Perché dormiamo? Neuroscienziata italiana svela cosa accade nel sonno al nostro cervello

Chiara Cirelli premiata col Pisa sleep award 2022 grazie alla teoria dell’omeostasi sinaptica (Shy), confermata da crescenti evidenze sperimentali

[1 Giugno 2022]

Dentro al chilo e mezzo di materia grigia che ci portiamo dentro al cranio vivono circa 86 mld di neuroni, e ognuna di queste cellule nervose si relaziona – attraverso le sinapsi, i loro punti di pseudo-contatto – con altri 5-100mila neuroni, che per comunicare tra loro si accendono ritmicamente come fossero trilioni di costellazioni: è una danza incessante quanto faticosa, in quanto le connessioni per modificarsi devono crescere, e in uno spazio finito non c’è posto per la crescita infinita.

Secondo la teoria dell’omeostasi sinaptica (Synaptic homeostasis hypothesis, Shy), avanzata quasi un decennio fa dalla neuroscienziata Chiara Cirelli insieme al collega Giulio Tononi – entrambi ricercatori di punta al Wisconsin Center for Sleep and Consciousness –, è il sonno lo strumento individuato dall’evoluzione per sfrondare le sinapsi. Per dimenticare l’inessenziale e poter così tornare ad imparare cose nuove l’indomani.

Una funzione tanto fondamentale da far sì che tutte le specie animali, dal moscerino della frutta all’homo sapiens, abbiano bisogno di dormire: scoprirlo è a valso a Cirelli il XV Pisa sleep award, prestigioso premio internazionale assegnato ogni anno dall’Ateneo toscano.

«L’idea centrale della teoria Shy – spiega la neuroscienziata – è che il sonno sia il prezzo da pagare per la plasticità cerebrale, ovvero la capacità di modificare le connessioni sinaptiche tra i neuroni man mano che impariamo cose nuove; è una caratteristica indispensabile per adattarci e rispondere adeguatamente ad un ambiente di veglia che cambia continuamente. Quest’abilità però è molto dispendiosa, perché il nostro cervello dedica fino all’80% dell’energia a mantenere l’attività sinaptica. Invece il sonno – uno stato in cui prestiamo molta meno attenzione all’esterno – permette al cervello di riequilibrare i pesi sinaptici: l’apprendimento di cose nuove avvenuto di giorno può essere ribilanciato da una riduzione di altre connessioni che non sono così importanti (o più) importanti, in modo da poter poi tornare a imparare l’indomani».

Quali evidenze sono state raccolte finora a supporto di questa teoria?

«Negli ultimi vent’anni abbiamo cercato di raccogliere evidenze in molti modi, studiando modelli animali come moscerini e topi ma anche l’uomo, ovviamente con metodi meno invasivi. In genere facciamo esperimenti andando a confrontare il peso sinaptico totale a fine giornata con quello dopo una notte di sonno. Nell’animale preleviamo il cervello e misuriamo la quantità di proteine sinaptiche o letteralmente la dimensione delle sinapsi, tramite microscopio elettronico: abbiamo verificato un ridimensionamento del 18% in circa l’80% delle sinapsi presenti in aree della corteccia cerebrale del topo. Una riduzione che ha risparmiato però le sinapsi più grandi, che potrebbero essere associate – ma si tratta di una speculazione – a memorie più stabili.

Estrapolando dai topi all’uomo, questo significa che ogni notte trilioni di sinapsi nella nostra corteccia cerebrale potrebbero diventare più piccole. Anche nell’ippocampo la grande maggioranza delle sinapsi si indebolisce nel sonno, ma questo non significa che la teoria Shy sia già dimostrata: occorre continuare a indagare, ad esempio in altre aree del cervello».

Dunque una buona notte di sonno ci aiuta a dimenticare, più che a ricordarci meglio cosa abbiamo imparato durante il giorno?

«Sia l’apprendimento sia il consolidamento delle memorie sono due benefici del sonno che la teoria dell’omeostasi sinaptica può spiegare. Per avere l’abilità di imparare cose nuove è necessario infatti che ci siano sinapsi libere, pronte ad essere coinvolte in una forma di potenziamento: molti studi di tipo comportamentale in effetti mostrano che dopo il sonno si impara meglio. Ma Shy può spiegare anche come si consolidano le memorie: durante il sonno non si indeboliscono le sinapsi che durante il giorno sono state coinvolte durante una nuova forma di apprendimento, e dunque si rafforzano in modo relativo rispetto alle altre».

Se questa è la funzione del sonno, cosa sappiamo di quella dei sogni?

«Questo ad oggi è un campo d’indagine totalmente speculativo, e sempre più complesso perché ad esempio oggi sappiamo che c’è un sacco di attività onirica anche nelle fasi non-Rem del sonno. A dire il vero non è neanche detto che i sogni abbiamo una funzione particolare: potrebbero essere un epifenomeno, una manifestazione del fatto che anche mentre dormiamo il nostro cervello è molto attivo e ha esperienze coscienti. Avere e studiare queste esperienze ci offre però l’opportunità di vedere di cos’è capace il nostro cervello».