Ma quest’ecosistema è oggi minacciato dai cambiamenti climatici, culturali e sociali

Nuraghi e pascolo arborato: alla scoperta del paesaggio culturale sardo

Una nuova ricerca mostra come 4.000 anni fa la civiltà nuragica abbia contribuito a plasmare i servizi ecosistemici della Sardegna di oggi

[19 Maggio 2023]

Natura e cultura: quante volte le abbiamo pensate separate? Eppure, questa dicotomia non riflette né il mondo di oggi, né quello di ieri. Viviamo nella natura e siamo parte di essa, anche se non abbiamo una casa in campagna e non sappiamo distinguere una primula da un gelsomino. Lo sa bene la rivista People and nature – il cui nome stesso ci ricorda che le persone sono allo stesso livello della natura –, che di recente ha pubblicato una ricerca sui legami tra la civiltà nuragica e la vegetazione nel territorio sardo.

Vanno prima chiariti alcuni punti. Il nostro legame con la natura è in primo luogo dato dai servizi ecosistemici, cioè tutti quei benefici che l’umanità trae dal sistema naturale. Un esempio? La legna che viene poi usata per il camino.

Ogni ecosistema offre diversi tipi di risorse, che l’umanità sfrutta con maggiore o minore intensità. La situazione ideale per noi umani si crea quando siamo in grado di trarre dei vantaggi da un ecosistema senza alterarne l’equilibrio; non è così che ci siamo comportati negli ultimi decenni, ed eccoci qui, con una grave crisi climatica in corso.

Come rispondere per progettare un futuro migliore? Può essere utile dare uno sguardo al passato. La ricerca firmata da Marco Malavasi, Manuele Bazzichetto, Stefania Bagella, VojtěchBarták, Anna Depalmas, Antonello Gregorini, Marta Gaia Sperandii, Alicia T. R. Acosta e Simonetta Bagella fa un salto indietro e approfondisce la conoscenza della civiltà nuragica e di come sfruttava le numerose risorse del territorio sardo.

Lo studio, reso possibile dalla collaborazione con l’Università degli studi di Sassari, parte da una mappa, quella dei nuraghi, le antiche costruzioni in pietra che hanno dato il nome al popolo vissuto sull’isola nell’età del Bronzo.

«Osservando la mappa, abbiamo notato che la distribuzione dei nuraghi non è uniforme, ma è molto densa in alcune zone e meno in altre – spiega Marco Malavasi, ecologo e autore dell’articolo – perciò ci siamo chiesti come mai. I nuragici avevano delle preferenze? Abbiamo quindi testato in termini geostatistici la loro distribuzione nel territorio sardo e non è risultata casuale. Questa è la prova che ci sono dei criteri dietro le scelte nell’edificazione dei nuraghi. E se tra questi ci fosse anche la vegetazione?».

Perciò, sono state sovrapposte le mappe della biodiversità con le mappe che illustrano la presenza dei nuraghi in Sardegna. Ne sono risultate alcune corrispondenze interessanti: i nuraghi si trovano soprattutto all’interno di alcune “serie di vegetazione”, quelle delle querce da sughero e roverelle. Se ne deduce che la civiltà nuragica prediligeva questo tipo di flora per situare i propri insediamenti.

Secondo la ricerca, inoltre, sarebbe stato lo stesso popolo nuragico a plasmare il paesaggio sardo, creando il “pascolo arborato”, una condizione ambientale di alternanza tra strati erbacei e arborei.

«I nuragici – argomenta Malavasi – facevano agricoltura, pastorizia e raccolta della legna e dei frutti in un unico luogo, il pascolo arborato, senza fare agricoltura intensiva. Hanno quindi contribuito alla formazione di questo habitat, che è estremamente sostenibile in termini ambientali ed ecologici».

In altre parole, il sistema agrosilvo-pastorale oggi presente in Sardegna è stato quindi influenzato dalle scelte fatte dal dei nuraghi 4.000 anni fa.

