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La politica e la speculazione dietro gli abbattimenti delle bidonville

 |  Territorio e smart city

La Capital Development Authority (Cda) di Islamabad ha deciso di sfollare o radere al suolo le 18 bidonville illegali della capitale del Pakistan, agglomerati di case di fango più di 80.000 persone, tra le quali ci sono numerosi sfollati interni pakistani e rifugiati e migranti afghani.

La Cda dipende dal ministero degli interni pakistano che ha cominciato a sorvegliare più attentamente le baraccopoli dopo l’attacco terroristico del 3 marzo, quando uomini armati e kamikaze hanno fatto irruzione in un tribunale di Islamabad, uccidendo 11 persone. L’attacco è stato l’elemento decisivo che avrebbe indotto il governo a procedere alla distruzione delle baraccopoli e, intervistata da Irin, l’agenzia stampa umanitaria dell’Onu, Shaista Sohail, che controlla il programma di eradicazione delle bidonville, si chiede: «Da  dove venivano gli attaccanti? Dove si nascondono?» e spiega che «In queste zone si svolge ogni  sorta di attività clandestine».

La demolizione doveva cominciare il 24 marzo, ma dopo un sit-in davanti alla sede della Cda al quale il 20 marzo hanno partecipato migliaia di abitanti,  le operazioni sono state rinviate. La Sohail, sorvolando sulla dura ed anche violenta reazione della popolazione degli slum di Islamabad, giustifica così la cosa a Irin: »Abbiamo appreso che le autorità sanitarie prevedevano di organizzare una campagna di vaccinazione contro la poliomielite, allora abbiamo rinvitato l’operazione a più tardi»,

Gli abitanti delle bidonville accusano il governo di essere incapace di garantire la sicurezza della popolazione civile della capitale e del Paese e dicono che ogni volta che i terroristi colpiscono (come accaduto anche ieri con un altro grave attentato) il governo minaccia l’espulsione forzata dei rifugiati interni e degli afghani. Mariam Bibi, che vive in uno dei quartieri che dovrebbero essere demoliti, accusa: «Vogliono  distruggere queste bidonville perché dicono che ci sono i terroristi. Noi lavoriamo come facchini, manovali, siamo lavoratori non terroristi. Non arrestano i veri terroristi, che si mostrano e si vantano di quel che hanno fatto». Quel che è certo è che, dopo l’attacco del 3 marzo, il ministro degli interni pakistano, Chaudhry Nisar Ali Khan, ha ordinato alla polizia di  indagare nelle bidonville illegali, dove nel passato si sarebbero nascosti degli insorti. Nel settembre 2013, dopo un attacco degli insorti nel nord-ovest del Paese dove venne ucciso un generale pakistano, Khan si era presentato in Parlamento ed aveva sottolineato che «Numerose bidonville sono comparse intorno ad Islamabad. La gente che ci vive non si registra e questo provoca inevitabilmente una situazione difficile per quel che riguarda l’ordine pubblico. Ci sono numerosi stranieri, in maggior parte dei migranti afghani, che non hanno carta di identità né dossier: 98.000 illegali, in gran parte stranieri, alcuni con dossier criminali».  Da allora i raid delle forze di polizia nelle bidonville di Islamabad sono diventati sempre più frequenti, ma di terroristi nemmeno l’ombra. Questo non ha impedito l’arresto di più di 100 persone in un solo quartiere per verificare se fossero afghani. Un alto ufficiale di polizia di Islamabad, che è voluto rimanere anonimo perché non è autorizzato a parlare con i media, ha confermato ad Irin: «Quest’anno abbiamo condotto circa 9 operazioni importanti  [nelle  bidonville]. Andiamo sempre a fare un giro, troviamo dei piccoli delinquenti. Ma gli abitanti delle bidonville non costituiscono una minaccia più grande di quelli del resto di Islamabad».

Gli abitanti delle baraccopoli sono in realtà spesso sfollati delle Zone tribali sotto controllo della Federally Administrated Tribal Areas (Fata) e non possono tornare alle loro case a causa dei combattimenti tra gli estremisti islamici e l’esercito. Molti di loro vivono ad Afghan Basti, la più grande delle bidonvilles d’Islamabad con 8.000 abitanti, che dovrebbe essere una delle prime ad essere distrutte. Secondo uno studio condotto nell’autunno 2013 dalla stessa Cda, più di 1.000 residenti in questa bidonville sono rifugiati afghani registrati presso l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), il resto sono soprattutto pakistani originari delle aree tribali del nord-ovest del Pakistan in guerra. L’Unhcr dice che 1,6 milioni di afghani sono registrati come rifugiati in Pakistan, ma ci sarebbero almeno un altro milione di rifugiati afghani non registrati.

Dunya Aslam Khan, la portavoce dell’Unhcr ad Islamabad, spiega che «Alcune persone credono che tutti i  pashtun siano afghani, ma non è così. Numerose persone che vivono ad Afghan Basti sono sfollati interni nel loro stesso Paese che sono originari della Fata o di altre regioni. Osserviamo una tendenza a considerare tutti come rifugiati afghani». Badar Shah, che vende legna nella bidonville, ha detto ad Irin che in realtà il governo  ha già riconosciuto la legittimità delle residenze: «Sennò perché vengono a chiederci il voto ogni 5 anni? Abbiamo il nostro seggio per il voto».

Afghan Basti (che significa letteralmente quartiere Afghano), è spuntata nel 1979 per accogliere i rifugiati afghani ed era già stata presa di mira dai programmi di abbattimento delle bidonville.  Nel 2005, l’allora presidente Pervez Musharraf aveva ordinato di smantellare in tutto il Pakistan i quartieri abusivi dove vivevano gli afghani. Allora ad Afghan Basti vivevano ben 50.000 rifugiati afghani e pashtun pakistani. Secondo la portavoce dell’Unhcr «Gli afghani potevano scegliere di essere rimpatriati in Afghanistan, di essere rilocalizzati altrove in Pakistan o di ottenere una parcella di terreno a qualche chilometro da Afghan Basti. Circa 5.000 di questi rifugiati vivono attualmente nel nuovo quartiere, dove possono ottenere,  grazie all’Unhcr dei servizi  essenziali come l’acqua potabile e le cure sanitarie. 34.083 afghani registrati all’Unhcr vivono oggi ad Islamabad e sono 35.499 nella città vicina di Rawalpindi».

La maggior parte degli abitanti di Afghan Basti non avrebbero nessun posto dove andare se il governo deciderà davvero di distruggere la bidonville e Fayyaz Baqir, direttore dell’Akhter Hameed Khan Resource Centre, un team di ricercatori di Islamabad che studia l’urbanizzazione rapida della popolazione pakistana, è convinto che «Gli abitanti delle bidonvilles come quella di Afghan Basti non potranno mai permettersi di pagare un affitto. Questa povera gente guadagna tra le 7.500 e le 10.000 rupie (tra 75 e 100 dollari) al mese. La maggior parte di loro vive in 5 o 6 in una stanza, una famiglia solo nella stessa stanza».

Probabilmente dietro la voglia del governo pakistano di radere al suolo le case di fango degli slum di Islamabad non c’è il terrorismo, ma la voglia di far spazio alla speculazione edilizia, controllata dalla casta militare e politica, che cerca terreni a buon mercato per proseguire la rapidissima e disordinata  urbanizzazione della capitale.

Redazione Greenreport

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