straordinaria per ripensare l’organizzazione delle comunità in un’ottica di sostenibilità e di sviluppo. Per migliorare i servizi e soprattutto per rendere più efficiente questo straordinario patrimonio edilizio in un momento storico dove ogni azione è utile e importante al fine di uscire dall’era delle fonti fossili e dal consumo di risorse».