L’impronta nuragica è pertanto visibile tuttora nel paesaggio sardo: il pascolo arborato è infatti un ambiente familiare a ogni abitante della Sardegna. “Quando il sardo vede il pascolo arborato, o dehesa, si sente a casa”: queste le parole usate da Marco Malavasi per spiegare l’importanza di un “paesaggio culturale”, così definito perché fornisce un senso di identità e connessione con l’ambiente. La differenza tra cultura e natura si fa quindi sempre più sottile, fino a diventare quasi invisibile.

La scoperta è rilevante anche perché, purtroppo, del popolo nuragico si sa ben poco, poiché non disponevano di un sistema di scrittura. Molto di ciò che conosciamo relativamente alle loro abitudini di vita sono deduzioni fatte a partire da scoperte archeologiche. In questo caso, è stata la collocazione dei nuraghi a testimoniare il ruolo essenziale delle sugherete come servizio ecosistemico per gli antichi abitanti sardi.

Il popolo dei nuraghi infatti traeva la legna dai sughereti, la usava come combustibile e pare che la sfruttasse anche per isolare i muri dei nuraghi e per conservare il cibo. Le aree naturali che circondano i nuraghi sono tra le migliori per l’agricoltura e venivano inoltre usate per la raccolta dei frutti e per la pastorizia, fondamentale risorsa per il popolo sardo – di ieri e di oggi.

Il pascolo arborato era ed è tuttora un sistema sostenibile con un alto livello di biodiversità. In queste aree coesistono moltissime specie, non c’è erosione del suolo né desertificazione, le falde acquifere rimangono ricche di nutrienti.

Negli ultimi anni, però, il pascolo arborato sta progressivamente scomparendo, minacciato dai cambiamenti climatici, culturali e sociali. I pascoli vengono abbandonati e il rischio è che si perda una preziosa interazione di uomini e animali. La ricerca ha tra i suoi obiettivi quello di ampliare la prospettiva dei decisori politici, per stimolare una visione più sostenibile sul lungo termine.

In questa ricerca troviamo uno dei primi esempi di un uso non convenzionale delle mappe della biodiversità, nato dall’idea di un “ecologo annoiato dagli approcci settoriali”, come si autodefinisce Malavasi, e di Simonetta Bagella, anch’essa ecologa e autrice dell’articolo.

Mescolare le mappe richiede cautela, perché «tutte le mappe hanno dei rischi, contengono degli errori. La mappa è un testo e in quanto tale è retorico: implica una selezione dei contenuti, che non è neutrale», ci ricorda Malavasi.

Per raccogliere questi dati, dunque, l’archeologia ha avuto un ruolo di primo piano. Si tratta di una novità importante, perché legare archeologia e servizi ecosistemici non è impresa facile. «Per scrivere il paper ho dovuto studiare: per sei mesi sono diventato un po’ un archeologo», sottolinea Malavasi. La comunicazione tra ecologi e archeologi non è sempre stata semplice: questi ultimi hanno collaborato come garanti, dando conferme e smentite laddove necessario.

L’approccio transdisciplinare può essere un percorso in salita: «Nel processo di revisione ci sono state alcune critiche che denotavano una scarsa conoscenza dell’ecologia. Per capirle ho dovuto fare un passo indietro: è stato faticoso, ma il paper finale ne è uscito molto arricchito. Essere tolleranti per capire il punto di vista dell’altro: questa è la transdisciplinarietà», osserva Malavasi.

Per chi ha la fortuna di conoscere la lingua sarda, e vuole approfondire l’argomento, c’è qualcosa in più. Per la prima volta, l’abstract dell’articolo di ricerca, ovvero la breve sintesi dei contenuti che accompagna l’articolo stesso, non è riportato solo in inglese, ma è stato tradotto in Limba Sarda Comuna. Perché anche la lingua è un’espressione della biodiversità, questa volta in ambito (bio)culturale: e come dice Malavasi, «tutto ciò che è biodiverso è sempre sano».

di Elena Colombo per greenreport.it

Rielaborazione del research article: Malavasi, M., Bazzichetto, M., Bagella, S., Barták, V., Depalmas, A., Gregorini, A., Sperandii, M. G., Acosta, A. T. R., &Bagella, S. (2023). Ecology meets archaeology: Past, present and future vegetation-derived ecosystems services from the Nuragic Sardinia (1700–580 BCE). People and Nature, 00, 1– 12. https://doi.org/10.1002/pan3.10461